Home / Sport / Federica Balestrieri: «Lasciai la Rai perché non ero più libera: vidi scene fantozziane ai tornelli, ora faccio moda sostenibile. L’incidente a Schumi? Mollai le ferie, guidai fino a Grenoble. Lite con Galliani? Andai in onda solo nel tg della notte»

Federica Balestrieri: «Lasciai la Rai perché non ero più libera: vidi scene fantozziane ai tornelli, ora faccio moda sostenibile. L’incidente a Schumi? Mollai le ferie, guidai fino a Grenoble. Lite con Galliani? Andai in onda solo nel tg della notte»

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“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Federica Balestrieri, bresciana, 56 anni, giornalista per venticinque anni in Rai, volto della domenica ai box e in studio negli anni più felici della Ferrari (lo diciamo noi: da quando ha smesso con i motori, nel 2009, a Maranello non si è più vinto un Mondiale), ha scelto una citazione di Seneca per raccontare la sua storia lavorativa. O meglio, la sua prima vita lavorativa, terminata il 31 dicembre 2016 con l’addio dalla tv di stato, «rinunciando ad ancora 19 anni del mio prestigioso posto fisso, alla carriera». Il secondo tempo è in corso e chiama “Dress More with less”, il suo brand di moda che ha sede nella sua Brescia anche se lei, cittadina del mondo, ora vive a Miami. I viaggi però restano il raggio della sua vita e ora, con l’Asia come punto di riferimento nella scelta dei suoi tessuti, ha creato – dopo essersi dedicata al volontariato e fondando una Onlus chiamata Riscatti una sua azienda che realizza abiti in modo sostenibile nel rispetto della dignità dei lavoratori e dell’ambiente che ci circonda.

Federica, partiamo dagli inizi. Come diventa giornalista?
«Seguivo per il Giornale di Brescia, e poi per Bresciaoggi, la Scuderia Italia (la squadra corse fondata da Lucchini, che entrò in Formula Uno nel 1988) e i motori. Succedevano cose che ora sarebbero impossibili: a vent’anni intervistavo Prost e Senna per un giornale locale. Seguendo le gare divenni amica dei figli di Mario Poltronieri, che seguivano l’hospitality per l’Alfa Romeo. Loro padre, prima voce delle corse, segnalò che cercavano collaboratori in Rai e fui presa a 23 anni».
Precaria per quanti anni?
«Sei. Nel frattempo facevo la commessa a Milano, dove mi ero trasferita, nel negozio Mari in via Manzoni. E collaboravo a diversi programmi, seguivo anche il calcio ma cercando sempre di smarcarmi dai binari precostituiti, erano tempi nei quali potevi fare un servizio accordandoti con un giocatore senza passare dagli uffici stampa».
Ce ne dica uno più pazzo degli altri.
«Gliene dico due, entrambi con George Weah come protagonista. Seguivo il Milan e convinsi lui e Marco Simone, grandi amici, a sfidarsi a basket al campetto. Poi, quando George litigò con Zaccheroni e lasciò il Milan per il Chelsea, lo andai a trovare a Londra a casa sua. Sapevo che era un bravo cuoco e gli feci cucinare una torta che poi portai al suo ex allenatore. Poi nel 1999 fui assunta e iniziai a seguire la Formula Uno».
Piccolo passo in avanti, dato che parliamo di Milan. Sa che il suo battibecco con Adriano Galliani nel febbraio 2013, durante la presentazione di Mario Balotelli, è tornato virale in questi giorni?
«Me lo hanno detto alcuni amici (ride, ndr). Io peraltro non ero più allo sport ma alla redazione società, non ricordo perché fui mandata io per il TG1. Lui non apprezzò una mia domanda a Mario su alcune dichiarazioni di Silvio Berlusconi, che lo definì una possibile mela marcia e poi lo acquistò. Galliani rispose al posto di Mario, c’erano le elezioni qualche settimana dopo. Io gli tenni testa, ma ricevetti subito tre telefonate a fine conferenza…».
Quali?
«La prima non fu una telefonata, in realtà. Ricordo che Tiziano Crudeli si voltò e mi disse: “Vergognati”. Poi mi chiamò il direttore Mario Orfeo: quel servizio andò in onda solo nell’edizione notturna. Infine mio marito, Fabio Parisi, agente di calciatori, mi scrisse un sms».
E cosa le disse?
«”Non cambi mai…”». 
E seguì anche la nazionale di calcio per un periodo.
«Le spiego. Paolo Francia, il direttore dello Sport, mi tolse dalla Formula uno nel 2002: aveva paura che gli facessi causa e per salvarsi mi mise a fare la nazionale. Io non volevo, sono durata tre partite, c’era gente che ci teneva più di me. Presi così un part time verticale (lavoravo da giovedì a lunedì) e aprii un negozio chiamato Jap. Avevo maturato rapporti con artigiani, importavo prodotti di abbigliamento da lì. Quando però divenne direttore Fabrizio Maffei, mi mise a condurre “Pole Position” e tornai a tempo pieno».
Torniamo allora alla Formula Uno. Anni d’oro, quelli, anche negli ascolti.
Resta il mio grande amore, io ero la donna dei motori in quegli anni. Quando conducevo Pole Position, dal 2004, dopo essere stata inviata ai box,  facevamo 4 milioni a puntata. Mai, però, ho pensato che quel pubblico fosse mio: guardavano noi per le gare e non per me, anche se il clima con Zermiani, Fiorio e Alesi era splendido. In tv molti sono malati di telecamera. Ma io sono Federica: oggi sono una cosa e domani un’altra. Contano di più i 102 mila follower del mio “Dress more with less”: me li sono costruiti io partendo da zero, non ne ho comprato uno».
Ha fatto da narratrice, però, a tutti i Mondiali di Schumacher. Un ricordo personale?
«Non è legato a una gara, ma ai test invernali in giro per il mondo. Chi segue la Formula Uno sta in trasferta 200 giorni all’anno e io amo viaggiare. Tra gennaio e febbraio, i piloti senza gare erano più rilassati e potevi creare legami senza il circo abituale. Con Michael ci incontrammo mentre faceva jogging a Jerez con il suo cane. E ricordo con piacere anche il feeling che si era creato con un uomo molto riservato come Jean Todt, che mi concesse una rara intervista insieme alla sua compagna».
Nessun pilota le ha mai fatto qualche avance?
«No, conta come ti poni. Io ho lavorato quando le donne erano poche e dovevo “fare l’uomo” per dimostrare di essere all’altezza. Avevo le vallette, in trasmissione, che leggevano i nomi e li sbagliavano: quel periodo l’ho vissuto, ma all’epoca non c’era commistione tra giornaliste e vallette come mi pare ci sia oggi. Uso il condizionale perché non guardo la tv da quando ho smesso e non seguo una corsa dal 2009: c’è Instagram e mi basta vedere quello».
Nel 2013, però, dovette tornare a occuparsi purtroppo di Schumi.
«Sì, per l’incidente a Meribel. Era il 30 dicembre, stavo andando al mare alle Seychelles per Capodanno quando ricevetti la telefonata. Mollai tutto senza neanche pensarci, mi misi alla guida di notte per arrivare a Grenoble e due ore dopo ero già in collegamento con il Tg1. Sono stata lì dieci giorni, io sono fatta così: se faccio un lavoro è perché rappresenta la mia passione. Il giornalismo per me era questo».
In quegli anni seguì anche i primi vagiti politici di Grillo.
«Ero naif in politica, era l’inizio del Movimento ed ero diventata amica del suo autista. La prima intervista la fece con me. Però ho sempre pensato che i Cinque Stelle fossero un fenomeno curioso ma farraginoso».
Ora vive a Miami con suo marito, come vede la politica italiana da lontano?
«Mi sembra rincorra gli Stati Uniti: l’ideologia è quella e la violenza verbale non la sopporto, è intollerabile. La violenza è violenza, i politici dovrebbero dosare i toni, mi disturba».
E cosa la disturbò di più, in Rai, per decidere di licenziarsi?
«Sono contenta di aver smesso nel momento giusto, intanto: ora ci sono troppi paletti. Nel 2010 andò via Ezio Zermiani, un padre per me, e scelsi di non fare più la presentatrice: Minzolini aprì una redazione a Milano e io accettai di occuparmi di società, sono anche i miei temi, la domenica a Milano portavo il cibo come volontaria per MIA (Milano in Azione). Seguivo la moda, era un carrozzone come la Formula Uno ma ebbi l’occasione di conoscere un signore come Giorgio Armani e la famiglia Della Valle poi mi diede una grossa mano per organizzare le mostre di Riscatti con i nostri senza tetto: è ancora un nostro partner. Intorno a me, però, vedevo scene fantozziane: c’erano le code ai tornelli a cinque minuti dalla fine del turno, io non sono mai stata così. Quello per me è lavoro tossico, non puoi stare con l’orologio in mano: per me però era ormai routine, la mia strada era segnata anche se ho fatto cose bellissime. Poi Milano era troppo inquinata e io mi sono sentita incastrata, in trappola: non riuscivo a gestire il mio tempo».
Nessun rimpianto per essersi licenziata?
«No, non tornerei indietro. In Rai mi sarebbe piaciuto fare la corrispondente ma a modo mio, nel mito di Tiziano Terzani: io cerco la diversità, voglio essere libera, lì ci sono meccanismi che vanno oltre il merito e il mondo dei corrispondenti finisce per diventare il cimitero elefanti. Ho così approfittato di una coincidenza unica: in Rai offrivano un incentivo aziendale per uscire senza distinzioni di età. Questo mi ha permesso almeno di pensarci: la scelta è stata sofferta ma la rifarei. Sono felice, anche senza uno stipendio fisso».
Quanto tempo ha impiegato per fondare Dress More with Less?
«Tra le mie dimissioni e l’apertura della partita Iva sono passati sei mesi. Sono partita con tre mila euro, siamo dei “mercatari” ma abbiamo anche un e-commerce che gestisce Martina, bresciana come me, che darà continuità all’azienda: lì distribuiamo la nostra linea di abbigliamento e gli accessori che creo e produco affidandomi alle cooperative sociali in diversi paesi del mondo. Ho visto tanto sfruttamento nei miei viaggi e ho scelto di lavorare con le donne marocchine, colombiane, indiane. E lavoro tanto nel weekend, come quando seguivo la Formula Uno. Anzi, lavoro più adesso e dormo meno, a causa del fuso orario che mi spinge a lavorare quando in Italia o in Asia è giorno: ma a mezzogiorno, se voglio, posso andare a farmi un bagno in spiaggia. Sono la Federica di sempre, sono libera».

28 settembre 2025

28 settembre 2025

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