
«È una cosa mia». «Beh, tua…». «Eh… nostra, della città». Ecco, sì: Pato è una “cosa” di Roma, come Marco Giallini e Valerio Mastandrea hanno spiegato divinamente — e mica l’avverbio è usato a caso — nel film “Domani è un altro giorno”. Pato è di tutti quelli che il calcio, Falcao il Divino, la Roma, ma pure la Lazio e la Juve, Silvio Berlusconi, Teleroma56 e la Rai, Goal di notte e le radio locali. Pato è un mondo di un’altra generazione che domenica scorsa, con lo striscione apparso in curva Sud, è diventato pure dei 15enni. Sì perché il cuore del tifo romanista, per incitare Pellegrini e compagni prima del derby, ha scelto un passaggio della mitica canzone “Roma gol” proprio di Pato, che cantante non è mai stato ma chisseneimporta: «Coraggio lupetto, attacca di più…distruggili tu!».
Pato, ci spieghi lei, direttamente da Porto Alegre.
«Ma cosa vi spiego io! Ero in piedi dalle 7 per vedere il derby, speravo di vincere ed ero impegnato capire se quel centravanti entrato nel secondo tempo (Dovbyk, ndr), sarebbe finalmente riuscito a controllare un pallone. Niente, zero di zero: miglior difensore della Lazio».
Ok, ma non divaghiamo.
«Mi scrive un mio amico e mi avverte dello striscione. Mi sono commosso, non ne sapevo nulla. Mio figlio si è avvicinato e mi ha detto “papà, stai calmo, hai già avuto due infarti, così arriva il terzo”. Roma gol è una delle cose più incredibili che mi è capitata».
Prego, dica.
«Stagione 1982-83, la Roma volava verso lo scudetto. Un produttore mi fa: “Dobbiamo fare una parodia di Chi chi chi co co co di Pippo Franco”. Lo guardo e gli dico “tu sei matto, io non ho mai cantato in vita mia”».
E invece…
«Chiamo Alberto Mandolesi (giornalista e radiocronista, ndr) e gli chiedo una mano, il testo è tutto suo. Io metto la voce, incido la canzone. Torno a casa e dico a Paulo: “Oh, sto scudetto non puoi perderlo, ho fatto un disco”. Lui si mise a ridere. Fu un successo: il produttore mi pagò per 30 mila copie. Per me ne furono vendute molte di più, ma tanto dei soldi non mi importava nulla».
Il Paulo di prima è Paulo Roberto Falcao. Per tutti lei era il suo “fratello di latte”.
«Non è vero niente. Vi racconto: conoscevo Paulo da bambino, abitavo a 400 metri da casa sua. Un giorno del 1980 mi dice “vado a giocare in Italia, alla Roma. Ho un’idea, tu vieni con me, mi devi aiutare. Dai, solo per tre mesi”. Dovevo fare l’uomo che si occupava dei rapporti con la stampa. Accettai. Arrivammo, lui fece un’intervista e disse “sono qui con mia mamma e un mio fratello”. Lui intendevo fratello come amico. Un grande equivoco. Gli chiesi di smentire, ma lui mi disse “che te ne importa?”. Sapete com’è finita? Sono rimasto a Roma fino al 2010».
Abitavate insieme?
«Sì, alla Balduina. Io, lui e mamma Azise. Ci nascondevamo e giravamo la città. Paulo amava i ristoranti di Trastevere, c’era sempre un tavolo molto nascosto per noi». E lei, poi, come è diventato il Pato che ricordiamo? «In Brasile lavoravo già in radio. A Roma mi invitano una sera in una trasmissione, Goal di notte su Teleroma56. Ha presente?».
Indimenticabile.
«Vado in onda e comincio a dire di tutto sulla Juve e sulla Lazio. Poco dopo Michele Plastino, ideatore di quella trasmissione, mi chiese di restare fisso. Divenni un personaggio, cominciai pure con le radiocronache: mai fatte prima in Brasile. E nel frattempo, mi arrivavano minacce di morte dai tifosi di Lazio e Juve».
È mai accaduto qualcosa?
«No, perché dopo la Balduina andai a vivere in una traversa di via Trionfale. Era dove abitava Giorgio Almirante, c’era la scorta. Tutto bene, fino a quando lui se ne andò. La settimana dopo, furto nella stessa notte di auto e moto. Non era un caso». Ormai era un volto noto. «Ho lavorato per Berlusconi, su Rete4 per “Caccia al 13”. Poi ospite al Processo di Biscardi, pure alla Rai per i Mondiali 1986 con Marino Bartoletti. Volevano me perché non me ne fregava nulla, se la Juve “rubava” una partita io lo dicevo eh!».
La Roma che ricorda?
«È la mia vita. Mi sono sposato con una donna napoletana che viveva a Roma. Ci sono rimasto per 30 anni. I ristoranti? Uno solo, trattoria Micci in Prati, dall’amico Marcello. E poi mio figlio Matteo, che fatto il percorso inverso al mio: è romano, ma è venuto a vivere a Porto Alegre».
Matteo ha giocato pure nelle giovanili della Roma.
«Sì. E poi in quelle dell’Internacional di Porto Alegre, come Paulo. Una volta mi dice “papà, conosco quello che diventerà il portiere più forte di tutti”. Neppure mi segnai il nome. Dopo un po’ esce la notizia che la Roma seguiva un certo Alisson. Mio figlio allora: “Vedi papà, te lo avevo detto”». Chiamai la Roma, dissi di andare a colpo sicuro».
Vive ancora vicino a Paulo?
«Sì, 4 km di distanza. E lavoro ancora in radio».
Lo sa che a Roma ancora si parla del rigore che Falcao non ha voluto calciare col Liverpool?
«Non è vero. Era il quinto rigorista, ma la Roma al quinto tiro non è mai arrivata».
Le piace questa Roma?
«Amigo, ci basterebbe un centravanti per vincere lo scudetto». E magari per incidere un altro Roma gol.
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27 settembre 2025
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