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«Walk on», il docufilm che racconta gli eroi dell’Hellas Verona che insegnano calcio ai bimbi palestinesi: «Non avevano mai visto l’erba»

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«Il secondo anno li abbiamo ospitati a Peschiera, grazie alla collaborazione con il Verona. Arrivando all’allenamento ho visto, in campo, questi ragazzini. Ma ce n’erano sei o sette inginocchiati per terra. Ho detto: “Ma cosa fanno? Pregano prima della partita?”. Mi è stato risposto che “no, non hanno mai visto l’erba e la stanno toccando…”». Le parole sono di Gigi Sacchetti. E questa è una storia. Una storia di giganti e di bambini. E di una terra, «che è una prigione a cielo aperto». La terra di Palestina. E a raccontarla, questa storia – oltre a quei ciclopi del calcio e a quei ragazzini – è un docufilm. Quel «Walk on» – che nel titolo richiama il «you’ll never walk alone», inno non ufficiale del Liverpool, il «Non camminerai mai da solo» che le brigate giallobù furono tra i primi in Italia a tradurre e cantare in uno stadio – scritto e diretto da Michele Michelazzo. Sono i gialloblù dello scudetto, quei giganti. Quelli riuniti nell’A.S.D. Ex Calciatori Hellas Verona.

Da Verona alla Palestina

E quei bambini sono i bambini della Palestina. Di Gerusalemme, Betlemme, Gerico e Jenin. Quelli che, per alcuni anni, da quei ciclopi sono stati introdotti a quel collante tanto universale quanto umano che è il gioco del calcio. Quelli dell’accademia di «Bambini senza confini». Si sono raccontati e hanno raccontato quella storia – in un dialogo con il giornalista Matteo Fontana – , l’altra sera all’associazione tennis Verona dove è stato proiettato «Walk on», due di quelle che per questa città sono leggende. Gigi Sacchetti, Pierino Fanna. Quella storia che è iniziata nel 2012, quando tramite don Paolo De Grandi, il «prete calciatore», capitano della Nazionale di Calcio Sacerdoti e originario di Gazzo, sono entrati in contatto con padre Ibrahim Faltas, il francescano egiziano, direttore delle diciotto Scuole della Custodia di Terra Santa.

Storia che si snoda nelle immagini e nelle parole di un docufilm che è anche testimonianza. Quella della quotidianità di una terra e di un popolo assediati. Quella di «giganti» che si sono fatti piccoli per i più piccoli, dando le loro conoscenze calcistiche e umane avendo in cambio e assimilando la forza di sognare, quella di vivere. E la resilienza. Storia che è, appunto, il «racconto di un sogno in movimento». Quello che «passa da mille realtà prima di diventare vita».

Il calcio di strada

E le realtà di questa storia sono le partite di calcio giocate in strada tra sassi e polvere, dove le porte del campo sono i camion che passano, dove non esistono «divise», ma miti. «Il mio sogno è diventare un giocatore famoso e rappresentare la Palestina», racconta Hamad. Lui che adesso ha 25 anni, vive in Giordania e non fa il calciatore ma il formatore. Forma altre persone, Hamad, grazie anche a quei giorni passati con Penzo, Sacchetti, Fanna, Chicco Guidotti e gli altri. Giorni trascorsi il primo anno a San Zeno di Montagna – da dove, grazie a Giovanni Gambini, è arrivato a Betlemme un campo sintetico – e poi su quelli, con la meraviglia dell’erba, degli Hellas Camp. «Abbiamo imparato nuove tecniche e come si gioca in modo professionale. Ed è grazie all’accademia che mi chiamano Stephan El Sharaawy, che è di origine egiziana, ma di nazionalità italiana», le parole di Hamad. Che il taglio di capelli ce l’ha come quello del suo idolo. E che per quel taglio viene ripreso dal direttore della sua scuola. Hamad e la sua vita di ogni giorno, tra lezioni, famiglia e pranzi.

Le maglie dell’Hellas a Gerusalemme

Hamad con gli amici e le partite tra le auto. Hamad che mostra orgoglioso la sua casa a Nico Penzo e Gigi Sacchetti, che con gli altri in quella terra ci sono andati tre volte. «Quella casa a cinquanta metri dal muro che separava la Palestina da Gerusalemme, dove era pieno di militari… Ecco, noi abbiamo solamente cercato di sfruttare la nostra popolarità per fare del bene agli altri. Quando tornavamo, anno dopo anno, vedevamo gli occhi di quei ragazzi cambiati. E i loro genitori ci dicevano “non sono più arrabbiati, sanno che c’è anche un altro mondo…”», ha raccontato Sacchetti. Il mondo di Verona, della meraviglia non solo per l’erba, ma anche per gli alberi, i monumenti, le persone. Per le porte da calcio con le reti, per gli scarpini con i tacchetti, per i palloni di cuoio, per Gardaland… Giravano per Gerusalemme, Betlemme, Gerico e Jenin con addosso le maglie dell’Hellas, quei bambini.

C’è luce sotto la cenere

«Auguro – ha detto Fanna – a tutti di fare l’esperienza che abbiamo fatto noi. Viviamo in un mondo forse troppo ovattato e quando si va in quei posti si capisce che è un mondo che ha bisogno di affetto, di amicizia, di rispetto. Quando vai lì ti senti piccolo, una goccia in un mare che è in burrasca…». Con quel docufilm che, ha spiegato Michelazzo, «è un film sulla vita, con il calcio che fa il miracolo di unire le persone». Si è interrotta prima per il Covid e poi per la situazione prima politica e adesso di assedio, la storia dei giganti dell’Hellas e dei bambini palestinesi. Bambini, ha spiegato Sacchetti che ha sentito padre Ibrahim anche pochi giorni fa, «da cui ho imparato cos’è la gratitudine. Ci siamo sentiti voluti bene da persone che non conoscevamo…».

È arrivato anche il sindaco Damiano Tommasi, che aveva assistito all’incontro in videocollegamento tra il vescovo Pompili e il cardinale Pizzaballa, l’altra sera all’Atv, per quel docufilm in cui si racconta la storia dei giganti che hanno creato una speranza. Una storia al momento interrotta. Ma che riprenderà, appena sarà possibile. Con quelle maglie dell’Hellas Verona che torneranno a essere «luce sotto la cenere» della Palestina.


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27 settembre 2025

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