Home / Economia / Chi è Yvon Chouinard, il milionario ribelle che fondò Patagonia e diceva ai clienti: «Non comprate le mie giacche»

Chi è Yvon Chouinard, il milionario ribelle che fondò Patagonia e diceva ai clienti: «Non comprate le mie giacche»

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In un mondo economico ossessionato dalla crescita a ogni costo, Yvon Chouinard appare come un ossimoro: arrampicatore nomade, artigiano di ferri da roccia, ambientalista radicale e, in mezzo a tutto questo, anche il ricchissimo fondatore di Patagonia, uno dei marchi di abbigliamento outdoor più conosciuti al mondo. Ma Chouinard è un capitalista riluttante, insofferente all’etichetta e disposto persino a regalare la sua azienda per finanziare la lotta al cambiamento climatico perché – sono parole sue – «la Terra è ora il nostro unico azionista».

Il libro

L’avventura di quello che è il milionario più improbabile della storia del capitalismo è oggi una biografia, Vagabondo ribelle – Yvon Chouinard e la storia di Patagonia (in uscita nelle librerie italiane il 30 settembre per i tipi di Limani), scritta da David Gelles, pluripremiato giornalista del New York Times, che Chouinard lo ha seguito per anni, dalle vette innevate della Patagonia fino alle pianure del Wyoming, con l’intento di riuscire a spiegare come un «dirtbag climber» (cioè uno scalatore che dedica la propria vita all’arrampicata) sia potuto diventare un capitalista per caso, un uomo dalle grandi contraddizioni capace di trasformare la propria impresa in un simbolo globale di responsabilità ambientale, sfidando la logica tradizionale del business.

Il libro

L’avventura di quello che è il milionario più improbabile della storia del capitalismo è oggi una biografia, Vagabondo ribelle – Yvon Chouinard e la storia di Patagonia (in uscita nelle librerie italiane il 30 settembre per i tipi di Limani), scritta da David Gelles, pluripremiato giornalista del New York Times, che Chouinard lo ha seguito per anni, dalle vette innevate della Patagonia fino alle pianure del Wyoming, con l’intento di riuscire a spiegare come un «dirtbag climber» (cioè uno scalatore che dedica la propria vita all’arrampicata) sia potuto diventare un capitalista per caso, un uomo dalle grandi contraddizioni capace di trasformare la propria impresa in un simbolo globale di responsabilità ambientale, sfidando la logica tradizionale del business.

Le origini

Figlio di un idraulico franco-canadese, Chouinard nasce nel 1938 nel Maine, ma all’età di 9 anni si trasferisce con tutta la famiglia nel Sud della California, dove ancora adolescente fonda il Southern California Falconry Club. La passione per la ricerca dei nidi di falco lo spinge verso le pareti rocciose, dove si arrampica con compagni che sarebbero diventati leggende dell’alpinismo, come Royal Robbins e Tom Frost. Per risparmiare e adattare l’attrezzatura al suo stile di arrampicata, si inventa fabbro e comincia a forgiare i propri chiodi. E’ così che inizia un’attività che lo avrebbe portato a costruire un impero.

Ma andiamo con ordine. Negli anni Sessanta Chouinard diventa uno dei protagonisti della golden age dell’arrampicata nello Yosemite. Nel 1964 partecipa alla prima salita della North America Wall e, l’anno successivo, insieme a TM Herbert, traccia una nuova via sulla Muir Wall di El Capitan. Nel 1968, insieme a Dick Dorworth, Chris Jones, Lito Tejada-Flores e Douglas Tompkins, conquista il celebre Cerro Fitz Roy, in Patagonia, tracciando anche qui una nuova via. Intanto, ha l’idea di introdurre in Nord America i chiodi in acciaio al cromo-molibdeno, lega resistente e leggera che rivoluzionano la protezione in arrampicata. Ma quando si rende conto  che danneggiano in maniera irreversibile le pareti di Yosemite, Chouinard non esita a interrompere la vendita di quello che allora è la spina dorsale del suo business. Una scelta che nessun consulente aziendale avrebbe mai consigliato: rinunciare al prodotto principale, senza un’alternativa consolidata, significa rischiare tutto. Ma l’etica di Chouinard è ripagata: i dadi in alluminio al posto dei chiodi tradizionali aprono la strada al «clean climbing», la scalata senza danni permanenti alle pareti, dando forma all’etica moderna dell’alpinismo.

Patagonia

La nascita del brand Patagonia

Intanto, per sostenere la sua attività di produzione di attrezzature, Chouinard comincia a vendere anche vestiti. Nel 1970, durante un viaggio in Scozia, ha comprato alcune maglie da rugby e quando inizia a rivenderle è un successo. Da questo piccolo inizio nel campo tessile nasce l’azienda Patagonia, per realizzare vestiti pensati per chi vive nelle condizioni aspre delle Ande meridionali, di Capo Horn o, appunto, della Patagonia. Ora, l’attività non è più soltanto un’estensione delle sue scalate, ma diventa il terreno su cui misurare un’idea radicalmente diversa di capitalismo.

Un capitalismo etico

Proprio per chiarire la portata dell’«anomalia» incarnata da Chouinard, Gelles nella sua biografia lo mette a confronto con Jack Welch, l’ex ceo di General Electric scomparso nel 2020 e celebrato come il «manager del secolo». Laddove Welch spingeva sulla crescita senza limiti e sull’ottimizzazione dei profitti trimestrali, Chouinard frena l’espansione, evita i riflettori, sacrifica persino i prodotti di punta quando risultano dannosi per l’ambiente. Entrambi sono ossessionati dalla qualità, ma con definizioni opposte: per Welch voleva dire efficienza e dominio del mercato; per Chouinard, invece, abiti che durino decenni, privi di sostanze tossiche, prodotti in stabilimenti rispettosi dei lavoratori, e dentro un modello d’impresa che faccia sentire il suo fondatore un bravo cittadino del mondo.

Patagonia

«Il provvedimento più doloroso»

Come ogni grande storia, però, anche la scalata di Chouinard – più o meno involontaria – al successo non manca di momenti bui. Negli anni Ottanta, con tassi di crescita del 40% annuo, Patagonia rischia di implodere quando l’economia si ferma bruscamente. Il 31 luglio 1991 Yvon Chouinard è costretto a prendere «uno dei provvedimenti più dolorosi della sua carriera», licenziando 120 persone, circa un quinto dello staff. E’ il primo licenziamento di massa dell’azienda, che lo ricorderà sempre come il suo «Mercoledì nero». L’esperienza scuote Chouinard al punto da spingerlo a ridefinire per sempre la sua strategia aziendale. Da quel momento, Patagonia ha sempre mantenuto ampie riserve di liquidità, scegliendo di non crescere mai troppo velocemente e non rischiare così di ripetere quel trauma.

Quella volta con Walmart…

Ma la storia di Patagonia non è solo ascetismo green. Gelles ne suo libro racconta anche l’insolito quanto breve flirt con la catena di negozi Walmart, per molti simbolo del capitalismo disumano. Chouinard, a un certo punto, era volato fino al quartier generale di Bentonville per parlare ai dipendenti della catena, mentre i manager di Walmart avevano visitato la sede di Patagonia, a Ventura, in California, per studiare le pratiche di sostenibilità introdotte da Chouinard e capire come renderle un vantaggio economico. Alla fine, la partnership non si è concretizzata, dimostrando una verità scomoda: i grandi colossi quotati, vincolati agli utili trimestrali, restano quasi “senza speranza” quando si tratta di un cambiamento profondo.

Chi è Yvon Chouinard, il milionario ribelle che fondò Patagonia e diceva ai clienti: «Non comprate le mie giacche»

La vendita

All’età di 86 anni, Chouinard continua ad essere una figura affascinante perché piena di contraddizioni. Vuole dipendenti felici, ma guida con fermezza. Predica frugalità, ma costruisce un brand globale. Dice ai clienti «non comprate le mie giacche», mentre deve pur venderne per sopravvivere. Allora, come sottolinea Gelles, il punto non è risolvere il paradosso, ma accettarlo e viverci dentro. Sempre pronti a un colpo di scena. Nel 2022, la contraddizione si è trasformata in gesto definitivo: Chouinard vende l’intera Patagonia, valutata 3 miliardi di dollari, a un trust e a una fondazione no-profit destinata a finanziare cause ambientali, devolvendo inoltre l’1% di ogni vendita per la salvaguardia del pianeta. Una struttura giuridica senza precedenti, pensata per garantire l’indipendenza dell’azienda, evitare che la famiglia si arricchisca ulteriormente e convogliare tutti i profitti in attivismo ambientale e persino in advocacy politica, per influenzare le decisioni a livello sociale, economico e legislativo. 

L’eredità

Alla fine, l’eredità di Patagonia si misura nei bilanci, nelle collezioni outdoor, ma soprattutto nell’idea che ha inoculato nel capitalismo contemporaneo: che un’altra via è possibile. Molte multinazionali hanno seguito, almeno in parte, la scia tracciata da Patagonia. Politiche ambientali, welfare aziendale, trasparenza di filiera: misure che un tempo sembravano utopie sono diventate pratiche concrete. Perché, nonostante tutto, «si può fare imprenditoria guadagnando e senza rinunciare alla propria anima». Parola di Chouinard.

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27 settembre 2025 ( modifica il 27 settembre 2025 | 09:24)

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