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Gabriele Muccino: «Il teatro mi ha salvato dalla balbuzie. E racconto una famiglia dispotica come la mia: da piccolo mi svegliavano le litigate dei miei»

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Da bambino volevo fare il veterinario, ma a 17 anni, grazie a una recita scolastica al Teatro Olimpico dove interpretavo un piccolo ruolo, non solo ho superato il problema della balbuzie, ho anche capito che volevo fare il regista». Destino vuole che Gabriele Muccino, dopo una lunga carriera cinematografica, torni a debuttare proprio in teatro: firma la regia e l’adattamento drammaturgico del suo film «A casa tutti bene» che debutta l’8 gennaio al Teatro ABC di Catania, poi in tournée. Storia di una famiglia dispotica che potrebbe sembrare la sua (anche se dei difficili rapporti col fratello non vuole parlare).

Perché la scelta proprio di questo film?
«Perché è già molto teatrale di per sé, quindi è quello con cui è più facile fare i conti sull’unità di luogo e di tempo: si è creata un’osmosi, un’alchimia tra cinema e palcoscenico. La storia è quella di una famiglia dispotica: figli, figlie, mariti, mogli, che si incontrano tutti insieme, e si scontrano nello stesso luogo, per festeggiare le nozze d’oro dei genitori. Tutti i personaggi nel film e a teatro, sono contemporaneamente in scena».

Si può dire che è un suo ritorno alle origini teatrali?
«Direi di sì, ma il grande scoglio per me, che da quel lontano debutto ho fatto solo cinema, è proprio il dover pensare in termini teatrali. Mi sto addentrando in un nuovo mondo: il grande schermo dà delle possibilità che il teatro ti leva, ma te ne dà altre molto interessanti. Ma sto affrontando l’impegno con una certa facilità, perché uno spettacolo dal vivo è come girare un lungo piano sequenza in uno spazio piccolo, al tempo stesso infinito, senza barriere nell’immaginario dello spettatore in sala, con cui, al contrario del cinema, si crea un legame profondo. All’inizio ero più spaventato, adesso le prove scorrono molto bene, non mi sento più l’esordiente di qualche settimana fa».

La storia di questa famiglia dispotica ha a che fare con la sua vita privata?
«Quasi tutti i miei film hanno a che fare con la mia vita privata: a volte in modo massiccio, a volte in maniera parziale, ci sono sempre dentro io che, sin da piccolo, mi svegliavo la mattina sentendo i miei genitori litigare. Ogni famiglia si porta dentro delle condizioni di salute più o meno buone e, crescendo negli anni, grazie al lavoro di scrittore e regista ho potuto mettere un po’ d’ordine nel mio caos personale: potrei definirla una catarsi».

Torniamo indietro al bambino che voleva fare il veterinario…
«Ero un bambino solitario, ma osservavo molto gli altri. Con la famiglia abitavamo in un quartiere al centro di Roma, ma ho ricevuto un’educazione sentimental-rurale: d’estate andavamo nella nostra casa in campagna, una zona tranquilla, dove vivevo un rapporto bucolico con la natura, con gli animali… Amavo fare la vita da contadino, mi svegliavo all’alba, alle cinque o le sei del mattino, mi appassionavano molto i racconti erotici del vaccaro che lavorava da noi e, per esempio, andavo ad assistere all’accoppiamento del toro con le mucche, contemplavo gli uccelli, mi piacevano i falchi, i corvi, volevo allevare i piccioni…. un nutrimento dell’anima: la mia socialità era messa da parte, non mi sentivo preparato al mondo convenzionale, ero felice così».

E la balbuzie?
«Quando ho iniziato a entrare nel mondo reale, al ginnasio, capii di essere profondamente indietro, mi sentivo un pesce fuor d’acqua e ciò scatenò una balbuzie fulminante, che mi creò uno stato di inquietudine. Mi vergognavo perché ovviamente non mi sentivo all’altezza dei compagni di scuola con cui non riuscivo a parlare. Questo problema me lo sono portato avanti fino a quando, proprio grazie al teatro, l’ho improvvisamente risolto. Quella sera della recita c’era la platea gremita, non ero il protagonista ma, sia pure per poche battute, ero al centro dell’attenzione, il pubblico rideva, applaudiva: ho sentito che lì, in quel luogo, esistevo. Dalla sera alla mattina la balbuzie è sparita e in quel momento ho deciso di fare il regista, come se volessi fare l’astronauta!».

Perché il regista e non l’attore?
«Non mi sentivo adatto, non volevo metterci la faccia. Il grande schermo mi affascinava sin da ragazzo: quanti film in un cinema d’essai…».

Cosa si intende con l’aggettivo «mucciniano» relativo ai suoi film?
«Non lo so. Immagino si riferisca al mio stile impetuoso, dinamico e, come dicono i miei detrattori, “urlato”».

Il cinema è in profonda crisi: per questo si converte al teatro?
«No, non è il piano b, e infatti sto montando il mio nuovo film, Le cose non dette».

Cosa la preoccupa per il debutto in palcoscenico?
«Che gli attori, in un’ora e mezzo di messinscena, non si ricordino le battute! Mentre giri un film, se c’è qualche problema di memoria, puoi interrompere e ripetere la scena o risolvere nel montaggio. In teatro sei presente dal vivo e, se cadi, fai rumore!».

27 settembre 2025

27 settembre 2025

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