
Tony Blair è interessato a giocare un ruolo chiave all’indomani della fine del conflitto a Gaza. Lo si sa con certezza quantomeno dallo scorso 27 agosto, giorno in cui l’ex primo ministro britannico ha partecipato a un incontro alla Casa Bianca organizzato da Jared Kushner, il genero di Donald Trump che durante il primo mandato presidenziale di quest’ultimo è stato suo consigliere per il Medio oriente e ha poi mantenuto voce in capitolo al riguardo anche in seguito. Steve Witkoff, l’inviato speciale del presidente degli Stati Uniti, che – come Kushner prima di lui – è incaricato di maneggiare vari dossier delicati tra cui quello ucraino e, appunto, quello mediorientale, a margine di quell’incontro disse che quello che si stava confezionando era «un piano molto ampio».
Ma oggi il Financial Times rivela (e la Bbc conferma) che a Blair sarebbe stato proposto, con l’avallo della Casa Bianca, di presiedere in prima persona la Gaza International Transitional Authority (Gita), ovvero il progettato organo collegiale che dovrebbe gestire la Striscia a partire dal day after – e cioè dal momento in cui dovessero cessare le ostilità e gli uomini di Hamas fossero costretti a uscire di scena.
Secondo una informata ricostruzione pubblicata dal Times of Israel, il piano che Blair sta cercando di mettere a punto nelle ultime settimane attraverso una fitta agenda di abboccamenti con interlocutori di vari Paesi e consultando tutte le parti in causa – un piano che avrebbe ottenuto il sostegno di Trump, ma non ancora quello del governo guidato da Benjamin Netanyahu – prevede che della Gita facciano parte una decina di persone: un funzionario di primo piano proposto dalle Nazioni Unite, dei rappresentanti espressi dai più importanti Paesi musulmani, qualche figura di levatura internazionale con grande esperienza in campo manageriale e finanziario e, per garantire una qualche partecipazione all’Anp di Abu Mazen, almeno un autorevole rappresentante palestinese, che abbia possibilmente un profilo più da tecnocrate che da politico.
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Il piano di Blair non implicherebbe trasferimenti forzati o «volontari» della popolazione della Striscia verso altre regioni, diversamente dai più spregiudicati progetti post-bellici sul modello del progetto sulla «Gaza Riviera» che è stata vagheggiata da Trump – alla cui elaborazione avevano però collaborato, a quanto pare, anche alcuni elementi dello staff del Tony Blair Institute for Global Change, l’organizzazione no profit fondata dall’ex primo ministro del Regno Unito che fornisce consulenze a vari governi di tutto il mondo.
Blair, che già nel 2007 era stato nominato inviato speciale dal cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente (formato da Onu, Stati Uniti, Unione europea e Russia), ha molti interlocutori di lunga data e molte «entrature» in quell’area del mondo, ma sconta ancora una certa diffidenza da parte del mondo arabo per essere stato uno dei più volenterosi promotori dell’intervento in Iraq del 2003: anche per questo la sua nomina a sostanziale «governatore» della Striscia di Gaza all’indomani del termine del conflitto sarebbe piuttosto clamorosa.
Né la Casa Bianca né il Tony Blair Institute for Global Change hanno commentato le rivelazioni dei media britannici sul ruolo che quest’ultimo potrebbe ricoprire nella Gita. Ma il Financial Times sottolinea che le sue reali possibilità di successo si potranno misurare con maggiore precisione solo lunedì prossimo, giorno in cui Trump incontrerà Netanyahu a Washington. E, qualora il premier israeliano dovesse manifestare una sua totale opposizione al “piano Blair”, si potrà (forse) capire quanto Trump sia intenzionato a esercitare una vera pressione sull’alleato.
26 settembre 2025 ( modifica il 26 settembre 2025 | 12:05)
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