Visto che i primi sconfitti per le violenze, in particolare alla stazione Centrale di Milano, sono stati gli organizzatori dei cortei pro Palestina, non si è fatto molto caso al fatto che quella di lunedì fosse una giornata di sciopero generale. Secondo Dario Di Vico, però, non è da sottovalutare il fatto che l’atto di proclamazione ufficiale dello sciopero fosse stato firmato da Daniela Mencarelli, Cinzia Della Porta e Guido Lutrario. «Tre sindacalisti – scrive Di Vico in un intervento sul Foglio – che fanno parte degli organi dirigenti dell’Usb (Unione sindacati di base) ma che sono sconosciuti sia al grande pubblico sia agli addetti ai lavori».
L’identikit dei tre alla guida di Usb
È possibile, ma non troppo probabile, che quei tre nomi si conquistino, d’ora in avanti, una duratura ribalta. Di sicuro, però, un posto sotto i riflettori se l’è assicurato, da un po’, l’Usb, il cui identikit Di Vico tratteggia così: «Nata nel 2010, è una piccola organizzazione della galassia Cobas che però nel tempo si è radicata nel territorio (dichiara 80 sedi territoriali) e soprattutto nei settori dei servizi come logistica, trasporti, scuola e pubblico impiego. (…) Vale il dato che nelle periferie del lavoro vari sindacatini più o meno simil-Cobas sono riusciti a radicarsi, come nel caso di Prato in cui organizzano gli operai pachistani in lotta contro i padroni sia cinesi sia italiani».
Lo sciopero di venerdì
Quel che a Di Vico preme di più far notare è, però, che un altro sciopero pro Palestina c’era stato appena pochi giorni prima, venerdì 19 settembre. A proclamarlo era stata la Cgil di Maurizio Landini. Eppure, fors’anche perché si era generata «una discreta confusione su quali fossero i settori coinvolti e le modalità dell’astensione», «la partecipazione non è stata minimamente paragonabile a quella delle 70 piazze di lunedì». E non basta, a spiegare come sia potuto succedere, il fatto che «il segmento di tute blu più vicino ai sindacati di base, e anche più coinvolto nel boicottaggio delle merci e armi dirette in Israele, è quello dei portuali soprattutto di Genova e Livorno».
Sonora batosta per la Cgil
Di Vico parla piuttosto, senza mezzi termini, di «sonora batosta» per il leader della più grande confederazione sindacale italiana: «Landini in queste settimane è riuscito in una sorta di miracolo mediatico: ha fatto dimenticare al grande pubblico di aver organizzato i referendum flop sul lavoro. E ha continuato a rilasciare interviste da guru come se niente fosse accaduto. Stavolta però la batosta gli arriva da un fronte inatteso e sarà interessante vedere come reagirà».
Il referendum fallito
Va detto che, all’indomani del fallito quorum sui referendum dell’8 giugno, qualcuno aveva provato a dare una lettura del risultato meno catastrofica per Landini. Il filosofo Michele Prospero, sull’Unità, aveva ad esempio scritto che «la circostanza che la validità della consultazione fosse diventata un lontano miraggio ha conferito un valore politico ancora più pregnante alla decisione di quasi 15 milioni di cittadini (significativa è la partecipazione dei giovani) di sfidare il boicottaggio presentandosi ugualmente ai seggi che l’esecutivo, intriso di cultura dei “ludi cartacei”, considerava territorio alieno. (…) L’impolitico Landini ha scomodato quote di astenuti e di delusi cronici, in prevalenza abitanti delle periferie, i quali hanno indotto la destra a gettare la labile maschera sociale. Il sindacato, attraverso i quesiti sulle condizioni di vita dei lavoratori, ha in qualche misura superato il limite costante di una sinistra ancorata al “ceto medio riflessivo”».
L’agire collettivo
Perciò, concludeva Prospero, «è riduttivo archiviare l’8 giugno come mera cronaca di una velleitaria fuga in avanti che è culminata in un ripiegamento scontato. Non si è trattato mica di un ulteriore tassello dell’oramai irreversibile crisi della democrazia. All’opposto, è emersa una – embrionale quanto si vuole – prova di contro-egemonia alla quale il trenta per cento degli elettori ha risposto in modo incoraggiante. Con la disponibilità all’impegno è affiorato un segno di fiducia nella ripresa dell’agire collettivo. Spaventa la parolaccia “rivolta”? Pazienza, in una fase di movimento nascente le metafore non possono essere gentili».
Clima da blocchiamo tutto
Anche Di Vico, però, ammette che c’è un «clima favorevole al “blocchiamo tutto”» e concede che «la coalizione sociale più volte evocata da Landini» si è vista eccome nello sciopero di lunedì. «Ma a portarla in piazza e in clamorosa evidenza è stata la Usb. Lasciando la Cgil in mezzo al guado».
Il terzo settore
Se, come ha scritto Prospero, portando quasi 15 milioni di italiani alle urne l’8 e 9 giugno «la Cgil ha mostrato che la strettoia per il recupero di rappresentanza rimane tuttora aperta», il fatto che in quella strettoia sembri essersi inserito qualcun altro è, per Di Vico, la conseguenza di errori imputabili al segretario generale: «Nella rete sapientemente tessuta in questi anni da Landini sono presenti realtà del terzo settore e organizzazioni come Arci e Acli o Libera ma pare più un’adunata di ufficiali che di soldati semplici. Un progetto cerebrale che quando si scontra con la realtà dei fatti si rivela una sorta di prefabbricato costruito a misura di una leadership e per minare l’unità sindacale più che indicare nuove strade. Con il risultato però che la Cgil da una parte perde le sue caratteristiche storiche fondate sulla contrattazione e la rappresentatività e dall’altra non conquista nuovo consenso».
La storia si è messa a correre
Della forse persino inattesa conquista di consenso è invece comprensibilmente felicissima l’Usb, che sul suo sito scrive: «Ci sarà tempo per fare una valutazione più attenta di quello che è successo, anche se dovremo farlo in fretta. La storia sembra si sia messa a correre. Intanto però, a caldo, abbiamo ancora negli occhi l’entusiasmo di migliaia di giovani e la voglia di riscatto di operai, facchini, autisti, infermieri, commesse, impiegati, giovani a partita iva, precari, occupanti di case, migranti. Il mondo del lavoro che è tornato protagonista e che chiama la cittadinanza, tutta la cittadinanza, ad alzarsi in piedi. Non lo fa per un rinnovo contrattuale ma per chiedere giustizia per un popolo lontano e martoriato. In questa epoca di egoismi e individualismi sembra qualcosa di impensabile. E invece no, la solidarietà tra i popoli, la fratellanza al di là dei confini, non sono valori morti e sepolti, anzi sono vivi e forti. C’era solo bisogno che una soggettività organizzata li valorizzasse e li riportasse alla ribalta. Che una qualche organizzazione avesse il coraggio, contro tutti e tutto, di rimetterli al centro».
La soggettività organizzata
La previsione di Di Vico è che la Cgil tenterà di diventare di nuovo quella «soggettività organizzata», ma nel modo, a suo avviso, sbagliato: «Siccome al peggio non c’è mai fine è possibile che il successo dell’Usb invece di spingere la Cgil a riflettere sull’unità del sindacalismo confederale la porti a cobasizzarsi ulteriormente. Speriamo di no».
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26 settembre 2025
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