
Ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho… manca! Mannaggia manca la Macedonia, altrimenti l’Atalanta avrebbe ricostruito la Jugoslavia intera nella sua rosa con almeno un rappresentante per ognuna delle Repubbliche che costituivano la Federazione implosa negli anni Novanta del secolo scorso. E, a leggere in controluce le biografie dei calciatori, si potrebbe ricavare una fetta consistente di quella storia sanguinosa.
Tutti atleti, intendiamoci, nati dopo i conflitti o a ridosso della loro fine ma che portano nella genealogia le tracce dei destini delle loro famiglie. Il veterano è Mario Pasalic, il croato in nerazzurro dal 2018, nato a Magonza (Mainz) il 9 febbraio del 1995. Cosa ci facessero il padre Ivan e la madre Slavica all’estero è intuibile, visto che soprattutto la Germania era il luogo preferito per gli slavi del sud che cercavano lavoro o fuggivano dalle bombe. Il cannone cessò definitivamente di tuonare in Croazia l’estate successiva quando Zagabria con l’operazione «Oluja» (Tempesta) si riprese i territori della Krajina occupati dai serbi quattro anni prima. Il piccolo Mario potè dunque rientrare, calciare i primi palloni all’età di 8 anni nel Castel Abbadessa per approdare velocemente al club più blasonato della zona, l’Hajduk Spalato che ebbe tra i suoi tifosi il presidente Tito. E infine, dopo molto peregrinare, per trovare il suo porto a Bergamo.
Anche Sead Kolasinac, infortunato ma per fortuna sulla via del rientro, ha aperto gli occhi sotto il segno dei gemelli il 20 giugno del 1993 su un panorama tedesco, esattamente a Karlsruhe. Avrebbe avuto la possibilità di scegliere tra ben tre nazionali, quella di Berlino, quella del Montenegro per via del padre e quella della Bosnia per eredità materna. Ha scelto l’ultima per definire un’identità comunque plurale. Per dire quale temperamento comporti tanta mescolanza, basterà ricordare che il nomignolo del buon Sead è «The tank», avvalorato da quanto successe nel 2019 a Londra: giocava nell’Arsenal e fu aggredito assieme al compagno di squadra Mesut Ozil da alcuni rapinatori, ma ebbe la meglio e riuscì a costringerli a una fuga precipitosa.
Belgrado è stata invasa due volte nel secolo scorso dai tedeschi, durante i conflitti mondiali, e una volta, nel 1941, anche pesantemente bombardata. L’inimicizia tra i due Stati non ha impedito che la locomotiva economica d’Europa fosse un’attrazione irresistibile per i serbi. Se questo vale per la stragrande maggioranza degli emigranti, non così per Lazar Samardzic. Il fantasista forse finalmente pronto a sbocciare sul prato dell’ ex Brumana, è nato a Berlino il 24 febbraio 2002, perché il padre Mladen, serbo di Bosnia, là si era trasferito per la sua carriera di calciatore, era un attaccante di modesto livello trasformatosi in un rognoso manager del figlio (a proposito chiedere all’Inter). Lazar porta un nome illustre dell’epica serba, quello del principe Hrebeljanovic, il nobile poi santo per la chiesa ortodossa, capo dell’esercito che cercò di contrastare l’invasione ottomana dell’Europa ma fu sconfitto e ucciso dal sultano Murad I. È la famosa battaglia del 1389 a Kosovo Polje, la Piana dei Merli.
Il Montenegro è rappresentato dal bomber Nikola Krstovic, originario di Golubovci, un minuscolo paese vicino alla capitale Podgorica, ex Titograd, gia campione di Serbia con la Stella Rossa. Mentre per la Slovenia c’è Relja Obric, nato a Belgrado e sloveno per via di una nonna materna. Tutti incastri che dimostrano quanto inestricabile fosse la composizione etnica della ex Jugoslavia e quanti lutti abbia comportato averla voluta dipanare. A voler allargare la visione ci sono uno sloveno in primavera, il centrale di difesa Max Bilac, un 2007, e un 2004 che ha già visto la prima squadra, il serbo Vanja Vlahovic, ora allo Spezia a farsi le ossa.
A cercare di amalgamare tutte le provenienze meglio di quanto non riuscì alla politica, un allenatore croato di Spalato, Ivan Juric. Classe 1975, era troppo giovane per la guerra del 1991, alcune dichiarazioni rese nel passato alludono alle sofferenze del suo popolo davanti alla soverchiante forza militare dell’esercito ancora per poco jugoslavo e già piegato al volere dei serbi. Ma benché la politica faccia troppo spesso invasione nel campo dello sport, a distanza di anni c’è una sorta di nostalgia della jugosfera che tutti accomuna. E anche negli anni tristi gli sportivi, se pure erano tirati per la giacca dai nazionalisti, nello spogliatoio trovavano le ragioni profonde per stare insieme.
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26 settembre 2025 ( modifica il 26 settembre 2025 | 07:25)
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