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Bebe Vio: «Dopo l’amputazione degli arti temevo che i bambini avessero paura di me. Che emozione alla Casa Bianca con Armani»

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Bebe Vio Grandis, livello di felicità?
«Non so come si misura, ma posso dire oltre il limite?».

Certo, tra l’altro lei ci tiene molto ad avere anche il cognome Grandis di sua mamma.
«Mamma e papà sono fondamentali entrambi».

Quanto alla sua felicità è contagiosa: ha motivi particolari?
«Abbiamo ripreso con la Bebe Vio Academy e per me è sempre un momento emozionante».

Un progetto che ha ideato e voluto fortemente, insieme ad art4sport, l’associazione nata dopo la sua malattia, ricominciato da ieri a Milano e prima a Roma.
«Bambini e bambine, ragazzi e ragazze con e senza disabilità che praticano insieme una decina di sport paralimpici in modo da poter scegliere quello che più piace e andare avanti. Ci credo tanto. A Roma abbiamo aggiunto il bowling e il padel, a Milano lo skate in carrozzina».

Cosa è per lei l’Academy?
«Inclusione che diventa libertà. Senza discriminazioni per la condizione in cui si è. La bellezza della diversità. Vorremmo portarla anche in altre città, a cominciare da Venezia e Torino. Servono sponsor, magari locali».

Che emozioni ha provato a vedere numeri così alti in un progetto partito da zero solo pochi anni fa?
«Tante e forti. Ero alle due inaugurazioni, un ragazzo a Roma mi ha detto: “non ho mai visto mio cugino così felice”. Lo scorso anno a Milano c’era una ragazza in carrozzina. La vediamo tornare in piedi con un ausilio: era migliorata grazie allo sport. Quasi piangevo, anzi tolga il quasi…».

Atleti, ma non solo, anche volontari.
«Vengono dalle università, fanno alternanza scuola lavoro alla scuola superiore, chiamano gli amici. Rimangono tutta la stagione e poi li vedo tornare con il sorriso. E le famiglie coinvolte. Vedo le persone cambiare».

Ha sempre amato stare con i bambini. A 10 anni andava in un asilo a farli giocare.
«Sono il futuro. Da loro si deve partire. Quell’asilo è stato importante per me, l’ho scoperto dopo la meningite. Avevo 11 anni, mi erano appena state amputate braccia e gambe, il viso e il corpo con le cicatrici. Mamma mi dice: ti aspettano per giocare. Pensavo avessero paura di me, di come ero cambiata. Andai ad aiutare. Stupore: mi avevano riconosciuta, ero la stessa di prima! Ecco la bellezza dei bambini. Non interessa come sei, ma chi sei. Capii di lasciare da parte vergogne e paure».

Poi lo sport è stato fondamentale.
«Lo sport paralimpico è una figata. Chiunque ci entri non lo lascia. Fa innamorare anche solo guardandolo e vedendone la bellezza. Figuriamoci far parte del movimento, come succede a me. Ora avremo qui i Giochi di Milano-Cortina. Esserci è il sogno di ogni atleta. Sono fra coloro che piansero quando fu fermata la candidatura di Roma 2024. L’Italia è un esempio culturale per il movimento paralimpico».

Bebe Vio: «Dopo l'amputazione degli arti temevo che i bambini avessero paura di me. Che emozione alla Casa Bianca con Armani»

Ha passato una estate diversa dalle altre.
«Davvero. Per la prima volta non avevo gare da preparare, dovevo riprendermi da qualche guaio fisico dopo i Giochi di Parigi. Mi sono goduta le amicizie, mamma Teresa e papà Ruggero, mio fratello Nicolò e mia sorella Maria Sole. I momenti con loro sono impagabili».

Ora come sta?
«Bene, anche fisicamente. Sono serena, da ogni punto di vista».

Come passa le giornate in questo periodo senza gare?
«Se non mi alleno sento le ossa che si smontano: pesi, allenamento cardiovascolare, boxe. In attesa di ricominciare a tirare, seguo le gare sotto altre vesti».

C’è stato anche il calcio.
«Sono stata al derby. Colori giallorossi con amici laziali. Il mondo del calcio è strano, se si perde è colpa dell’allenatore. Da noi ognuno ha le sue responsabilità».

È stata capa delegazione agli scorsi Mondiali paralimpici di scherma in Corea.
«Bellissimo, mi mancava tanto la squadra. Essere vicino a ogni atleta, passare da una gara all’altra, essere parte del dietro le quinte, anche in cose piccole. Ho fatto il caffè, come sempre, e anche la spesa. Cose che da atleta non percepisci».

Ha impegni con la Federscherma, dove è in Consiglio.
«Una federazione rinnovata, si può creare tanto. Anche nel gruppo paralimpico».

Era molto vicina a Giorgio Armani, memorabile un viaggio negli Usa.
«Avevamo un bellissimo rapporto. Ricordo quelle passeggiate insieme verso la Casa Bianca. In alcuni momenti belli della mia vita c’era lui».

In un mondo pieno di guerre che sensazioni ha nel vedere bambini morti, feriti, affamati?
«È terribile, non si può restare indifferenti: difficile capire cosa si possa fare, pare di essere impotenti. Nel nostro piccolo, credo si debba cercare di rendere migliore il mondo, fare la nostra parte, ognuno nelle sue possibilità».

Lo sport può fare qualcosa?
«Lo sport può avvicinare le persone. Mostrare che la parola nemico non ha senso. Mi è capitato di vedere ucraini e russi che tiravano di scherma. Sarebbe bello lo sport potesse servire a cambiare situazioni così grandi, far cessare conflitti, ma non ci credo. Può migliorare la cultura e la mentalità delle persone, ed è già una cosa importantissima».

Qualche gesto può servire?
«Un tempo si fermavano le guerre durante le Olimpiadi. Sarebbe bello se durante i Giochi olimpici e paralimpici di Milano-Cortina si riprendesse la vecchia usanza. Potrebbe essere un momento per riflettere sulla follia che sta accadendo nel mondo».

25 settembre 2025

25 settembre 2025

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