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Edwy Plenel, co-fondatore di Médiapart: «Così 14 anni fa abbiamo sollevato il velo sul caso Sarkozy. Noi, minacciati da destra a sinistra»

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I lettori possono stare tranquilli: «Le bonnet (il coprimicrofono, ndr) è un po’ scosso per essere stato gettato a terra da Carla Bruni-Sarkozy, ma sta bene», scrive ironicamente Médiapart. E lo storico fondatore, Edwy Plenel, 73 anni, rotto a ben altre provocazioni, al telefono con il Corriere prosegue sulla stessa linea: «Da oggi in poi non dirò più abbonez-vous, abbonatevi, ma abonnet-vous…».

Il caso del «berretto» di spugna rosso maltrattato dalla ex première dame viene sepolto così, da un sorriso sotto i baffi; a margine di una giornata storica per la politica e la giustizia francese, ma anche per questo sito di informazione (e soprattutto d’inchiesta) costruito nel 2008 da Plenel (dopo 25 anni da caporedattore a Le Monde) come una sfida alla grande stampa francese. E via via affermatosi come il terzo quotidiano online del Paese, oltre 230 mila abbonati, zero pubblicità, nessun investimento né ingerenza esterni.

Soddisfatto?
«Beh, non ci sarebbe stato questo processo senza Médiapart — risponde Plenel da Modena, dove presiede la giuria del Dig, il Festival di giornalismo investigativo —. Abbiamo fatto le prime rivelazioni sull’affaire Sarkozy-Gheddafi 14 anni fa; la Procura se n’è occupata due anni più tardi, e noi intanto siamo andati avanti anche con le nostre indagini».

Ruolo chiave l’ha avuto il Parquet national financier, istituzione giudiziaria creata a Parigi per combattere la grande criminalità economica e finanziaria…
«…messa in piedi nel 2013 dopo l’affaire Cahuzac (sottosegretario socialista alle Finanze durante la presidenza Hollande, condannato per frode e riciclaggio, ndr) sollevato ugualmente da un’inchiesta di Médiapart. Dimostrazione dell’importanza di un giornalismo e di una giustizia indipendenti, in una democrazia viva».

Nel caso del processo all’ex presidente Nicolas Sarkozy, qual è il cuore? Come lo riassumerebbe?
«Si tratta di un’enorme vicenda di corruzione. La condanna è stata inflitta in ragione di un’associazione criminale, che nel codice penale francese è quanto di più simile all’italiana associazione a delinquere di stampo mafioso. E cioè un’associazione il cui scopo è la corruzione, la regola è segreta, il fine sono i soldi, il potere».

L’inchiesta stavolta è arrivato fino al vertice assoluto dello Stato: un ex presidente della Repubblica. La stupisce?
«No, perché la Francia è una sorta di monarchia repubblicana, l’Eliseo una roccaforte che protegge chi la occupa. E Médiapart è diventato un sassolino nella scarpa di questa gente. Gli impediamo di accordarsi tra di loro e al fondo di essere protetti da un’aura d’impunità».

Al di là del gesto stizzoso della signora Sarkozy, avete nel tempo ricevuto minacce, pressioni?
«Sono stato anche attaccato fisicamente in un ristorante per alcune rivelazioni legate al #metoo (si riferisce all’attrice e regista Maïwenn, condannata a un risarcimento, ndr)… Ci sono stati degli atti violenti, ma anche una violenza verbale, da destra a sinistra. Sarkozy ha detto che siamo “una fabbrica di falsi”; per Mélenchon (il leader della France Insoumise, ndr) siamo un “giornalaccio”…».

Dal presidente Mitterrand, quando era a «Le Monde», passando per Hollande, lei — che pure viene da una militanza giovanile nella corrente trotskista del Partito socialista — non ha fatto mai sconti a nessuno. Meno che mai all’attuale capo di Stato Emmanuel Macron. Che cosa gli imputa?
«In modo quasi caricaturale, la volontà popolare è oggi a Parigi confiscata da una sola persona, che ha tutti i poteri. Compreso quello di non tener conto delle elezioni parlamentari e delle proteste, di agire senza contraddittorio».

Non è questa la forza del sistema presidenziale francese?
«Quel che voi in Italia considerate un generatore d’instabilità, il vostro sistema parlamentare, io lo vedo come una protezione, perché obbliga a una cultura del confronto, della discussione. Quella che in Francia sembra stabilità è invece debolezza, impasse. Che aggrava il sentimento generale d’impotenza. E produce collera. Di qui gli scioperi, le grandi manifestazioni di piazza e i movimenti come “blocchiamo tutto”. E nel disastro delle sinistre inconciliabili, l’ascesa anche da noi della destra estrema».

25 settembre 2025

25 settembre 2025

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