
Gli impatti ripetuti causati dai colpi di testa a un pallone da calcio possono essere causa di deficit cognitivi.
Non è la prima volta che emerge la problematicità di questa pratica tramite analisi mediche. Questa volta sono stati i ricercatori del centro medico Irving della Columbia University (Usa) a progettare uno studio condotto su calciatori adulti dilettanti di New York City pubblicato il 18 settembre su JAMA Network Open.
Lo studio
La ricerca si è concentrata sull’analisi della corteccia cerebrale e sulla somministrazione di test cognitivi a 352 calciatori amatoriali adulti e 77 atleti di pari età non praticanti sport di contatto.
Gli scienziati hanno sviluppato una tecnica di imaging cerebrale per mappare l’area della corteccia cerebrale appena dietro la fronte, una zona da cui in genere è meno facile ottenere immagini accurate.
Utilizzando la risonanza magnetica «a diffusione», una tecnica che esamina la microstruttura e l’organizzazione cellulare, hanno ottenuto immagini del cervello dei partecipanti adatte a osservare l’interfaccia tra la materia bianca e quella grigia.
L’interfaccia è una zona essenziale per il funzionamento del sistema nervoso: permette alla materia grigia, che si trova sulla superficie (corteccia), di comunicare efficacemente con altre aree del cervello attraverso le fibre della materia bianca. L’interfaccia tra i due strati è vulnerabile alle lesioni. Negli individui sani la transizione tra i tessuti è netta. «Qui abbiamo studiato se un’attenuazione di questa transizione potesse essere presente in soggetti che avessero effettuato colpi di testa con un pallone», hanno scritto gli studiosi.
I risultati
I risultati hanno mostrato che i giocatori che colpivano di testa più spesso (più di 1.000 colpi di testa all’anno) presentavano transizioni significativamente più sfumate tra la materia grigia e quella bianca nella regione orbitofrontale, ma non in altre regioni più profonde del cervello. Gli stessi giocatori ottenevano risultati di qualche punto peggiori nei test di apprendimento e memoria rispetto ai giocatori che colpivano di testa poco o per niente. Danni maggiori nella zona di transizione erano collegati a prestazioni peggiori nei test.
L’encefalopatia traumatica cronica
«La localizzazione dell’anomalia da noi segnalata è sorprendentemente simile a quella osservata nei danni da CTE, anche se non sappiamo ancora se le anomalie da noi registrate siano collegate alla CTE o se qualcuno di questi atleti attualmente sani svilupperà CTE», hanno commentato gli autori.
La CTE, encefalopatia traumatica cronica, è una malattia degenerativa del cervello provocata da ripetuti colpi alla testa.
La patologia, portata a conoscenza del grande pubblico con il film denuncia del 2016 «Zone d’ombra» con Will Smith, può causare problemi di memoria, prestazioni cognitive ridotte, cambiamenti d’umore, aggressività, depressione (che può spingere al suicidio), demenza, Alzheimer.
Negli anni e con il susseguirsi degli studi è emerso che le lesioni caratteristiche della CTE sono dovute ai colpi presi in testa: i colpi scuotono il cervello che sbatte contro il cranio e lo scuotimento (concussion, in inglese) causa il danno ai tessuti.
Gli sport a rischio
I colpi che creano lesioni, si è visto, non sono solo quelli così forti da causare commozioni cerebrali o trauma cranici: possono essere anche quelli ricevuti abitualmente durante gli sport di contatto o negli sport dove si colpisce con la testa.
Non solo, l’allarme per football americano, boxe, rugby e hockey su ghiaccio (in primis) non riguarda solo gli atleti professionisti, ma anche ragazzi che praticano lo sport a livello amatoriale, come aveva evidenziato uno studio pubblicato su Jama Neurology.
Adesso questo nuovo studio conferma i dati di un lavoro precedente che aveva scoperto che i calciatori che colpivano la palla di testa ad altezze elevate mostravano anomalie nella sostanza bianca del cervello.
19 settembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA