
Ciò che dobbiamo
aspettarci nei prossimi giorni, sicuramente anche nei prossimi mesi, lo confermano sia la cronaca che le parole del premio Pulitzer Percival Everett: «La destra americana continuerà a sfruttare apertamente, senza vergogna, la terribile morte di Charlie Kirk. Vedrete. Trump ha cominciato a cavalcare questa tragedia quando ancora il povero Charlie Kirk non era stato dichiarato morto».
Everett è appena atterrato a Parigi. Condivide al telefono con il Corriere le sensazioni e le paure seguite all’omicidio, mercoledì alla Utah Valley University, di una delle figure più influenti del trumpismo — uno dei «figli» di Joe Rogan e Ben Shapiro (quest’ultimo, su X, ha scritto di avere «il cuore spezzato») —, che attraverso i suoi podcast ha raccolto una giovanissima generazione di americani alla corte del presidente. Un influencer della politica.
A Kirk, 31 anni, ieri Trump ha annunciato il conferimento postumo della Medaglia presidenziale della libertà, la Presidential Medal of Freedom, una delle massime onorificenze degli Stati Uniti. Una ulteriore conferma, secondo Everett, di «come trasformare in atto politico un omicidio». Silenzioso osservatore dei costumi americani, Everett si esprime con l’usuale tono pacato e fermo, come uno che alla soglia dei 70 anni si è abituato a vivere in un Paese dove la violenza delle armi da fuoco scandisce i ritmi della cronaca e della politica.
Signor Everett, l’America sembra sull’orlo di una nuova guerra civile. Trump parla di «caccia all’uomo» riferendosi alla ricerca del killer di Kirk e attacca la «sinistra radicale». Influencer di estrema destra attribuiscono la responsabilità della sparatoria ai dem.
«È lo scenario che vorrebbe creare la destra trumpiana. Se il tuo scopo è creare divisioni all’interno della società, anche dopo il brutale assassinio di un giovane di 31 anni, allora c’è poco di cui discutere. Anzi, non viene lasciato alcuno spazio al confronto, al dibattito. Rendere politica la morte di un essere umano è molto triste. Bisognerebbe fare un passo indietro, prendere caute distanze, almeno finché non sappiamo qualcosa di più. Condannarla, certo, ma essere cauti con le parole, senza fomentare ulteriore odio e violenza. Lo scopo dei repubblicani è dividere».
Che cosa dice dell’America di oggi questo omicidio?
«La morte di Charlie Kirk ha a che fare con la natura degli Stati Uniti, un Paese ossessionato dai fucili e dalla violenza».
Che cosa succede ora? L’omicidio di Kirk produrrà una nuova spirale di violenza in America?
«Spero di no. Quello che succederà è che la base di Donald Trump si stringerà ancora di più attorno al presidente. Ho paura che la morte di Charlie Kirk verrà sfruttata per ricorrere a maggiore violenza. Lo ripeto, a costo di sembrare noioso: rendere politico questo omicidio è un enorme passo falso della Casa Bianca. Nessuno dovrebbe morire in questo modo. Dovremmo essere in lutto in questo momento».
Kirk è uno dei «figli» di Joe Rogan, sostenitore, a volte critico, di Trump, i cui podcast sono molto seguiti. Fa parte di una generazione che in certi campus gode di popolarità, in grado di influenzare masse di persone che vanno a votare. È quella la direzione della politica americana?
«È una trasformazione a mio parere molto triste del dibattito politico, in generale del confronto, soprattutto all’interno dell’accademia americana. Vorrei specificare che non ho mai considerato Kirk una minaccia. Il confronto libero e aperto non è qualcosa di cui i progressisti hanno paura. Kirk aveva visioni opposte alle mie, sulle questioni di genere, sulle armi, sull’immigrazione, ma non avrei mai avuto problemi a confrontarmi con lui».
Qualcuno ha scritto che c’è un problema di libertà di espressione in America.
«Quello in cui credo è evitare di promuovere violenza. Ultimamente, purtroppo, le nostre università non hanno promosso lo spirito di confronto che le ha sempre contraddistinte».
11 settembre 2025
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