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Siamo figli di san Francesco: il nuovo libro di Aldo Cazzullo

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Di uomini così, ne nasce uno ogni mille anni. Duemila anni fa abbiamo avuto Gesù. Nel millennio precedente avevamo avuto Buddha. Nel millennio successivo abbiamo avuto san Francesco. Vedremo cosa ci attende ora, in questo millennio appena cominciato. Che, se non daremo retta a san Francesco, se non seguiremo il suo amore per la natura e il suo rispetto per la dignità umana, potrebbe essere l’ultimo.

Francesco e Buddha

La storia di Gesù è nota. La raccontano i Vangeli, peraltro non così letti come crediamo che siano. La storia di Buddha è stata narrata in molti testi e scolpita nella pietra di Borobudur, sull’isola di Giava. Borobudur è un tempio alto come una montagna: forse il luogo che più mi ha colpito al mondo, insieme con gli splendidi affreschi di Cimabue e del suo allievo Giotto nella basilica di San Francesco ad Assisi. La grande differenza è che ad Assisi c’è il vero volto di Francesco, il ritratto che vedete sulla copertina di questo libro. E c’è il suo corpo: nascosto, ritrovato, venerato. A Borobudur non c’è il corpo di Buddha, che fu arso sulla pira funebre. E vengono raccontate non una, ma molte storie: perché Buddha non è uno solo, così come il nostro tempo, il nostro mondo non è l’unico. Secondo il buddhismo, molti mondi si sono succeduti e si succederanno; e ognuno ha avuto il proprio Buddha. Il Buddha «storico», quello del nostro tempo, era un principe. Si chiamava Siddharta Gautama, era figlio di un sovrano che regnava sull’attuale Nepal, alle pendici dell’Himalaya. E la sua storia ha sorprendenti punti di contatto — oltre a ovvie differenze — con quella di Francesco(…).

Siddharta è il Buddha «storico», il nostro Buddha; ma prima di lui ne sono vissuti molti altri, e anche le loro storie sono in parte raccontate a Borobudur. C’è un bassorilievo che mi ha colpito in modo particolare. Raffigura un re nel suo palazzo. Dalla finestra entra un passero, inseguito da un falco. Il passero si rifugia presso il re, che lo prende sotto la sua protezione. Ma il falco protesta: per salvare il passero, il re condannerà a morte lui, destinato a morire di fame. Colpito, il re offre al falco il proprio stesso corpo: si taglierà la quantità di carne pari al peso del passero, e la darà in cibo al falco. Ma prodigiosamente la carne del re, posta sulla bilancia, non eguaglia mai il peso dell’uccellino. Alla fine il sovrano, per salvare sia il passero sia il falco, dovrà sacrificare se stesso. Per evitare che altri muoiano, sarà lui a morire. Proprio quel supremo gesto di amore, di bontà, di carità farà di lui un Buddha: l’illuminato, il risvegliato, il salvato dal ciclo delle rinascite e quindi dalla schiavitù del dolore. A noi cristiani viene in mente il sacrificio di Gesù sulla croce, e anche la carne martoriata di san Francesco: l’amore che vince su ogni cosa, pure sul dolore e sulla morte (…).


Siddharta
è il titolo di un libro di enorme successo di Hermann Hesse. Meno noto è che Hermann Hesse abbia dedicato un libro anche a san Francesco. È un libriccino breve, ma prezioso. Perché ci fa capire l’eccezionalità di Francesco. Proprio come quella di Buddha e di Gesù. Francesco, scrive Hesse, fa parte di quelle straordinarie creature che «hanno portato Dio vicino a tutti gli uomini e hanno restituito nuovamente valore al mistero della creazione». Creature che «si ponevano nude di fronte alla terra e al cielo, come se fossero stati i primi uomini, mentre noialtri riteniamo di poter vivere solo nell’involucro di sicure rappresentazioni e di abitudini acquisite». Non è meraviglioso? Francesco, come Gesù, come Buddha, si spoglia di se stesso, e si pone nudo davanti al mondo; come se fosse il primo uomo, il nuovo Adamo, un altro inizio per l’umanità. Nudo non in senso metaforico, ma letterale. Francesco si spoglia nella piazza del suo paese, tra lo scandalo e l’incredulità generale. Non soltanto restituisce i suoi vestiti al padre; rinuncia a essere suo figlio. Il suo vero padre è Dio; per questo lui è l’alter Christus
, un altro Gesù. Per questo chiama fratelli e sorelle tutte le creature: il sole, le stelle, la luna, il vento, il cielo, le nuvole, i frutti, i fiori. Tutti gli elementi: l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco. E tutte le avversità: la malattia, il dolore, financo la morte.

I crociati e gli eretici

San Francesco visse in un tempo grandioso e terribile. Il tempo dell’imperatore Barbarossa, che nel 1176 era stato sconfitto dai milanesi e dai loro alleati del Nord Italia, e di suo nipote Federico II, che si innamorò del Sud e fu chiamato Stupor Mundi, stupore del mondo. Il tempo di Saladino, che riconquistò Gerusalemme, e di Gengis Khan, che devastò l’intero Oriente e morì meno di un anno dopo Francesco. Il tempo in cui Fibonacci fa risorgere la matematica in Occidente, individuando una sequenza di numeri presente in molte forme naturali; mentre in Sicilia Cielo d’Alcamo getterà, pochi anni dopo Francesco, le fondamenta della nostra letteratura, scrivendo anche lui versi nella lingua del popolo. Il tempo di Papi potenti e spietati, che erano i veri sovrani d’Italia e tenevano testa all’imperatore. Il tempo in cui vengono gettate le fondamenta del mondo moderno. San Francesco visse nell’epoca delle città e delle università. L’epoca in cui comincia a circolare molto denaro, in cui vennero inventate le banche, la finanza, la borghesia; e Francesco, prima di scegliere la povertà, apparteneva a una famiglia ricca, alla nuova classe sociale che si era elevata dalla massa dei contadini senza disporre dei privilegi della nobiltà: appunto, la borghesia. Era l’epoca in cui si eressero cattedrali dalle guglie lanciate verso il cielo e dalle grandi vetrate inondate di luce. L’epoca delle crociate e degli eretici. San Francesco partecipò a una crociata, ma non per uccidere infedeli; per convertirli, o per cercare il martirio. E san Francesco rischiò di essere bruciato come eretico.

C’era nella sua santità una vena di follia. E non soltanto perché parlava con le piante e con gli animali (e aveva una particolare venerazione per gli uccelli e per gli agnellini). Ma perché rifiutava i vestiti, il cibo, una cavalcatura, un letto. Abbracciava i lebbrosi. Si lasciava picchiare, ferire, umiliare dai prepotenti. Non aveva alcuna ambizione se non quella di servire. E confondeva i ricchi mettendo loro in mano monete d’oro.

La nascita del capitalismo non poteva che creare una reazione. Finiva il tempo dell’economia di corte, chiusa, agricola, segnata dallo scambio e dal baratto, e iniziava un tempo nuovo in cui in poche mani si accumulavano enormi ricchezze, senza alcuna forma di redistribuzione che non fosse la carità. Tutto questo generò scontento e inquietudine, che presero a volte la direzione della rivolta, altre volte quella della rinascita spirituale. Proprio in quel tempo di Papi sempre più potenti e di mercanti sempre più ambiziosi, crescevano indomabili la volontà di giustizia, l’aspirazione alla povertà, l’ansia di riscoprire il Vangelo, il sogno di vivere come Gesù. Sorgevano profeti, veggenti, penitenti. Alcuni pagarono quel sogno con la vita. San Francesco seppe metterlo al servizio della Chiesa e della sua possibile rinascita. Era animato da un’energia indomabile, da una forza di ribellione, da una «violenta sete di infinito e di eterno».

San Francesco era determinato sin dalla giovinezza a fare qualcosa di eroico, di nobile, di grandioso, che fosse davvero all’altezza della sua epoca; finì per fare qualcosa di eterno, che l’avrebbe proiettato al di fuori del tempo, lontano dai limiti di tutto ciò che si disintegra, si corrompe, si consuma, sino ad arrivare, intatto e anzi più forte che mai, ai giorni nostri. Quando finalmente, dopo otto secoli, è sorto un Papa di nome Francesco. E dopo di lui è venuto un Papa che ha scelto il nome dell’amico del cuore di Francesco: Leone.

Perché è il primo italiano

La celebre definizione di san Francesco — «il più italiano dei santi» — viene attribuita di solito a Mussolini, oppure a Papa Pio XII. In realtà è di Vincenzo Gioberti, che scrisse
Del primato morale e civile degli italiani
, un’opera che all’inizio del Risorgimento restituì orgoglio ai nostri compatrioti, ai nostri antenati, negli anni in cui l’Italia unita non era che un sogno. E Gioberti definisce Francesco «il più amabile, il più poetico e il più italiano de’ nostri santi». In un primo tempo avevo pensato di usare questa espressione come sottotitolo del libro. Poi ho preferito quella che avete letto: il primo italiano. Non è una citazione. Non appartiene a nessuno. Me ne assumo la responsabilità. Consapevole che sarà molto criticata. San Francesco non si è mai definito italiano. Non ha mai parlato di Italia. Il suo scenario era Assisi, e il mondo. Ma, se è per questo, neppure Dante, che invece di Italia parla moltissimo, la pensava come uno Stato, o una nazione. Del resto, il concetto attuale di Stato, di nazione, di patria è un’invenzione dell’Ottocento. Quando Sancho Panza torna a casa con don Chisciotte dopo mille pagine di peripezie, si inginocchia a benedire la patria, il luogo dove ci sono i suoi morti e i suoi ricordi: che era appunto il paesello della Mancha, non la Spagna, al tempo un’espressione geografica (c’era l’impero, e c’era una monarchia assoluta), proprio come l’Italia.

Eppure credo che Francesco possa davvero essere considerato il primo italiano. Non è una tesi scientifica. È un’adesione spirituale. Un moto dell’anima. San Francesco è il primo italiano perché è una figura fondamentale, anzi fondativa, della nostra identità. E non perché oggi è il patrono d’Italia. Quella è solo una conseguenza. Francesco è il primo italiano perché è il primo a scrivere una poesia meravigliosa, il Cantico delle Creature, nella nostra lingua: il volgare, la lingua del popolo, l’antenato dell’italiano moderno. Francesco è il primo italiano perché nacque, morì e fu sepolto nel cuore della penisola, abitò i luoghi più segreti e ameni dell’Italia centrale, e per l’Italia viaggiò, nelle città e nei boschi, a Firenze e nei romitori, a Bologna e nei santuari di montagna. Perché ha inventato il presepe vivente, matrice dei grandi presepi custoditi nelle chiese e dei tanti piccoli presepi che sono in ogni casa, in ogni famiglia italiana. Perché, comunicando il Vangelo attraverso la parola, la musica, il mimo, il gesto, ha consentito lo sviluppo del teatro e delle rappresentazioni. Perché ha ispirato i più grandi italiani della storia: sono stati terziari francescani, quindi appartenenti al suo ordine sia pure da laici o da sacerdoti, Giotto, Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, forse anche Galileo Galilei, di sicuro Alessandro Volta, Luigi Galvani, Guglielmo Marconi, Alessandro Manzoni, don Bosco, fino ad Alcide De Gasperi. Perché per primo, incarnando il Vangelo, ha sostenuto non solo a parole ma con l’esempio che tutti gli uomini nascono liberi e uguali, e che tutti siamo uguali davanti a Dio. Perché ha riconosciuto la dignità a ogni essere umano. Ha trattato le donne da pari a pari. Ha amato e difeso i bambini, in un tempo in cui erano considerati adulti più piccoli. Si è preso cura dei malati, dei deformi, dei lebbrosi, delle persone ai margini della società. E così ha posto le fondamenta della lettura italiana del cristianesimo: una fede non incompatibile con la ragione, incentrata non solo su Dio ma anche sull’uomo, capace di dialogo e di rispetto verso gli altri popoli e le altre religioni, che è poi l’essenza dello spirito di Assisi.

Francesco è il primo italiano perché è il precursore dell’umanesimo, che è il grande contributo dato dall’Italia alla civiltà universale.

Francesco è il primo italiano anche perché, riscoprendo il creato, lodando la natura, parlando agli animali, proclamando che ogni cosa è nostra sorella, ha cambiato la nostra visione del mondo. E ha ispirato generazioni di artisti. Ha restituito vita all’arte. Ha indotto i pittori a sostituire il fondo oro con il paesaggio. Prima i santi erano dipinti come se fossero già in Paradiso, circonfusi di luce, in una dimensione astratta, eterea, distanziante. San Francesco viene raffigurato in mezzo alla natura, sempre circondato da piante, animali, profili di montagne, cieli pieni di nuvole; così lo spettatore diventa parte dell’opera. Noi che guardiamo siamo lì, accanto a Francesco, con lui, e quasi lo ascoltiamo parlare. Per questo possiamo considerare eredi di Francesco anche i più grandi artisti del Trecento, Giotto nella pittura e Dante nella parola.

Giotto e Dante

Giotto ad Assisi ha costruito quello che per secoli sarebbe stato l’immaginario del santo. Dante lo adorava. Frequentava la chiesa dei francescani fiorentini, Santa Croce. E gli dedicò versi meravigliosi: «Del suo grembo l’anima preclara/ mover si volle, tornando al suo regno/ e al suo corpo non volle altra bara». San Francesco volle essere sepolto nella nuda terra. Come Papa Francesco. E il grembo da cui, secondo Dante, la sua anima luminosa si mosse per salire in cielo è quello della donna amata: la povertà.

La povertà non fu certo inventata da san Francesco. Al suo tempo la maggioranza degli esseri umani era povera; e nessuno può capirlo meglio di noi, nati al tempo del trionfo della borghesia e della classe media, e vissuti al tempo del suo impoverimento. Ma Francesco dimostrò che la povertà può essere non soltanto imposta e subìta, ma scelta, accettata. E se sarebbe disumano che tutti volessimo essere poveri, tutti possiamo capire che non siamo al mondo solo per guadagnare denaro, assegnare bonus milionari ai manager che licenziano, trafficare in bitcoin, fare soldi con altri soldi, e portarli nei paradisi fiscali.

Francesco il primo italiano: più ci penso, più mi piace, più mi emoziona. Libero il lettore di interpretare «il primo italiano» in senso cronologico, o in senso morale e spirituale. Perché Francesco è la nostra aspirazione al bene e al bello. Francesco è la parte migliore di noi.

Il libro e le presentazioni

«Francesco. Il primo italiano»

di Aldo Cazzullo, ritratto del Santo di Assisi di cui nel 2026 si celebreranno gli 800 anni dalla morte, esce per HarperCollins Italia il 16 settembre (pp. 288,
e
19,50): qui sopra e anticipiamo un estratto. L’autore lo presenterà in un tour in varie parti d’Italia. Le prime tappe: l’11 settembre sarà al Festival della Comunicazione di Camogli; lunedì 15 settembre a Verona, nella Chiesa di San Bernardino, in dialogo con il vescovo Domenico Pompili; sabato 27 a Bologna per la XVII edizione del Festival Francescano, in dialogo con Marcello Longhi, presidente dell’Opera San Francesco per i poveri; venerdì 19 ad Assisi, nella Basilica di San Francesco: lunedì 6 ottobre a Milano, al Museo Poldi Pezzoli, con Elvira Serra e domenica 19 a Roma, nella Chiesa di Sant’Ignazio, in dialogo con i cardinali Matteo Maria Zuppi e Mauro Gambetti.

11 settembre 2025 (modifica il 11 settembre 2025 | 09:31)

11 settembre 2025 (modifica il 11 settembre 2025 | 09:31)

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