
Al Karolinska Institutet di Stoccolma già nel 2021 si erano accorti che se alcuni ragazzi si allenavano a tennis con la realtà virtuale per un po’ le loro prestazioni miglioravano anche sul campo.
Lo studio pubblicato insieme a colleghi svizzeri, brasiliani e sloveni sulla rivista Frontiers in Psychology non forniva però una spiegazione di quanto osservato che invece adesso i neurologi diretti da Patrick Manser hanno trovato: in un nuova nuova ricerca appena pubblicata su Alzheimer Research & Therapy, valutando con risonanza magnetica chi effettua quelli che ora si chiamano exergame, cioè videogiochi con esercizio, hanno visto che fanno aumentare soprattutto ippocampo e talamo e anche la corteccia cingolare e prefrontale del cervello. E ciò in sole 12 settimane di esercizio, indicando sia la grande neuroplasticità cerebrale, sia come questa può essere indotta con metodi alla portata di tutti. I 40 partecipanti allo studio avevano un’età media di 73 anni e soffrivano di Mci, la compromissione cognitiva lieve, detta anche dimenticanza patologica. Si sono allenati a casa per 5 volte alla settimana con sessioni di 25 minuti l’una usando un software di gioco che utilizzava uno schermo e un pannello sul pavimento che misurava i loro passi.
Exergame
Per questi videogiochi basta infatti avere un video o un visore su cui uno speciale software proietta l’immagine virtuale della scena.
Per entrare nell’ambiente virtuale occorrono una pedana sensibile al carico dei piedi che valuta il nostro equilibrio e sensori inerziali da indossare (accelerometri, giroscopi, ecc.) che, insieme a una telecamera 3D, valutano i nostri movimenti. Risulta che un game virtuale stimola il controllo oculo-podalico, la coordinazione e la rapidità dei movimenti degli arti come quello reale.
Avatar Sinner
Gli appassionati della racchetta da poco possono anche cimentarsi con gli avatar di Sinner o di Alcaraz su videogiochi come Top Spin 2K25o allenarsi su PlayStation Virtual Tennis dove muovendo le dita in un certo modo è possibile eseguire lanci precisi e controllati indirizzando la palla nel modo desiderato e posizionando l’avatar di gioco dove si vuole tramite i piedi.
Oltre lo sport
Dapprima l’utilità degli exergame era emersa nell’allenamento e nella riabilitazione dello sport per poi trovare spazio anche nelle malattie cardiovascolari, nel post-ictus e nella malattia di Parkinson.
Ora la scoperta dei ricercatori svedesi li proietta verso la terapia della demenza di Alzheimer sulla scia di quanto si è sempre raccomandato circa l’utilità di cruciverba e parole crociate da usare in questa malattia, ma con gli exergame si aggiunge una componente che in quegli esercizi per la mente mancava: la propriocezione, cioè la sensazione del proprio corpo nello spazio e di come noi ci rapportiamo al nostro corpo in funzione dell’ambiente.
I ricercatori hanno dimostrato che i cambiamenti nell’ippocampo e nel talamo rilevati erano correlati a migliori prestazioni cognitive e a un miglioramento della memoria, indicando un potenziale effetto diretto dell’allenamento sulla malattia.
Due centri chiave
L’ippocampo, un’area a forma di cavalluccio marino sita nella profondità del nostro cervello, è correlato proprio alla memoria spaziale, all’orientamento e all’apprendimento di nuove informazioni e movimenti.
Il talamo, anch’esso sito nella profondità del cervello, trasmette alla corteccia cerebrale informazioni provenienti dall’esterno e dall’interno del corpo. È vitale nell’elaborazione e nell’avvio dei segnali sensoriali. Integra le informazioni soprattutto visive grazie alle sue connessioni con le aree cerebrali motorie e premotorie per la pianificazione dei movimenti volontari, ma è anche un centro di integrazione e di coordinazione per funzioni come la veglia e il sonno.
Corteccia cerebrale
I ricercatori svedesi hanno osservato effetti simili anche sulla corteccia cingolata anteriore e su quella prefrontale.
La corteccia cingolata anteriore è il centro dell’esecuzione razionale indipendente dall’emotività dotata di sistemi atti a svolgere un compito, soprattutto se non routinario, mentre la corteccia prefrontale, la parte di cervello che abbiamo dietro la fronte, è il centro di comando delle funzioni cognitive superiori, in sostanza ciò che ci distingue come homo sapiens.
Nei soggetti usati come gruppo di controllo nello studio svedese il volume di queste aree era addirittura diminuito. «Queste regioni svolgono un ruolo importante nelle malattie neurodegenerative e la riduzione dell’ippocampo è una caratteristica precoce della demenza. I nostri risultati sono incoraggianti soprattutto per le persone che mostrano i primi segni di demenza» – ha commentato il professor Eling de Bruin del Politecnico di Zurigo e dell’Università della Svizzera orientale, responsabile del progetto e coautore dello studio – «Con un allenamento mirato tramite exergame sembra possibile rallentarne i sintomi».
11 settembre 2025
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