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Il fronte ucraino si allarga all’Europa: con quali conseguenze?

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La Polonia subisce una violazione del suo spazio aereo da parte di droni russi e invoca l’articolo 4 della Nato, nel giorno in cui Ursula von der Leyen pronuncia il suo discorso sullo Stato dell’Unione.

L’Amministrazione Trump propone/suggerisce/esige che gli europei si associno a lei nel varare maxi-sanzioni contro Cina e India per punire i loro acquisti di energia fossile da Mosca, agitando così la minaccia di una escalation nella guerra economica contro Putin (com’è lontano il tappeto rosso di Anchorage…). 

Il fronte ucraino conosce così una nuova recrudescenza in tutti i sensi, militare e diplomatico, si allarga coinvolgendo in modo più stringente l’Unione europea. Mentre sono a Bruxelles per una serie di incontri con la comunità diplomatica in questa sede, alcuni chiarimenti su questi sviluppi recenti.

Cos’è l’articolo 4 del Trattato Nord Atlantico invocato dal governo polacco? Stabilisce il principio della consultazione tra gli alleati quando un membro si sente minacciato. «Le Parti si consulteranno ogniqualvolta, a giudizio di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle Parti sia minacciata». Qualsiasi membro della Nato può invocare l’articolo 4 se ritiene che la propria sicurezza sia minacciata, anche senza che vi sia stato un attacco armato. Diversamente dall’articolo 5, più noto e dibattuto che impegna gli Alleati alla difesa collettiva in caso di attacco armato, l’articolo 4 riguarda consultazione e coordinamento, non un’azione militare automatica. Viene spesso usato come strumento politico e diplomatico per portare questioni urgenti all’attenzione del Consiglio Nord Atlantico (il principale organo decisionale della Nato). Non è un evento senza precedenti, il passo compiuto dal governo di Varsavia. Tra gli esempi recenti di utilizzo: la Turchia ha invocato l’articolo 4 più volte (per esempio durante la guerra civile siriana, dopo attacchi vicino al suo confine); Polonia e Stati baltici lo hanno invocato nel 2022, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, per consultarsi sulla sicurezza regionale.

Anche l’incursione di droni russi nei cieli della Polonia denunciata oggi, ha dei precedenti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Un elenco dettagliato di questi episodi lo potete consultare ad esempio su Wikipedia alla voce «Violations of non-combatant airspaces during the Russian invasion of Ukraine». 

Come si può constatare, gli «sconfinamenti» di spazi aerei di paesi Nato da parte delle forze armate russe – non solo con droni, anche missili, cacciabombardieri, elicotteri militari – sono stati numerosi. Oltre alla Polonia molti altri paesi del fronte Est sono stati violati, tra cui Romania Ungheria e Croazia (quindi non molto lontano dai confini italiani). Più di recente però sembra esserci stato un crescendo di questi episodi da parte di droni in Polonia, con un susseguirsi a breve distanza negli ultimi giorni. Il 4 settembre scorso, due droni russi sono entrati nello spazio aereo polacco durante un attacco verso l’Ucraina occidentale. L’8 settembre un drone con scritte in cirillico si è schiantato nei pressi della frontiera tra Bielorussia e Polonia. La notte tra l’8 e il 9 settembre più droni russi (fino a otto) sono penetrati nello spazio aereo polacco in prossimità di Zamość. Le autorità polacche, unitamente con forze statunitensi e alleate, hanno elevato l’allerta radar e difensiva; gli aeroporti di Varsavia, Rzeszów e Lublino sono stati chiusi temporaneamente. L’incursione del 9‐10 settembre non è certo la prima nel suo genere, tuttavia sembra una delle più gravi fino a oggi. Donde l’appello all’articolo 4 della Nato. Anche questo gesto però non è senza precedenti. Oltre al 24 febbraio 2022, giorno dell’inizio della guerra su larga scala in Ucraina (quando Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Slovacchia invocarono l’Articolo 4) il governo di Varsavia lo aveva già fatto una volta prima, precisamente il 3 marzo 2014, in occasione delle precedenti tensioni con la Russia (fu l’anno dell’annessione della Crimea).

La Polonia si conferma come un paese-chiave nella nuova geopolitica europea. O forse si tratta di un suo ritorno all’antico, alla casella di partenza: fu l’invasione della Polonia da parte di Hitler e Stalin (quando nazisti tedeschi e comunisti sovietici erano alleati) a scatenare la seconda guerra mondiale. Durante la guerra fredda, dopo decenni di oppressione da parte di Mosca, fu la Polonia il primo tassello a sgretolarsi nel blocco dell’Est: con gli scioperi del sindacato libero Solidarnosc nei cantieri di Danzica, sotto la guida di Lech Walesa e con «l’appoggio esterno» di papa Wojtyla. E oggi non a caso la Polonia è il paese che spende la percentuale più alta del suo Pil per la difesa, fra tutti i membri della Nato: più degli stessi Stati Uniti. Con l’adesione alla Nato dei due paesi ex-neutrali Svezia e Finlandia, Varsavia è diventata il perno geopolitico di un nuovo asse del Nord-Est: dove si concentra la maggiore consapevolezza sulla minaccia dell’espansionismo russo.

Questa escalation di tensione non lascia indifferente Donald Trump. L’illusione che il presidente americano aveva nutrito in occasione del summit con Putin in Alaska sembra dissiparsi velocemente. I toni della Casa Bianca si stanno inasprendo di nuovo verso Mosca, e senza dubbio in questo c’è l’influenza del segretario di Stato e National Security Adviser Marco Rubbio, che non è mai stato un russofilo. Il Financial Times ha anticipato l’ultima mossa di Trump nella nuova escalation di minacce economiche: ha chiesto all’Unione Europea di imporre dazi fino al 100 per cento su India e Cina, come parte di uno sforzo congiunto per aumentare la pressione sulla Russia. Il presidente avrebbe avanzato questa richiesta straordinaria dopo essersi collegato a una riunione di martedì tra alti funzionari statunitensi ed europei riuniti a Washington per discutere come accrescere il costo economico della guerra per Mosca. Un passo così drastico però violerebbe il fragile consenso costruito nei vari incontri di Ginevra/Londra/Stoccolma tra le delegazioni di Stati Uniti e Cina. Potrebbe provocare una reazione da parte di Pechino che includa nuovamente il rallentamento delle esportazioni di magneti in terre rare. Non è chiaro se Trump sia davvero disposto a correre questo rischio.

Quanto accade sul fronte ucraino consiglia di aprire gli occhi sulla verità scomoda che Ursula von der Leyen ha dovuto affrontare nel suo discorso sullo Stato dell’Unione: il riarmo europeo è vitale, è imposto dall’aumento dei pericoli attorno a noi. Poiché spesso questo riarmo viene contestato come un sacrificio insopportabile, che renderebbe l’Europa più povera negando risorse ai servizi sociali, è bene ricordare che il dilemma «burro o cannoni» è fuorviante

Il vero impatto economico della difesa l’ho riassunto in un rapporto presentato da The European House Ambrosetti al Forum di Cernobbio lo scorso weekend. Eccone una sintesi.

Nel 2024 le vittime globali di guerre sono cresciute del +27%. E non è più solo la guerra «tradizionale»: oggi parliamo di conflitti «ibridi», dove cyber-attacchi e campagne digitali hanno lo stesso peso delle armi convenzionali. In Europa gli attacchi informatici sono quasi raddoppiati nell’ultimo anno.

La spesa europea è oggi circa 350 miliardi di euro, pari all’1,9% del Pil. È simile a quella ufficiale della Cina (molto inferiore a quella reale), è il 44% in meno rispetto agli Usa. La Commissione UE ha fissato un obiettivo ambizioso: arrivare al 5% del PIL entro il 2035. Significa più che triplicare la spesa fino a superare i 1.100 miliardi di euro. Non basterà spendere di più. Servirà una governance comune, una vera convergenza degli interessi nazionali, e una filiera industriale europea integrata, con massa critica sufficiente per reggere la concorrenza con Stati Uniti e Cina. Altrimenti rischiamo di disperdere queste risorse.

Nel quinquennio 2019-2023 il fatturato del settore è cresciuto del +7,4% annuo, contro il +5% del Pil Ue. L’occupazione ha fatto segnare un +7,2% all’anno, contro lo 0,7% del complesso dell’economia europea. Anche l’export è un punto di forza: +9,4% medio annuo. E lo stesso vale per gli investimenti in ricerca e sviluppo: +9,2%. La difesa non è solo una spesa, è un motore di crescita e di innovazione.

In Italia l’industria della difesa e sicurezza nel 2024 ha generato 22 miliardi di euro di fatturato diretto, dando lavoro a oltre 62mila persone. Se aggiungiamo l’indotto, parliamo di 60 miliardi e 145mila occupati. Innovazione: siamo quarti in Europa e 11esimi al mondo per numero di brevetti legati alla difesa negli ultimi 35 anni. Quarti in Europa e noni al mondo per pubblicazioni scientifiche. Per ogni euro di fatturato diretto, se ne attivano altri 1,72 nell’economia italiana. Per ogni occupato diretto, se ne generano altri 1,3. Spesso la difesa viene vista solo come una spesa. Questo studio dimostra il contrario: è un investimento. In sicurezza, certo, ma anche in tecnologia, in ricerca, in posti di lavoro qualificati. Si tratta di proteggere i nostri confini, e al tempo stesso di rafforzare la capacità di innovare, di competere e di crescere.

10 settembre 2025, 16:10 – modifica il 10 settembre 2025 | 16:11

10 settembre 2025, 16:10 – modifica il 10 settembre 2025 | 16:11

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