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Auto elettrica o benzina: accelerare, frenare o sterzare? Tutti i dilemmi dell’Europa, cosa c’è che non va

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Frenare o accelerare, questo è il dilemma. Parliamo (ancora) di passaggio ai motori elettrici, perché l’Unione europea, a quanto pare, ancora non sa decidersi. David Carretta e Christian Spillmann, nella loro newsletter «Mattinale europeo», segnalano che 150 imprese chiedono a Ursula von der Leyen di non indietreggiare sui veicoli elettrici e anzi di lanciare un’azione più audace per la leadership europea nella mobilità elettrica. Società come Volvo e Polestar (auto), Verkor, Samsung e LG Energy (batterie), Iberdrola, EDP e A2A (utility), Uber (servizi) e Ikea (mobili), sottolineano che l’obiettivo del 2035 per lo stop alla produzione – non alla circolazione – di auto con motori a combustione interna, ha già generato centinaia di miliardi di euro in nuovi investimenti in Europa, dalle gigafactory di batterie in Francia e Germania, agli stabilimenti automobilistici ristrutturati o nuovi in Slovacchia e Belgio.

«Un passo indietro ora – avvertono – eroderà la fiducia degli investitori, rallenterà lo slancio e darà un vantaggio a lungo termine ai concorrenti globali. Se la Commissione sceglierà di aprire a tecnologie meno efficienti, rischierà una maggiore dipendenza dalla Cina e una perdita di influenza globale». Nella lettera si chiede a von der Leyen (che il 12 settembre incontrerà gli esponenti dell’industria europea dell’auto) una strategia industriale molto più decisa per ampliare la produzione di batterie, incentivi intelligenti per sostenere il passaggio ai veicoli elettrici e investimenti accelerati nelle reti di ricarica e nella riforma dei permessi per realizzare infrastrutture di elettrificazione.

Michael Lohscheller, Ceo di Polestar, è esplicito: «L’obiettivo dell’Ue del 2035 di porre fine alle vendite di nuove auto a combustione è stato un punto di svolta. Ha dato chiarezza all’industria, direzione agli investitori e certezza ai consumatori. Indebolirlo ora invierebbe il segnale opposto: che l’Europa può essere convinta a rinunciare ai propri impegni. Ciò non danneggerebbe solo il clima. Danneggerebbe la capacità dell’Europa di competere».

Il nodo multe

Ma, a proposito di segnali opposti, nel Mattinale, si solleva anche il dubbio che Ursula von der Leyen abbia proposto troppo in fretta di cancellare le multe previste per i produttori di automobili che non rispettano gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per le nuove flotte alla fine del 2025. Secondo uno studio di Transport & Environment (T&E), le case automobilistiche europee hanno venduto il 38 per cento in più di auto elettriche nei primi sette mesi dell’anno e tutte, tranne Mercedes-Benz, sono sulla buona strada per rispettare gli obiettivi di emissione dell’Ue per il periodo 2025-27. Secondo T&E, Bmw, Stellantis e Renault sarebbero ampiamente in linea con la normativa dell’Ue, mentre Volkswagen rientrerebbe di poco entro i limiti. Per contro, Mercedes-Benz è l’unica casa automobilistica europea che non riuscirebbe a raggiungerli da sola. Il costruttore tedesco, che detiene la presidenza dell’associazione Acea, dovrebbe pagare Volvo Cars e Polestar per acquistare crediti in un accordo di pooling ed evitare le multe. Secondo T&E, la proroga di due anni sulle multe permetterà alle case automobilistiche di rallentare l’elettrificazione e porterà a 2 milioni di auto elettriche vendute in meno tra il 2025 e il 2027.

Inutile dire che, nel mondo dell’auto, non tutti la pensano come le 150 aziende firmatarie dell’appello di cui sopra. Basti per tutti l’intervista di Oliver Zipse, ceo di Bmw, con Politico Europe. Sulla data del 2035, Zipse dice: «Penso che stiamo facendo un disservizio a noi stessi scegliendo un punto quasi arbitrario del futuro e dicendo che, per quella data, tutte le aziende dovranno allienarsi». A suo avviso, anche dopo il 2035 l’Ue dovrebbe consentire cinque tipi di propulsione: diesel, benzina, ibridi plug-in, veicoli elettrici e idrogeno. «A differenza di alcuni dei maggiori detrattori della legge sul 2035, tra cui il ministro dell’Industria italiano Adolfo Urso e il Partito popolare europeo – sottolinea Politico Europe – Zipse non vuole che la legge venga completamente annullata. Invece, sostiene, bisognerebbe rivedere la normativa per calcolare le emissioni totali di carbonio di un veicolo, anziché imporre emissioni zero allo scarico».

Molte case automobilistiche sostengono anche che i biocarburanti (prodotti con materiale vegetale) e gli e-fuel (carburanti sintetici ottenuti da energia rinnovabile e CO2 catturata) siano più puliti dei combustibili fossili tradizionali. Al che c’è chi obietta che non sono comunque altrettanto ecologici quanto i veicoli elettrici e non possono essere prodotti su larga scala per essere utilizzati nelle auto (qui un Dataroom sul tema, di Domenico Affinito e Milena Gabanelli).

Premesso che è comprensibile che aziende diverse abbiano posizioni diversi in base a investimenti fatti e vantaggi (o svantaggi) attesi, sul dilemma accelerare o frenare mi ha colpito, qualche giorno fa, una battuta, da un palco di Festivaletteratura a Mantova, di Alessandro Aresu, autore di Geopolitica dell’intelligenza artificiale. Presentando il suo nuovo libro La Cina ha vinto (Feltrinelli), a una domanda su quando l’Europa avesse perso il treno dell’innovazione, Aresu ha citato l’arrivo dell’iPhone di Apple, che in qualche anno ha portato alla crisi di Nokia, in precedenza leader del settore. Per Aresu non solo non si è intravista la rivoluzione che stava arrivando nelle telecomunicazioni, ma «non si è capito che la crisi di Nokia avrebbe portato alla crisi di Volkswagen». Una miopia che continua, almeno a quel che ha scritto qualche giorno fa il Financial Times sui ritardi nel capire che la auto stanno diventando sempre più «smartphone su 4 ruote» (ne abbiamo parlato nella Rassegna del primo settembre): «Gli analisti avvertono che è probabile che l‘industria automobilistica segua la stessa direzione degli smartphone e dei pc, con un numero limitato di sistemi operativi come iOS e Android che finiranno per dominare il settore del software. Aggiungono che la transizione sposterà fondamentalmente il modus operandi del settore dalla progettazione, costruzione e vendita di automobili (un modello di business caratterizzato dall’ingegneria meccanica e da margini di profitto relativamente ridotti) verso software e servizi. (…) La lenta transizione ai veicoli elettrici tra le case automobilistiche tradizionali ha ostacolato i loro sforzi per sviluppare software di prima classe». (Il ritardo europeo sul fronte dei robotaxi a guida autonoma, denunciato dall’Economist, è un altro esempio)

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Su quel palco, a Mantova, con Aresu c’era Cesare Alemanni. E il suo libro Velocissima. L’industria dell’auto da Henry Ford a Elon Musk (Luiss) si chiude proponendo, più che di accelerare o frenare, di riflettere sull’opportunità, magari, di sterzare. «Per decenni, i grandi gruppi occidentali hanno investito in Cina, portando know-how e tecnologie, convinte di mantenere il controllo del gioco. Oggi, invece, si scoprono in difficoltà, mentre nuovi attori si impongono a livello globale. L’Occidente, che ha sempre visto nell’auto un simbolo del proprio primato, fatica ad accettare questa inversione di ruoli. (…) Sorge allora una domanda radicale: e se la vera innovazione non fosse solo nel cambiamento del come e del dove si producono le auto, ma del come e del perché ci muoviamo? La crisi dell’industria automobilistica occidentale potrebbe essere l’occasione per immaginare, in anticipo sul resto del mondo, un futuro della mobilità completamente diverso, che vada oltre le pesanti eredità (anche politiche) del Novecento.

 Perché se è vero che l’auto privata di proprietà ha permesso stili di vita senza precedenti lo è anche che essa ha imposto nuove forme di dipendenza collettiva: dall’approvvigionamento petrolifero alla logistica, dalla pianificazione infrastrutturale alla regolamentazione ambientale. Il boom della motorizzazione di massa ha ridefinito il paesaggio e il tempo delle persone, costruendo un immaginario fatto di autostrade e di mobilità senza limiti apparenti. Tuttavia, dietro l’illusione della libertà a quattro ruote, si è sviluppata una complessa rete di vincoli economici e geopolitici, in cui il possesso di un’auto è divenuto meno un privilegio e più un obbligo. (…) E se provassimo – proprio qui, in Europa – a ripensare il concetto stesso di mobilità, in forme meno dipendenti dalla proprietà dell’auto privata?». Alemanni è ben consapevole dei problemi enormi (sociali, occupazionali, finanziari, urbanistici, fiscali, politici) che comporterebbe il creare «un continente meno auto-centrico». Però, avverte, «se le tendenze industriali proseguono alla velocità attuale, tra qualche anno l’immaginazione potrebbe essere l’unica cosa che ci resta».

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10 settembre 2025

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