
La nuvola di Fantozzi era un effetto speciale. Quelle evocate da Luca Bigazzi, magistrale direttore della fotografia, sono un fenomeno naturale. «Quando lavoro, ho la strana sensazione che io sia in grado di fare spuntare il sole d’inverno. Oppure — continua Bigazzi — di fare rannuvolare d’un tratto il cielo d’agosto, al mare. Un po’ presuntuoso da parte mia, vero?». Scherza Bigazzi, pronto a raccontarsi al Treviglio Cinema Festival (oggi al Teatro Nuovo, alle 20.45). Il biglietto costa 14 euro e vale anche per la proiezione, il 16 settembre alla multisala Anteo, di «La grande bellezza». Il film premio Oscar e romanocentrico di Paolo Sorrentino, le cui grandi bellezze sono state illuminate da Bigazzi.
«La grande bellezza», del 2013, è forse il maggiore film italiano del secolo XXI. Che ricordi ne ha?
«Malgrado fra tutti i film che ho fatto quello che preferisco sia “Il divo”, sempre di Sorrentino, “La grande bellezza” è meraviglioso. Inoltre rappresenta l’ultimo mio lavoro girato in pellicola, uno strumento ormai preistorico. La pellicola è inquinante, costosa, pericolosa, elitaria. Sono felice di non doverla utilizzare più. Oggi, il digitale ci permette di svolgere il nostro mestiere in maniera elastica. I telefoni cellulari, addirittura, garantiscono una qualità di ripresa straordinaria. A Treviglio vorrei parlare anche di questo. Spero che tanti giovani film maker vengano a sentirmi, per potergli raccontare le possibilità spaventosamente alte che gli smartphone offrono. Quando ho cominciato io, l’apparecchiatura per piccole produzioni indipendenti era dispendiosissimo. Con gli attuali mezzi l’estetica deve per forza mutare, ma si aprono svariate possibilità. Per questo, credo sia utile parlare con le nuove generazioni».
Cos’altro le preme di dire, riguardo la sua professione, al pubblico che viene ad ascoltarla?
«Che ci sono molti modi diversi di fare il mio mestiere. Però, anzitutto, in questo lavoro considero fondamentale la velocità. Perché i film sono degli attori e dei registi. La luce è un elemento così immateriale che gli altri faticano a capire ciò che io e i miei colleghi stiamo facendo sul set. Dunque, il direttore della fotografia non può prendersi il diritto di perdere tempo».
Dice che un film è principalmente di attori e registi. Partiamo dagli attori. Toni Servillo, il protagonista di «La grande bellezza», è fresco vincitore della Coppa Volpi a Venezia.
«Non ho ancora visto “La grazia” (il film di Sorrentino per cui Servillo è stato premiato, ndr). Ho la certezza che sia molto bello. Toni è un interprete straordinario, sono felice per lui. Nella mia vita ho incontrato tanti attori e resto sempre colpito dalla concentrazione e dalla fragilità della loro professione. Sarà, forse, che la mia memoria è scarsissima (ride, ndr). Un premio a Venezia l’avrebbe meritato anche Barbara Ronchi».
Protagonista di «Elisa». Il film di Leonardo Di Costanzo, fra i cinque titoli italiani in gara all’ultima Mostra, è ora nelle sale (a Bergamo lo programma il Capitol).
«Non avevo mai lavorato con Barbara. Per me ha rappresentato uno choc, è fra le attrici più attente e preparate che conosca. Non ha mai commesso un errore, durante tutta la lavorazione del film. Davvero strabiliante».
Con alcuni registi (da Gianni Amelio a Silvio Soldini) ha avuto lunghe collaborazioni. È stato il direttore della fotografia di Sorrentino in sette film e due serie tv, ma non ha firmato gli ultimi tre.
«Io e Paolo siamo in buonissimi rapporti. Ma penso che le collaborazioni con i registi debbano durare non più di 15-20 anni, perché poi il rischio è di conoscersi troppo bene. Ed è giusto, anche per preservare la propria creatività, provare strade nuove»
Vai a tutte le notizie di Bergamo
<!–
Corriere della Sera è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.–>
Iscriviti alla newsletter di Corriere Bergamo
10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 14:05)
© RIPRODUZIONE RISERVATA