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Ghiacciai, persa in 60 anni una superficie grande come i laghi di Como, Varese e Idro insieme

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Se si pensa ad un lago si pensa inevitabilmente all’acqua, se si pensa ad un lago come quello di Como si pensa a una enorme quantità di acqua. Ora ragioniamo in termini di superficie e non di volume e teniamo come riferimento sempre il lago di Como: ha un’estensione di circa 146 km quadrati. Se mettiamo insieme tutti i km quadrati di area glaciale persi negli ultimi 60 anni dai ghiacciai delle Alpi italiane si arriva ad una superficie di 170 kmq. Pari insomma a quella del lago che tanto piace a George Clooney più quella dei laghi di Varese e di Idro. Tanto, tantissimo ghiaccio che si è trasformato in acqua e che non si è più riformato. E che con il cambiamento climatico in atto ha davvero poche chances di ricostituirsi, perlomeno in assenza di interventi concreti che generino un’inversione di tendenza nel riscaldamento globale.   

Il dato numerico serve a capire la situazione generale, ma le osservazioni sul campo permettono di comprendere cosa stia realmente succedendo in alta quota e quali potrebbero essere le ripercussioni sull’ambiente e sulla tenuta idrogeologica dei territori. A inizio settembre con la tappa in Val d’Ala (a cui abbiamo partecipato anche noi, QUI il nostro racconto), si è chiusa  la «Carovana dei Ghiacciai» di Legambiente, la campagna estiva di verifiche sul campo dello stato di salute delle aree glaciali giunta alla sua sesta edizione, che ha stilato il bilancio dell’iniziativa evidenziando preoccupazione anche per una situazione che spesso passa sotto silenzio, ovvero la degradazione del permafrost. Vale a dire lo strato di terreno o roccia che rimane ghiacciato per almeno due cicli stagionali consecutivi e che è una sorta di cemento per i versanti montuosi d’alta quota. La sua riduzione o scomparsa ne mette a serio rischio la stabilità. In Germania ne è stata addirittura prevista la scomparsa completa entro i prossimi 50 anni. E lo stesso potrebbe accadere anche a tutte le altre aree alpine, che nell’ultimo decennio  hanno registrato  un aumento medio delle temperature che in alcuni casi è andato anche oltre un grado centigrado. 

La Carovana – composta da scienziati, studiosi e attivisti – ha monitorato otto ghiacciai tra il 17 agosto e il 2 settembre. Cinque in Italia (quelli dell’Adamello e del Ventina in Lombardia, il Solda in Alto Adige e quelli di Bessanese e Ciamarella in Piemonte) e tre all’estero (l’Aletsch in Svizzera, considerato il Re delle Alpi; e quelli della Zugspitze, lo Schneeferner e l’Höllentalferner). «Tutti quanti sono accomunati dallo stesso destino – spiegano i promotori dell’iniziativa -, ovvero un arretramento frontale e una riduzione di area e spessore». Che hanno come conseguenza una trasformazione del paesaggio ma anche e soprattutto la modificazione degli ecosistemi: prati e boschi occupano lentamente gli spazi lasciati liberi dai nevai, innescando trasformazioni che diventa necessario studiare e governare. 

Ed è proprio questo il messaggio che viene lanciato al termine di questa campagna: «Dati ed evidenze scientifiche – sottolinea Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – ci portano nuovamente a chiedere azioni urgenti di mitigazione, puntando sulle energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni climalteranti. E su misure di adattamento, con un piano nazionale che preveda interventi efficaci». Si tratta insomma di stabilire come convivere con un ambiente che cambia e che diventerà sempre più centrale. Le città più calde porteranno sempre più persone a spostarsi nelle terre alte, ma queste, in molti casi, saranno sempre più instabili e soggette a crolli, frane e inondazioni. Uno scenario che può apparire apocalittico ma che ha già iniziato a manifestarsi con alcuni segnali questa estate, come la frana provocata dal collasso del ghiacciaio Birch che ha raso al suolo il 90% dell’abitato di Blatten, in Svizzera, o il crollo di cima Falkner sopra a Madonna di Campiglio. Due casi in cui non si sono registrate vittime – nel primo il crollo era previsto e il paese è stato evacuato per tempo, nel secondo è stata pura casualità – ma che spiegano bene il rischio crescente. 

I ghiacciai, sottolineano gli scienziati che li monitorano, non solo arretrano ma diventano sempre più neri, coperti da colate detritiche e caratterizzati ai lati dalla formazione di morene. Viene dunque meno anche l’effetto riflettente del bianco, con conseguente maggiore accumulo di calore. Il deterioramento del permafrost rende meno stabili anche le pareti rocciose che vi si sono appoggiate per secoli, con i conseguenti crolli. 

Di qui la richiesta pressante di piani di monitoraggio alpino a livello europeo. Il citato caso di Blatten mostra come di fronte all’ineluttabilità del distacco la conoscenza della situazione abbia permesso di evacuare per tempo la popolazione. La Fondazione glaciologica italiana ha messo a punto uno specifico protocollo scientifico. «Questo si concretizza nel seguire nel tempo l’evoluzione dei parametri geografico-fisici dei ghiacciai – spiegano Valter Maggi e Marco Giardino, che della Fondazione sono presidente e vicepresidente -, nell’elaborare le informazioni storiche e soprattutto nel produrre cartografie utili per interpretare gli scenari futuri del cambiamento dell’ambiente glaciale. Questo approccio permette di trovare le risposte agli impatti del riscaldamento climatico sull’alta montagna, consentendo di distinguere le zone più pericolose da quelle che lo sono di meno, individuare quelle che offrono nuove risorse e servizi ecosistemici per il futuro e quelle in cui effettuare scelte di sviluppo sostenibile, come le aree proglaciali che offrono servizi di regolazione delle piene». 

«Ci sono esempi positivi in questo senso – evidenzia Vanda Bonardo, responsabile Alpi di Legambiente e presidente di Cipra Italia  -: si va dall’esperienza di gestione del rischio che abbiamo visto funzionare nel caso di Blatten allo studio del permafrost in Germania, ma c’è anche il caso della ricerca multidisciplinare nell’area sperimentale del bacino della Bessanese in cui istituzioni diverse, come il Cnr, l’Arpa e la stessa Fondazione glaciologica italiana lavorano insieme per studiare e affrontare un problema che ha ripercussioni su vari fronti». Anche in quest’ottica nei mesi scorsi era stato sottoscritto il «Manifesto europeo dei ghiacciai e delle risorse» chiedendo ai decisori politici di prestare più attenzione al mondo della scienza e della ricerca. 

10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 13:38)

10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 13:38)

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