
Se nel film precedente («Downton Abbey II – Una nuova era», 2022) l’austera dimora dei Grantham veniva invasa da una troupe cinematografica come metafora del nuovo che avanza, oggi con «Downton Abbey – Il gran finale» diretto da Simon Curtis i tempi nuovi rischiano addirittura di mettere in discussione i principi su cui si regge tutta la società.
Siamo nel 1930 e quello che doveva rimanere nascosto tra le mura di casa finisce sui giornali: Lady Mary (Michelle Dockery) ha chiesto il divorzio da un marito che si interessa più alle auto che alla moglie e questa decisione le costa di fatto l’ostracismo della buona società inglese, perché come dirà l’ex maggiordomo Mr. Carson (Jim Carter) ci sono sempre stati matrimoni che non funzionavano, ma i nobili erano abituati a «mettere tutto nello zaino e a continuare per la loro strada». Poi, allo scandalo morale, si aggiunge quello finanziario: l’eredità della mamma americana di Lady Cora (Elizabeth McGovern) che avrebbe dovuto aiutare i bilanci dei Grantham è finita in fumo per colpa di suo fratello Harold (Paul Giamatti), che non solo ha dilapidato il patrimonio ma è anche arrivato dagli States a Downton Abbey con l’amico Sambroock (Alessandro Nivola) e l’intenzione di chiedere altri soldi.
Senza dimenticare quello che è il problema più grande e cioè la «successione» al trono di Downton Abbey, vale a dire alla guida della proprietà, a cui ambirebbe Lady Mary ma che il padre (Hugh Bonneville) non vorrebbe cedere: ci sono delle decisioni pratiche da prendere, ma soprattutto c’è da ammettere che il tempo passa e bisognerebbe lasciar spazio alle nuove generazioni.
Tutto questo, però, è raccontato con la leggerezza, l’ironia e il divertimento che Julian Fellowes aveva dimostrato ampiamente nella serie televisiva e nei due film precedenti e che qui conferma appieno. Ogni cosa è filtrata dal confronto tra nobili e servitù, con cui ormai si è instaurato un rapporto che si avvicina quasi alla confidenza. Quasi, naturalmente, perché la classe (soprattutto quella della nobiltà di lunga data) non è acqua e nel gioco delle parti ognuno sa stare al suo posto e rispondere solo se interrogato. Eppure, proprio a dimostrare che il vero tema del film sono i tempi che stanno cambiando, qualche crepa nella gerarchia si intravvede: Lord Grantham chiederà consiglio all’esperienza di Mr. Carter o riconoscerà apertamente il debito di gratitudine che ha con Mr. Bates (Brendan Coyle). E Lady Merton (Penelope Wilton) costringerà anche i più snob della comunità ad abbandonare una tradizione ammuffita (per l’annuale festa agricola) aprendo le porte anche a chi ha osato divorziare. Senza dimenticare l’invito a cena dai Grantham per Noel Coward (Arty Froushan) che saprà smontare i pregiudizi contro Lady Mary grazie all’uso del pettegolezzo e della curiosità.
Insomma, ancora una volta il collaudato microcosmo alto e basso di Downton Abbey si rivela un meccanismo perfettamente oliato e perfettamente efficace. E se il motore della storia è evidentemente affidato al pregiudizio contro il divorzio e alle resistenze nel lasciare il governo della tenuta, questa volta a conquistare il primo piano sono le intelligenti strategie di Anna Bates (Joanne Froggatt) e di Miss Baxter (Raquel Cassidy), la filosofia popolare della cuoca che va in pensione (Lesley Nicol) e l’irruenza giovanili di chi le subentra (Sophie McShera), come a voler sottolineare che il futuro non può che essere donna. O comunque «fluido» perché con Noel Coward, sono invitati anche l’attore Guy Dexter (Dominic West) e l’ex maggiordomo diventato suo compagno Thomas Barrow (Robert James-Collier). Tutti un po’ più vecchi ma tutto ancora più simpatici.
Con un’ultima, piccola rivincita che lo sceneggiatore (pure lui nobile: Fellowes è barone di West Stafford) si prende sull’America e gli americani, facendo ammettere al newyorkese Harold che se l’Atlantico divide il vecchio mondo da quello nuovo e da una parte dovrebbe esserci il passato e dall’altra il futuro, a volte è meglio la «vecchia» Inghilterra alla «nuova» America.
9 settembre 2025
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