
Decidere è sempre difficile soprattutto se si tratta di qualcosa d’importante.
Ma ci sono malattie come ansia, depressione, insonnia cronica, ecc. che rendono una scelta ancor più problematica per il sovraccarico di alcuni circuiti nervosi.
Ci sono poi alcune malattie come quelle di Parkinson o di Alzheimer che rendono decidere quasi impossibile, tant’è che il cosiddetto indice di decision making, cioè la capacità di fare una scelta, è diventato un marker per valutare la loro gravità.
I test
In psicologia esiste un test per valutare la decision making che si basa sulla teoria dei cosiddetti giochi comportamentali di adattamento in cui, con particolari valutazioni analitiche, si possono comprendere i comportamenti scelti da soggetti interagenti fra loro per raggiungere ognuno i propri obiettivi, in genere un premio in danaro offerto dai ricercatori.
I migliori decisori ragionano in modo strategico e razionale come il venusiano Spok della serie filmica Star Treck: considerando tutte le informazioni a loro disposizione, comprese le aspettative sul comportamento degli altri partecipanti al test.
Parkinson e tremore essenziale
Chi soffre di Parkinson è un pessimo decisore, mentre, come hanno appena indicato su Nature Communication i ricercatori del Virginia Tech Carilion School of Medicine, non ha problemi chi è affetto da tremore essenziale, una malattia che all’esordio può essere confusa con quella di Parkinson, ma che è un’entità clinica differente con tutt’altra base neurobiologica legata al deficit del neurotrasmettitore serotonina nel cervelletto, un hot spot di controllo dei movimenti posto sopra la nuca.
Nella malattia di Parkinson ad essere alterato è invece un altro neurotrasmettitore, la dopamina che nel cervelletto ha un’importanza marginale.
Dagli anni ’90 è emerso un inatteso coinvolgimento del cervelletto anche nella regolazione affettiva con problemi nell’esecuzione di compiti complessi di decision making (i cosiddetti disturbi delle funzioni esecutive) che è stata definita Cerebellar Cognitive Affective Syndrome, cioè sindrome affettivo-cognitiva cerebellare, concetto assai strano per un freddo coordinatore di movimenti.
I ricercatori della Virginia adesso non hanno evidenziato disturbi di decision making in chi soffre di tremore essenziale e anzi hanno indicato come ciò rappresenti un ulteriore distinguo dalla malattia di Parkinson.
Analisi
Per scoprirlo si sono avvalsi di un modello di machine learning che utilizzava il test del comportamento adattativo con cui hanno valutato questi pazienti confrontandoli con quelli che soffrivano di Parkinson.
Hanno però usato un trucchetto: ai partecipanti hanno poi offerto a caso ricompense adeguate o inadeguate.
Nel frattempo in tutti veniva valutata la quantità e il tipo di neurotrasmettitore rilasciato a livello cerebrale: è risultato che quando le ricompense monetarie violavano le aspettative dei partecipanti al test solo in chi soffriva di tremore essenziale s’innescava un andamento altalenante dei neurotrasmettitori con la dopamina che aumentava lievemente e la serotonina che colava a picco.
A differenziare le due malattie è stato soprattutto l’andamento di quest’ultimo neurotrasmettitore in quanto la dopamina non si è molto discostata dai risultati di precedenti studi sull’attività cerebrale durante il decision making.
Piacere/felicità
La differenza più evidente tra il Parkinson e il tremore essenziale emersa da questo studio è stata la perdita dell’equilibrio dinamico fra i due neurotrasmettitori che normalmente si mantengono in perenne oscillazione ai capi della stessa bilancia del benessere.
La dopamina, detta anche «ormone del piacere» è connessa alla gratificazione che ci proviene da attività piacevoli come il cibo o il sesso e stimola la motivazione verso tale tipo di attività.
La serotonina, detta «ormone della felicità», rilasciata ad esempio dopo esercizio fisico o stimolazione solare, è responsabile del benessere emotivo, riduce l’ansia e favorisce l’umore positivo.
I due neurotrasmettitori sono fra loro sincronizzati per mantenere l’equilibrio psico-fisico e si bilanciano continuamente, cosicché quando i livelli di uno aumentano, quelli dell’altro diminuiscono, ma in questo studio la serotonina è andata fuori dagli schemi riducendosi troppo.
Il ruolo della dopamina
Anche se ricevevano una ricompensa inadeguata nei Parkinsoniani tutto questo non è successo perché i loro problemi di decision making sono da ricondurre al deficit di dopamina nel nucleo caudato dello striato, un’area cerebrale implicata anche nel cosiddetto reward, cioè la ricompensa che viene quindi mal giudicata.
La dopamina infatti ha molti ruoli: oltre a essere il neurotrasmettitore del controllo motorio (la cui carenza porta ai sintomi più evidenti di questa malattia) è anche quello del piacere perché legata a sensazioni piacevoli come quelle che si provano ascoltando musica, mangiando un cibo preferito o facendo l’amore ed è alla base del cosiddetto sistema motivazionale della ricompensa, fungendo da spinta verso comportamenti finalizzati a raggiungere una sensazione gratificante.
L’altra faccia della medaglia
È lo stesso circuito che ha premiato Sinner quando ha vinto la coppa di Wimbledon e le altre che sta accumulando e che fa aumentare in ognuno di noi la motivazione e la produttività finalizzata convogliando le nostre risorse in vista di un obiettivo da raggiungere.
L’altra faccia della medaglia è che se un certo comportamento dà gratificazione la dopamina rafforza la motivazione a ripeterlo, un fenomeno alla base del vizio del fumo e che nei Parkinsoniani porta a comportamenti impulsivi e compulsivi come ad es. il gioco d’azzardo patologico perché le terapie sostitutive della dopamina non sono sempre precise e possono eccedere esacerbando i meccanismi del neurotrasmettitore naturale.
Nuovo studio spariglia le carte
Quando tutte le caselle sembravano ormai sistemate su Nature è appena uscito un altro studio su topo dell’IBL, l’International Brain Laboratory che spariglia le carte rimettendo in discussione convinzioni vecchie di anni: ha infatti scoperto che durante il decision making vengono interessate 279 diverse aree cerebrali che costituiscono praticamente il 95% della massa cerebrale.
In altre parole scegliamo sempre con tutta la testa.
Anche l’aspettativa di una ricompensa, ad esempio, non è più da considerarsi di sola competenza delle aree corticali, ma anche di quelle sottocorticali come quelle del controllo visivo e motorio.
Quando Sinner fa uno smash o una volè vincenti non sa se riuscirà a ripeterli esattamente allo stesso modo la volta successiva perché a determinare quel movimento hanno concorso vari centri sottocorticali cioè non controllati dalla volontà come ad esempio i gangli basali che agiscono in maniera automatica sulla spinta del suo desiderio di fare il punto.
La nuova visione olistica
«Il cervello agirebbe come un computer previsionale che sfrutta tutte le connessioni cerebrali utili a fornire le basi per una risposta comportamentale adeguata –commenta la neurobiologa Anne Churchland della UCLA University di Los Angeles, uno dei principali centri di ricerca IBL-. Finalmente non guarderemo più ai meccanismi decisionali in maniera frammentata nelle varie aree cerebrali considerate singolarmente, bensì con una visione olistica che tiene conto dell’intero cervello mettendo insieme tutti pezzi del puzzle mentre lavorano in concerto. La mappa di 650mila neuroni che abbiamo individuato per studiare i meccanismi di decision making potrebbe presto essere traslata su altre funzioni complesse cerebrali sfruttando l’esperienza maturata dal nostro gruppo in collaborazione con centri sia americani che europei per avviare nuovi programmi di ricerca sulla falsa riga del progetto genoma umano e del CERN di Ginevra».
5 settembre 2025
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