
«Sulla transizione ecologica non si può tornare indietro. Se si amano gli animali si è inevitabilmente più coinvolti nella tutela della natura. A maggior ragione, quando ci si ritrova ad essere uno dei principali player del settore del pet food e del pet care». Nicolò Galante, amministratore delegato di Arcaplanet, ne è convinto. E mette la sostenibilità al centro dei progetti di sviluppo che l’azienda – che celebra i 30 anni di attività e che oggi conta circa 3 mila dipendenti e 600 punti vendita in tutto il territorio nazionale – porterà avanti nei prossimi anni. Per farlo in maniera più puntuale ha creato la Fondazione Arcaplanet, «il regalo di compleanno che abbiamo deciso di farci», che verrà presentata ufficialmente dopo l’estate e a cui faranno capo le tante iniziative di responsabilità sociale del marchio: collaborazione con associazioni animaliste e di volontariato, sostegno alla scuola per la formazione dei cani guida per non vedenti dei Lions, costruzione di canili nel sud Italia assieme ad Enpa, promozione di comportamenti etici e responsabili.
«E’ stata costruita su quelle che definiamo le nostre tre P – spiega Galante -. Ovvero: pet, people e planet. Sono tutte interconnesse tra loro. Gli animali aiutano le persone a vivere meglio, le persone possono fare molto per salvaguardare l’ambiente in cui vivono. Noi cerchiamo di impegnarci su tutti e tre i fronti». Una scelta che assume maggior valore in un momento storico in cui, dopo anni in cui la sostenibilità sembrava essere al centro dell’attenzione delle istituzioni, si registrano molti passi indietro. «Sta chiaramente venendo meno la volontà politica di affrontare seriamente il tema del riscaldamento globale – sottolinea Galante -. Non se ne parla più, ci sono altre priorità. Eppure è il fenomeno che potrebbe più incidere sulle nostre vite nei prossimi decenni». Di qui la scelta di non assecondare la tendenza al disimpegno: «Le aziende hanno una grande responsabilità. Se i governi non ci pensano, il mondo delle imprese nel proprio piccolo lo deve fare. E lo deve fare soprattutto una realtà come la nostra, che parla a milioni di consumatori. Dobbiamo dialogare con loro, coinvolgerli, farli appassionare ai temi della salvaguardia ambientale».
Arcaplanet negli ultimi anni si è impegnata a ridurre la propria carbon footprint, l’impronta carbonica, ovvero le ripercussioni che ogni attività ha sulle emissioni di gas climalteranti: «La diminuzione nell’ultimo biennio è stata di circa il 30% – spiega l’amministratore delegato -. Ma non ci fermeremo. In tutti i nostri punti vendita abbiamo creato dei corner Planet Friendly, dove presentiamo i nostri prodotti a minore impatto ambientale, proponendo ai clienti di provarli e spiegando perché sono diversi, perché alcune proteine hanno un minore peso ecologico di altre o quanto possa incidere la scelta di un packaging riciclabile».
Una scommessa che l’azienda pensa di potere vincere, proprio perché ha come riferimento una fascia di popolazione più sensibile: «Tutte le ricerche di mercato confermano che i proprietari di animali sono più attenti alle tematiche ambientali. Con loro possiamo davvero fare la differenza».
La pet economy è sempre stata descritta come un’ economia a prova di recessione, come quella dei prodotti per l’infanzia, con i consumatori che non rinunciano a spendere il giusto per i propri animali domestici, considerati ormai membri a tutti gli effetti della famiglia. Ma se il mercato ha registrato negli ultimi anni costanti trend di crescita – il solo comparto food vale secondo il rapporto Assalco-Zoomark 3,13 miliardi di euro -, le antenne delle aziende del settore iniziano a captare qualche segnale di flessione. Generata, spiega Galante, da una problematica più sociale che finanziaria: l’aumento degli abbandoni. Lo confermano anche i dati dell’Enpa, che nel solo mese di giugno ha registrato più di 6.300 interventi di salvataggio, tra recupero di animali vaganti e ingressi per rinunce nei propri rifugi di tutta Italia.
Negli anni della pandemia e in quelli immediatamente successivi il mercato era cresciuto molto (quasi il 10% tra il 2021 e il 2024), spinto dal maggior numero di animali entrati nelle case grazie alla maggiore disponibilità di tempo domestico delle persone, tra lockdown e smart working. Ma a emergenza superata, tornati alla vita precedente, in tanti hanno pensato di non averne più bisogno. E li hanno scaricati. Il risultato è che i rifugi di tutta Italia sono al collasso. In termini economici significa che i costi dell’accudimento sono passati dalle famiglie, più propense alla spesa e alla scelta di prodotti premium, alla collettività, con enti e associazioni che devono barcamenarsi con bilanci all’osso, puntando inevitabilmente al risparmio.
Un altro tema è l’invecchiamento della popolazione. Vale per gli animali come per le persone. E con l’età arrivano anche gli acciacchi e le esigenze di cura. Ma un sistema sanitario nazionale per animali non esiste e quindi le spese veterinarie, quelle ordinarie ma ancor più quelle impreviste, possono essere un problema serio, gravando interamente sulle famiglie e non essendovi agevolazioni fiscali adeguate. Arcaplanet ha di recente acquisito tre cliniche veterinarie in Lombardia, con l’intenzione di creare una rete che possa svilupparsi in parallelo all’attività commerciale, anche se non in affiancamento. Non ci saranno, insomma, negozi con ambulatorio o viceversa. «Vogliamo sviluppare un modello funzionale e sostenibile anche per i consumatori -spiega Galante – per offrire loro un servizio di cura che copra tutti gli aspetti della vita dei loro animali».
Intanto prosegue l’espansione della rete di vendita, che si spinge sempre più anche nelle regioni del Sud – l’azienda nacque in Liguria e ha la massima concentrazione di negozi nel Nord Ovest, anche se oggi è presente in tutte le regioni – con una sempre maggiore attenzione alla qualità dei prodotti e all’attivazione di nuovi servizi. Come la garanzia di avere pronta in un’ora in negozio la spesa effettuata online. A cui si è aggiunta di recente la possibilità di averla a domicilio, sempre negli stessi tempi, tramite operatori del delivery come Glovo o Deliveroo. «Dobbiamo proporre un’offerta diversa da quella del supermercato generico – sottolinea Galante –. Da noi per esempio non ci sono cassieri, ma persone che accolgono i consumatori e danno consigli personalizzati. Cerchiamo di metterci la faccia, letteralmente. Io stesso a volte vado in negozio e mi metto al servizio dei clienti. È il solo modo per imparare davvero a conoscerli». Non solo: «Da un anno e mezzo abbiamo anche una nostra unità produttiva a San Vito al Tagliamento, dove lavorano 30 persone che diventeranno presto 50 e dove produciamo cibo di qualità, anche per terzi, crocchette che studiamo e sviluppiamo in prima persona. Una scelta inevitabile: vogliamo avere il controllo totale della produzione nel rispetto delle nostre scelte di sostenibilità».
Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere Economia del 28 luglio 2025
4 settembre 2025
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