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Le conseguenze della scienza: Enrico Fermi, la bomba atomica e il ruolo dei fisici

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Lo scorso 5 agosto, alla vigilia dell’ottantesimo anniversario dei bombardamenti atomici sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, il fisico Carlo Rovelli ha inaugurato su Corriere.it la sua serie video in dieci puntate

La bomba atomica. La cattiva coscienza della fisica. Riflessioni personali sul nucleare. Titolo del primo episodio, nel quale Rovelli parla dello sviluppo dell’arma nucleare, è: 1934 Enrico Fermi. Sul «Corriere della Sera» del 14 agosto è intervenuta Angela Bracco, presidente della Società italiana di Fisica, sostenendo che la figura di Fermi era stata «screditata». Rovelli ha risposto nella stessa pagina (sopra; qui l’intervento di Bracco e la risposta di Rovelli ). Il video ha continuato a suscitare dibattito e, nel testo qui sotto, il fisico torna ad approfondire alcune questioni.

Alcune frasi su Enrico Fermi nei video dedicati al rischio nucleare che ho registrato per questo giornale, hanno dato origine a una polemica vivace. Con pieno rispetto per chi ha giudizi diversi dai miei, vorrei chiarire qui la mia opinione sulle questioni sollevate.

Ritengo che Enrico Fermi sia il più grande scienziato italiano in tempi recenti e uno dei più grandi fisici del XX secolo, in un piccolo Gotha che comprende Einstein, Dirac, e pochissimi altri. A mio giudizio, l’importanza della sua eredità scientifica è maggiore di quella che gli viene di solito attribuita, per il motivo che cerco qui di illustrare. I suoi contributi alla fisica moderna sono moltissimi. La materia ponderabile dell’universo è formata da particelle che i fisici chiamano genericamente «fermioni» in suo onore, perché per primo ne ha compreso il comportamento collettivo. Lo strumento matematico per descriverli è la teoria quantistica dei campi. A uno studio storico attento, il modo di pensare alla base di questa si radica in una teoria che Fermi ha elaborato per fenomeni radioattivi, teoria che sta alla radice di quello che oggi si chiama il «Modello Standard»; è dovuta largamente a Fermi l’idea centrale: pensare in termini di creazione e annichilazione di particelle elementari. In un campo del tutto diverso, le «coordinate di Fermi» sono il modo più ragionevole di mettere coordinate sullo spazio e sul tempo intorno a un corpo che si muove. Ci sono poi risultati maggiori sui raggi cosmici, e tanto altro. L’epocale scoperta che gli ha fruttato il Nobel, e ha aperto l’era nucleare — la scoperta che neutroni rallentati possono portare alla frantumazione dei nuclei atomici — non è che un tassello in tutto questo. Da questa scoperta viene l’energia dei reattori nucleari (il primo l’ha costruito lui stesso), e tante applicazioni mediche e tecnologiche, oltre alle bombe. A lui sono intitolati non solo i fermioni, ma grandi reattori, premi, strutture di ricerca, telescopi nello spazio, un elemento chimico, un’unità di misura di lunghezza, e tant’altro. Comprese, si parva licet componere magnis, come ho accennato su queste pagine, borse di studio che gestisco e per le quali ho scelto il suo nome con il permesso della sua famiglia, per onorarlo.

Ma a mio parere c’è anche qualcos’altro, che lo mette fra i grandissimi. La fisica teorica è una disciplina giovane, che non esisteva nella generazione prima di Fermi. Esisteva la fisica sperimentale, che indagava la natura nei laboratori, e la fisica matematica, a tavolino, pensata come una disciplina matematica, basata su rigore e dimostrazioni certe. Fermi è il campione di un modo nuovo di approcciare lo sforzo per comprendere la natura, che sta a cavallo fra queste due discipline: mescola la dimestichezza con equazioni complesse a una comprensione intuitiva diretta dei fenomeni, sufficiente per aggirare la necessità del rigore matematico. Questo approccio mescola la forza della matematica alla possibilità di utilizzare l’intero spettro di conoscenze su un fenomeno, anche se questo è incompleto, per indirizzare la ricerca delle soluzioni, e intuire cosa si può trascurare. Fermi, per così dire, non esita a gettare via pezzi di un’equazione, che l’intuito gli suggerisce siano meno rilevanti. Nel gruppo dei suoi collaboratori e studenti era mitico il fatto che fosse lui a intuire la soluzione giusta, lasciando ad altri il compito di dimostrarla.

I fenomeni quantistici sono stati il suo terreno di indagine principale, anche se non il solo. Non ha partecipato direttamente alla creazione della teoria quantistica, ma ha avuto la fortuna di assistere da vicino a questa nascita. Giovanissimo, ha trascorso del tempo a Göttingen, con il gruppo di ricerca di Max Born dove convergevano Heisenberg, Jordan, e Pauli, suoi coetanei, di cui è diventato amico. Si è interessato meno degli altri ai fondamenti e alle discussioni concettuali suscitate dalla nuova teoria, ma ha imparato prima degli altri a usarla in maniera efficacissima. L’ha fatta sua, ne ha fatto uno strumento per comprendere la natura in maniera intuitiva. La cosiddetta «formula aurea di Fermi», una formula relativamente semplice che permette di calcolare i fenomeni quantistici in una prima approssimazione, ha giocato e gioca ancora un ruolo estesissimo nelle applicazioni della teoria. È stato insieme grandissimo teorico e insieme grandissimo sperimentale, come forse nessun altro dai tempi di Galileo. La sua straordinaria capacità di sviluppare intuizione fisica su fenomeni lontani dalla nostra esperienza comune è, io credo, alla radice dei grandi successi della scuola italiana di fisica teorica e sperimentale che si è sviluppata in Italia nel dopoguerra. Attraverso i suoi collaboratori, l’eredità del suo stile di pensiero ha formato generazioni di fisici tra cui Nobel in fisica sperimentale come Carlo Rubbia, e teorica, come Giorgio Parisi. Di entrambi si resta stupiti per la capacità di entrare in risonanza intuitiva con la natura delle cose.

La stessa scoperta che ha aperto l’era nucleare scaturisce da una intuizione un po’ inverosimile. Nel laboratorio di via Panisperna, a Roma, Fermi e i suoi collaboratori studiavano la radioattività. Usavano sostanze radioattive per irraggiare altre sostanze e studiare come queste cambiassero. Per graduare l’irraggiamento, mettevano lastre pesanti fra la sostanza radioattiva e la sostanza irradiata. Un giorno, da solo nel laboratorio, a Fermi è venuta l’idea apparentemente balzana di mettere un pezzo di paraffina fra la sostanza radioattiva e la sostanza irradiata (uranio). L’effetto dell’irraggiamento è aumentato di colpo. Ci è voluto tempo per comprendere che la paraffina rallenta i neutroni delle radiazioni, e i neutroni rallentati vengono catturati più facilmente dai nuclei di uranio, che si spezzano in seguito alla cattura. L’era nucleare è stata aperta da un pezzo di paraffina messo dove forse nessun altro avrebbe mai pensato di metterlo…

Perché allora, se questo è il mio giudizio su Fermi, le mie parole hanno suscitato tante polemiche? A mio parere, per due ragioni indipendenti. La prima è un malinteso. La seconda è una questione delicata e importante. La prima è che nei video ho raccontato che inizialmente Fermi aveva interpretato male l’effetto delle radiazioni sull’uranio, e la motivazione ufficiale del Nobel (meritatissimo) rispecchia questo malinteso. La scienza funziona sempre per passi avanti e malintesi. Einstein ha fatto molti più errori di così e non per questo smette di essere il più grande. Anzi non si aprono terreni nuovi se si ha paura di azzardare e sbagliare. Il malinteso di Fermi e del Nobel è un fatto reale, divertente, e non diminuisce di nulla la grandezza scientifica di Fermi e l’importanza storica della scoperta.

Ma la polemica suscitata dalle mie parole ha anche un lato molto più serio. È stato scritto che ho dipinto Enrico Fermi come un nazista-fascista assetato di sangue. Nulla di questo è vero, neanche lontanamente. Sono più che certo che Fermi fosse tutt’altro che un nazista-fascista, e tanto meno assetato di sangue. Quello che ho scritto è che Enrico Fermi era «iscritto al partito fascista, e nominato da Mussolini membro della Reale Accademia di Italia». (Gli universitari già in cattedra avevano dovuto fare il famigerato giuramento fascista per conservare la cattedra, ma non avevano l’obbligo in senso stretto di avere la tessera del partito.) Ho scritto anche che Fermi, alla fine della guerra, era consulente nel comitato che ha raccomandato che le bombe sul Giappone uccidessero molti civili, e io non sono a conoscenza di alcuna sua espressione di rammarico. Questi sono fatti. Non è mia intenzione giudicare moralmente Enrico Fermi, che è un mio eroe scientifico. Ma non trovo necessario nascondere fatti reali solo per il fatto che lui sia una gloria nazionale.

Ma perché ricordare questi fatti, in un video sul rischio atomico? Perché penso che oggi la questione dell’impegno morale e civile degli scienziati sia importante. Ai miei colleghi sto cercando di dire: non nascondiamoci dietro a una pretesa neutralità della scienza, non diciamo che non ci occupiamo delle sue conseguenze; assumiamoci, oggi, le responsabilità che ci competono. La fisica ci ha portato nell’era nucleare. Questa ci ha dato grandi benefici; ma ci ha anche messo nell’assurda situazione di essere tutti a 20 minuti di distanza dalla distruzione completa dell’umanità, grazie alle attuali armi atomiche, in una situazione politica in cui le grandi potenze, compresa l’Europa, stanno litigando e aumentano arsenali militari e belligeranza. Il rischio è drammaticamente reale. Quando parlo di scienza al pubblico, sempre per difenderla, molto spesso il commento che mi sento rivolgere è: «Grazie a voi fisici stiamo rischiando di morire tutti come a Hiroshima». Penso che la risposta giusta non sia «non è affar nostro». I biologi hanno preso sul serio le implicazioni etiche della loro disciplina, ne hanno fatto argomento del loro dibattito interno. Chi si occupa di Intelligenza artificiale lo sta facendo. Storicamente, molti fisici hanno realizzato, prima o poi, la necessità di questa presa di responsabilità. Fra i più vicini a Fermi, ci sono Franco Rasetti che ha rifiutato di partecipare al progetto Manhattan e Edoardo Amaldi che si è impegnato a fondo nelle conferenze Pugwash, di cui parlo estensivamente nei video, che hanno contribuito a una parziale de-escalation nucleare negli ultimi decenni del secolo scorso. Questi sono colleghi più anziani di me che vorrei indicare come modelli.

Enrico Fermi intendeva il suo ruolo in altro modo. La politica non lo interessava. Di certo non amava Mussolini, ma se prendere la tessera del partito era necessario per il laboratorio, lo faceva. In Italia ha indossato la divisa fascista, poi è andato via (sua moglie era ebrea) approfittando della cerimonia per il Nobel a Stoccolma, dove subito non l’ha più indossata. Gli americani lo hanno accolto a braccia aperte, era un’acquisizione preziosa, e lui si è adoperato al meglio per la guerra. Le biografie lo descrivono come un uomo a cui importava la sua scienza, non la politica o le sue implicazioni. In un ambiente dove personaggi come Einstein, Bohr, Oppenheimer, Born, Heisenberg, e tanti altri, si sono torturati e angosciati in vari modi, nel bene e nel male, per le implicazioni civili e morali del loro operato, Fermi non è stato fra questi. Non credo che dire questo sia offesa, e certo non lo condanno. Chi sono io per giudicare lui? Ma non rappresenta il mio ideale di impegno morale e civico. Penso che oggi abbiamo bisogno di questo impegno. Il libro The Making of the Atomic Bomb di Richard Rhodes, racconta che nell’aprile del 1943, Fermi suggerisce a Oppenheimer la possibilità di utilizzare i sottoprodotti radioattivi dell’arricchimento dell’uranio per contaminare le scorte alimentari tedesche. Oppenheimer vuole procedere con il piano solo se sia possibile contaminare una quantità di cibo sufficiente a uccidere mezzo milione di persone. Erano tempi estremamente difficili per tutti. Dobbiamo accettare la complessità, quella delle difficili scelte umane e politiche, degli errori che tutti facciamo, piccoli, grandi e grandissimi, individualmente e storicamente. L’intero progetto Manhattan è stato motivato dalla paura che la Germania nazista potesse avere presto la bomba atomica. Ma è un fatto storico che la Germania nazista fosse molto lontana dall’avere la bomba. Siamo quindi entrati nell’era nucleare per un malinteso, perché gli scienziati da una parte e dall’altra della barricata non si sono più parlati. Quello che soprattutto vorrei è non ritrovarci in quel clima.

Oggi l’umanità rischia moltissimo. Il bollettino degli scienziati atomici giudica che l’umanità non sia mai stata così vicina alla catastrofe nucleare. Il senso del mio video non era certo denigrare un mio eroe scientifico: era di dare il mio piccolo contributo ad alzare l’attenzione su questo rischio. Questa mi sembra la cosa importante di cui parlare.

Su Corriere.it – Dal 1934 a oggi: la serie video esclusiva

La bomba atomica. La cattiva coscienza della fisica. Riflessioni personali sul nucleare è il titolo della serie video esclusiva del fisico teorico Carlo Rovelli per il «Corriere della Sera». Dieci puntate di sette minuti, su Corriere.it, che si aprono con Enrico Fermi e lo sviluppo dell’atomica, proseguono con la Germania e il perché non costruì la bomba prima degli Usa, per poi affrontare l’immane distruzione di Hiroshima e Nagasaki. Si continua con il programma atomico sovietico; la deterrenza; l’appello, nel 1955, di Einstein e Russell per fermare la proliferazione delle armi nucleari, ispirando la creazione della Pugwash Conference, vincitrice del Nobel. Seguono le puntate sulle armi nucleari in Italia; l’atomica cinese; i casi di Libia e Corea del Nord; l’attuale corsa agli armamenti e i rischi di una catastrofe nucleare.

22 agosto 2025 (modifica il 22 agosto 2025 | 08:34)

22 agosto 2025 (modifica il 22 agosto 2025 | 08:34)

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