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Paolo Rossi: «Il Leoncavallo era un luogo di cultura popolare. Di questo passo un ricco si comprerà il Cenacolo»

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«L’11 settembre dovevo farci una serata, ho perso un cachet enorme: una birra gratis». Paolo Rossi scherza, ma la battuta a sfondo «pecuniario» non è casuale: «Bisogna ragionare sull’alto e il basso – dice l’attore -. Lo sgombero del Leoncavallo ha a che fare con altrettante situazioni in cui la cultura popolare a Milano sta volando via. Se andiamo avanti così, il Cenacolo se lo comprerà un super ricco. Ci farà le convention con il catering».
Spariscono i luoghi aperti a tutti?
«Stanno sparendo i luoghi di aggregazione. Posti che erano delle luci. Non guardiamo le cose solo da destra o sinistra, anche i regimi più totalitari avevano dei luoghi dove giovani e anziani si ritrovavano, anche sotto il regime democristiano, che per me era un regime, c’erano gli oratori. Invece ora molti teatri hanno chiuso, altri luoghi di cultura sono apparentemente aperti, ma sono chiusi a una ristretta cerchia di persone, chi ha denaro può comprarsi le Vigne di Leonardo e gli appartamenti di lusso e invece non c’è un posto per la gente, dove la comunità si ritrovi».
Chi parla di ripristino della legalità?
«Se legalità vuol dire frammentare la comunità, vuol dire che i cittadini si ritrovano ognuno isolato su un divano con il telefonino o il pc, questo mi spinge a un teatro illegale. Per quel che posso fare, il teatro deve tornare a essere un luogo dove la comunità si ritrova, discute e vede anche uno spettacolo, un po’ come era il Leoncavallo e come è il Cantiere, l’ex Derby, un altro centro sociale su cui grava quest’ombra dello sgombero».
Teme anche per quel luogo?
«Sì, la paura ce l’ho, lì si tocca addirittura un monumento culturale, protetto e salvaguardato da un centro sociale. Un monumento della cultura bassa e non dotta, dove ho fatto i miei primi spettacoli e anche l’ultimo».
Al Leoncavallo ha raccontato di aver fatto uno spettacolo sul tetto, in stile beatlesiano.
«Adifferenza dei Beatles, che erano in sicurezza su un edificio piatto, io ero su delle tegole scivolose. Ma i tetti ci sono ancora. E poi ci sono le strade, i bar… Ora ho un motivo in più per pensare al mio mestiere cercando dei modi che supportino certi spazi, luoghi dove c’è comunità. Davanti a questo tipo di violenze fatte alla città che mi ha adottato, sono sempre più convinto che il teatro si possa fare ovunque. Salgo sul tavolo di un bar, recito l’Amleto e quel luogo è un teatro. È illegale?».
Ci sono altri ricordi che la legano al Leoncavallo?
«Non ero arrivato da molto a Milano quando è accaduto il fatto di Fausto e Iaio. Ero un ragazzo e avevo fra le altre cose il compito, datomi dai miei genitori, di star dietro a mia sorella più piccola. La notte in cui sono stati uccisi ci siamo persi e lei era andata proprio a un concerto al Leoncavallo. È andata via, non si è accorta di quel che accadeva, ma ho delle immagini molto ombrose e dolenti di quella notte, di paura e ansia. Venivo da una cittadina di provincia dove tutto era più folkloristico, qui c’era una guerra vera e propria».
È d’accordo con chi dice che Milano sta regalando le prossime elezioni al centro destra?
«A me delle elezioni non me ne frega niente. Ma questi fatti mi danno una stella polare, mi spingono a essere un artista in modo più impegnato. Io sarei ancora di sinistra, ma non so più dove mettermi, la sinistra ha perso molte occasioni trascurando l’aspetto della cultura popolare. Si favorisce la gente che ha denaro e non quella che ho visto di persona nei mercati, anche vestita bene, che passa a prendere la roba non venduta. Ma guardando solo le elezioni si perde di vista il concetto anche più grave di un Paese diviso fra mediocri e persone di talento, in cui i mediocri si svegliano sempre due ore prima degli altri e pensano sempre a come fotterli».
Bisogna che le persone di talento anticipino la sveglia?
«Io sono disposto a salire sui tetti, ma a svegliarmi due ore prima no! Ma qui sto dicendo il falso perché da un anno mi sveglio prestissimo, solo che non uso quel tempo per immaginare come fottere gli altri. Invece scrivo, faccio training per il mio mestiere, mi alleno ancora alla chitarra che non saprò mai suonare e spero quantomeno di continuare a fare il mio mestiere come diceva un mio maestro, “in direzione ostinata e contraria”».

22 agosto 2025

22 agosto 2025

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