
Dieci ore per trovare un accordo sulle strategie, i tempi e le parole per spiegarli. Dopo una riunione fiume durata tutta la notte, il gabinetto di sicurezza di Benjamin Netanyahu ha votato, all’alba di ieri, l’approvazione di un piano per la presa totale di Gaza City, nonostante siano giorni che i generali dell’esercito — primo tra tutti il capo di stato maggiore Eyal Zamir — critichino duramente lo schema: si tema per la vita degli ostaggi e per la situazione umanitaria di Gaza. La dichiarazione ufficiale è arrivata alle 5 del mattino. Nel comunicato si leggono chiari i cinque punti — chiamati «principi» -— del progetto che dovrebbe portare alla vittoria totale: il disarmo di Hamas; il ritorno dei cinquanta ostaggi rimasti (20 si ritiene siano ancora vivi); la smilitarizzazione della Striscia; il controllo israeliano sulla sicurezza di Gaza; la creazione di un governo arabo che non preveda Hamas o l’Autorità Nazionale Palestinese.
Nella sala blindatissima di un palazzo governativo tenuto segreto, sedevano intorno a un tavolo Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Israel Katz, il generale Eyal Zamir, altri membri del gabinetto e i ministri di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich. Invitata anche la Procuratrice generale Gali Baharav-Miara, nonostante le recenti controversie.
Poco prima di chiudersi nelle stanze, il premier israeliano ha rilasciato un’intervista all’americana Fox News, dove ha parlato di occupazione totale della Striscia di Gaza. Un progetto che sembra essere stato rivisto nel corso della notte, limitando il raggio d’azione a Gaza City. Anche se nel comunicato, l’espressione «sconfiggere Hamas» fa temere agli analisti che potrebbe trattarsi di un’allusione a un piano più ampio. Secondo i medi israeliani, la sessione — iniziata giovedì sera — è stata caratterizzata da forti divisioni tra Netanyahu e Zamir, che ha continuato a sostenere il suo schema di «accerchiamento alternativo». Mentre, quello approvato a maggioranza, prevede: il completamento dell’evacuazione della popolazione di Gaza City (quasi un milione di persone) entro il 7 ottobre — il giorno da cui tutto è partito — ; nella fase successiva, un’offensiva terrestre e l’assedio dei combattenti di Hamas; la presa della città; lo spostamento dell’esercito verso le ultime zone non conquistate.
L’ufficio di Netanyahu fa sapere che saranno previsti aiuti umanitari ai civili fuori dai fronti del conflitto. Sempre sec0ndo il primo ministro, questa è una campagna «reversibile». Ossia: «Possiamo fermare i combattimenti se Hamas accetta le condizioni di Israele». «Fermare i combattimenti» non è un’affermazione che piace a ministri dell’estrema destra messianica che dall’inizio della guerra credono che l’unica soluzione sia proprio la guerra. Il giornale Yedioth Ahronoth riporta le parole di Ben-Gvir rivolte a Zamir: «Smettetela di parlare con i media. Vogliamo la vittoria. L’esercito continua a informare i giornalisti. Siete subordinati alla classe politica. Imparate dalla polizia».
Il piano di Netanyahu trova diversi oppositori fuori e dentro il Paese. Oltre a una parte dell’esercito, si oppongono i familiari degli ostaggi e i manifestanti che marciano per Tel Aviv. L’ex leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha parlato di «un disastro in totale contraddizione con l’opinione dei vertici militari». Yair Golan, il leader dei Democratici, ha accusato il premier di essere succube «dei ministri messianici». Dure critiche arrivano dall’Europa, dalla Turchia, dalla Ciba e dalle Nazioni Unite. Berlino annuncia la sospensione delle esportazioni di armi che potrebbero essere utilizzate nella Striscia. Poi c’è Hamas: «Non sarà un picnic».
Israele dice di controllare tre quarti di Gaza. Finora ha evitato di avanzare nel restante 25% che comprende Gaza City e i principali campi profughi. In queste aree, — abitate da quasi due milioni di persone— l’Idf ritiene che si trovino gli ostaggi. Hamas minaccia di giustiziarli se le truppe di Netanyahu dovessero estendere le operazioni.
8 agosto 2025 ( modifica il 8 agosto 2025 | 23:29)
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