
Dai dati sulle dichiarazioni dei redditi 2024 (con anno di imposta 2023) pubblicati dal ministero dell’Economia e delle finanze è possibile estrarre la divisione per fascia di reddito: la più bassa da 0 a 10 mila euro e la più alta oltre 120 mila. Grazie all’elaborazione della piattaforma Withub e alle mappe interattive realizzate per il Corriere della Sera, si può evincere in quali province italiane prevalgono i redditi più alti e quali, invece, risultano avere dichiarazioni più basse. Come si può vedere anche dalla mappa qua sotto, Crotone detiene il primato negativo con il 40,8% dei redditi dichiarati inferiori a 10 mila euro. All’estremo opposto ci sono Bolzano e Lecco, che contano ciascuna l’1% dei contribuenti (dato italiano più alto) con un patrimonio superiore a 120 mila euro.
I redditi più alti e quelli più bassi
Continuando ad analizzare la classe patrimoniale compresa tra 0 e 10 mila euro, la percentuale di dichiarazioni più bassa la vanta Milano con 16,2%. Segue Bologna con 16,4% e poi Monza e Brianza con 16,5%. Tra le percentuali più elevate, subito dopo Crotone troviamo Reggio Calabria con il 40,3% delle dichiarazioni per reddito inferiore a 10 mila euro, Vibo Valentia con il 39,7% e Caltanissetta, in Sicilia, con il 39,2%. Se guardiamo alla fascia di reddito oltre i 120 mila euro, con lo 0,9% dei contribuenti che dichiara un patrimonio pari o superiore a 120 mila euro c’è Novara in Lombardia. Dopodiché, segue una serie di province con il dato a 0,8%: Monza e Brianza, Como e Varese in Lombardia, Piacenza in Emilia-Romagna, Genova in Liguria, Trieste in Friuli-Venezia Giulia e Trento in Trentino-Alto Adige.
I dati nelle fasce intermedie
Il trend si mantiene più o meno lo stesso anche nelle classi di reddito intermedie. Tra 10 e 15 mila euro le percentuali più si trovano nel Sud Italia, con il picco di 18,6% a Messina e Ragusa, in Sicilia. Dai 15 ai 26 mila euro, le registrazioni più elevate iniziano a spostarsi verso il Nord. Il dato più elevato si trova nella provincia di Forlì-Cesena, in Emilia-Romagna, con il 37,1% di contribuenti che dichiara un reddito compreso in questa fascia. Segue la provincia piemontese di Biella con 36,9%. Tra 26 e 55 mila euro di reddito dichiarato, le percentuali più alte di contribuenti dichiaranti si sposta ancora più a Nord, con picco a Milano per il 36,1%. Nella classe patrimoniale tra 55 e 75 mila euro, il dato massimo è nella provincia di Monza e Brianza con il 3,9% delle dichiarazioni e, infine, il valore più elevato per la fascia 75-120 mila lo registra Trieste con il 2,9% dei contribuenti.
I componenti che costituiscono il patrimonio
Prima di illustrare i fattori che influiscono in questa distribuzione dei redditi sul territorio italiano, è doveroso fare una premessa. Innanzitutto, i dati risalgono allo scorso anno ma fanno riferimento all’anno di imposta 2023, «quando l’inflazione ha raggiunto un valore medio del 5,7% in Italia, rendendo il reddito reale leggermente più basso rispetto a quello dichiarato», spiega Ilaria Malisan, ricercatrice del Social inclusion lab dell’università Bocconi di Milano. Inoltre, gli elementi che vanno a formare i redditi dichiarati «sono principalmente tre — aggiunge —: le entrate da lavoro dipendente, quelle da lavoro autonomo e le pensioni. Ciò significa che, essendo il reddito previdenziale più basso di quello da lavoro, le zone dove si trovano più pensionati il dato sarà tendente al ribasso; viceversa nelle aree dove si concentrano lavoratori autonomi specializzati». È importante, infine, tener conto del lavoro sommerso: dove è alto il numero di persone che non dichiara ciò che guadagna, il dato tende ad essere falsato.
Cosa influisce sulla distribuzione dei redditi
La distribuzione dei patrimoni sul territorio italiano dipende anche dalla struttura produttiva e dai settori che maggiormente si sviluppano nelle specifiche aree. «A Nord si concentrano i comparti con il maggiore valore aggiunto, quindi in grado di pagare salari più alti — evidenzia Malisan —. Ne è un esempio l’industria manifatturiera, dalla metalmeccanica alla chimica e farmaceutica, l’automotive e i servizi finanziari e assicurativi. Al contrario, nel Sud Italia prevale l’agroalimentare che è meno remunerato». Come ha specificato la ricercatrice del Social inclusion lab della Bocconi, si tratta di fenomeni che non si presentano solo nel rapporto tra le regioni settentrionali e quelle meridionali ma anche tra campagna e città, piccolo borgo e metropoli, centro e periferia. A pesare è anche il capitale umano e l’istruzione: «Le aree più sviluppate attraggono personale più qualificato e creano migliori opportunità di lavoro, attraendo molti giovani che sono costretti ad andarsene dai luoghi di origine. Mentre là dove non si sviluppa lo stesso potenziale, i salari sono più bassi e si manifesta il fenomeno di underemployment», che si verifica quando una persona è impiegata ma il suo lavoro non utilizza appieno le sue capacità, competenze o ore disponibili.
Gli estremi
Se vogliamo dare una spiegazione ai dati estremi, ogni provincia ha le sue ragioni. Ad esempio, il picco di redditi alti a Bolzano si spiega «per la concentrazione di settori ad alta intensità di capitale — continua Malisan —: l’agroalimentare specializzato in mele e vini; la manifattura specializzata e anche le energie rinnovabili. A Lecco, invece, è particolare una struttura produttiva composta da piccole e medie imprese che però compongono una rete molto densa e ad alta specializzazione». Guardando al record negativo di Crotone, «è una città che conta un numero elevato sia di dipendenti nel settore pubblico che pensionati, redditi notoriamente inferiori rispetto a quelli da lavoro nel settore privato e autonomo».
8 ago 2025 | 09:24
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