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La capo di gabinetto di Nordio, Giusi Bartolozzi: «Non temo niente e chiarirò ogni dubbio»

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Alle 21 quando le indiscrezioni sulle carte del Tribunale dei ministri parlano apertamente della possibilità che al vaglio dei magistrati sul caso Almasri finisca anche lei, Giusi Bartolozzi, potente capo di gabinetto del ministro Carlo Nordio, è nel suo ufficio in via Arenula. E chi l’ha appena incrociata la descrive come «serena, tranquilla. Ha passato la giornata a lavorare. Non teme assolutamente nulla e quando potrà chiarirà qualsiasi dubbio».

Non è tipo da «graticola», la plenipotenziaria di Nordio che i suoi detrattori al ministero chiamano la «zarina». E nemmeno nel giorno più lungo del caso Almasri, scandito dall’attesa delle carte dell’inchiesta che i magistrati del Tribunale dei ministri hanno inviato alla Camera chiedendo l’autorizzazione a procedere per il suo ministro accusato di favoreggiamento e omissione di ufficio, perde il sorriso e lo sguardo altero.

Alle 13, quando arriva alla Camera accanto a Nordio, sa bene di essere nuovamente al centro della scena politica e giudiziaria. E non nasconde il proprio fastidio per l’uscita di Cesare Parodi, il capo dell’Anm che a domanda esplicita dell’intervistatore di Radio anch’io sull’eventualità di un processo nei confronti di Bartolozzi non ha precisato di non essere a conoscenza dell’esistenza di un procedimento che la coinvolga. Soffermandosi invece sul fatto che «ci sarebbero riflessi politici».

 Affermazioni che scatenano il putiferio per il sospetto che Parodi sia a conoscenza di dettagli di un’inchiesta della quale non si è mai saputo nulla, nemmeno di una eventuale iscrizione di lei nel registro degli indagati.
Da lì l’irritazione. Tanto che appena due ore dopo, quando Parodi è costretto a scusarsi per quella frase apparsa sulle agenzie («ma mai pronunciata»)e le invia un messaggio, con allegata la registrazione dell’intervento radiofonico, proprio per cercare di chiarire quello che definisce un gigantesco equivoco, Bartolozzi sceglie di non rispondere.

È infastidita e non lo nasconde. Anche se in questi mesi ha sempre ostentato sicurezza sia per quello che era stato fatto al ministero dal momento in cui era giunta la notizia della cattura fino alla liberazione di Almasri, sia per il proprio operato. «Da quando abbiamo ricevuto le carte della Corte Penale Internazionale a quando è stato scarcerato Almasri sono passate solo 24 ore.

 Non c’è stato alcun ritardo. Abbiamo seguito le procedure in maniera corretta», è sempre stata la sua versione con interlocutori privati. E anche quando sono filtrate le indiscrezioni sulle raccomandazioni a gestire la vicenda nella massima riservatezza («parliamoci su Signal» per evitare le mail) ha sempre spiegato ai suoi che «questioni delicate che attengono alla sicurezza nazionale non potevano essere scambiate su una casella mail letta da mezzo ministero». 

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Del resto la sua influenza all’interno del dicastero nessuno può negarla, ed è apparsa ancora evidente ieri, all’ingresso di Montecitorio, quando si è mostrata soddisfatta per la nota durissima del Guardasigilli in aperto contrasto con Parodi. Un segnale forte che, a dispetto degli auspici dell’opposizione, non c’è alcuna intenzione di sfiduciarla o spingerla alle dimissioni. Ma di fare quadrato attorno a lei, preparandosi a respingere un eventuale processo Almasri bis per lei, non coperta da immunità parlamentare o di governo, in procura. Perché il sospetto della maggioranza è che un processo simile altro non sarebbe che il tentativo di far rientrare dalla finestra ciò che in Parlamento uscirà dalla porta. Vale a dire richiamare in causa la premier Meloni, appena archiviata, insieme con i ministri Nordio e Piantedosi e il sottosegretario Mantovano, stavolta come testimoni e quindi non coperti da immunità parlamentare o di governo.

Ma a questa eventualità già si sta studiando la contromossa. E in via Arenula si cita un «precedente assimilabile». Ci si richiama al comma 3 dell’articolo 9 della legge costituzionale 16 gennaio 1989 che prevede che, se il reato viene commesso da più soggetti in concorso tra loro, sia l’assemplea a indicare a chi «anche se non ministro o parlamentare» si estenda il «diniego».


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6 agosto 2025

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