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Netanyahu pronto a ordinare l’occupazione di tutta Gaza

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DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV –  L’esercito israeliano ha ricevuto l’ordine di conquistare l’intera Striscia di Gaza. L’Idf già si riserva di sparare in più del 75% del territorio palestinese, ma ora estenderà le azioni di guerra anche dove si ritiene siano tenuti prigionieri gli ostaggi, negli accampamenti dei profughi, nelle aree dove vivono i pochi operatori umanitari presenti. Come faranno i militari ad entrare tra le tende, sulle spiagge affollate di disperati, tra le rovine dove la gente cerca riparo è da vedere. Con i tank sembra difficile, a piedi rischia di diventare un tiro al bersaglio per i miliziani di Hamas che ancora sono in grado di combattere. Il numero di perdite tra i soldati israeliani potrebbe aumentare, le stragi «collaterali», pure.

Il capo di stato maggiore delle Idf, tenente generale Eyal Zamir, si era mostrato più che perplesso all’ipotesi di un piano di occupazione completo. Troppo costoso, troppo rischioso e sostanzialmente inutile era la sua analisi. Ma ieri, il premier Benjanin Netanyahu è stato lapidario: «se non è d’accordo, si dimetta».

Secondo i media israeliani tra i falchi ci sarebbero i due ministri messianici Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir. Colombe sarebbero i responsabili dei servizi segreti, Mossad e Shin Bet, più il mediatore che gestisce il dossier degli ostaggi.

Per l’ufficio di Netanyahu, però, non c’è altra scelta. «Hamas non rilascerà gli ultimi ostaggi senza essere obbligato a una resa completa». «Israele non può arrendersi ai terroristi. Se non agiamo ora, gli ostaggi moriranno di fame e Gaza rimarrà sotto il controllo di Hamas». I video dei due prigionieri ridotti pelle e ossa che Hamas voleva usare come ricatto è servito a giustificare l’estensione dell’intervento.

In coincidenza con l’annuncio della nuova offensiva, quasi 600 ex funzionari della sicurezza israeliana hanno firmato un appello per la fine delle ostilità. «Secondo il nostro parere professionale, Hamas non rappresenta più una minaccia strategica. Questa ha smesso di essere una guerra giusta». Tra i firmatari ex capi dei servizi, generali e l’ex premier Ehud Barak.

Il primo a parlare della possibilità di un’azione ancora più violenta era stato il presidente americano Donald Trump. «Sappiamo dove sono gli ostaggi. Israele deve decidersi in fretta». Poi l’aveva fatto capire l’inviato speciale Usa Steve Witkoff chiedendo in sostanza la resa di Hamas: «o tutto o niente», basta mezzi accordi e tregue provvisorie.

L’appoggio dell’attuale amministrazione americana alla scelta di Netanyahu appare incondizionato. Non solo riguardo alla nuova fase della guerra a Gaza, ma anche a un più vasto disegno di espansione. Il presidente della Camera, il repubblicano Mike Johnson, era ieri in visita nella Cisgiordania palestinese. Ha criticato i Paesi che intendono riconoscere la Palestina come Stato e poi ha affermato che «le montagne della Giudea e della Samaria — come i sionisti chiamano la Cisgiordania — sono la legittima proprietà del popolo ebraico». Dal canto suo il presidente Donald Trump ha annunciato che negherà gli aiuti federali per le catastrofi naturali agli Stati e alle città americane che boicottano le aziende israeliane». L’alleanza di ferro tra Trump e Netanyahu si è addirittura rafforzata.

Poche ore prima di decidere la spallata militare, l’esecutivo Netanyahu aveva votato all’unanimità di sospendere la procuratrice generale Gali Baharav-Miara. Dal suo ufficio dipendono molti dei processi che vedono indagato lo stesso primo ministro. La procuratrice ha definito «illegale» il voto del governo. In una lettera inviata ai suoi vice e ad altre figure della Procura, Baharav-Miara ha scritto che «le pressioni politiche non ci impediranno di svolgere il nostro lavoro in modo imparziale, professionale e onesto». La magistrata rimarrà in carica sino alla decisione della Corte Suprema. Secondo la maggioranza degli esperti è improbabile che, in questo caso, Netanyahu riesca ad averla vinta.

4 agosto 2025

4 agosto 2025

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