
Le Isole Samoa distano circa 17.300 km dall’Arena di Verona, ma il tragitto sembra molto più lungo se porta su quel palco immenso per cantare il Duca di Mantova nel Rigoletto. «In effetti il più grande ostacolo mentale a studiare canto fu l’essere nato in Polinesia, ma per la ragione opposta a quel che un europeo potrebbe pensare: per noi cantare è la cosa più naturale del mondo. Una generazione tramanda a quella successiva miti, fatti storici e visioni della natura attraverso le canzoni, di cui non esiste spartito, è un patrimonio solo orale. Quindi, prendere un diploma in canto mi sembrava assurdo come il prendere una “laurea in camminata”».
Sorride Pene Pati, tenore samoano che venerdì 8 debutta in Arena, ulteriore, prestigiosa tappa di un lungo viaggio iniziato trentotto anni fa da Samoa e che l’ha già portato a fare il giro del globo seguendo i pentagrammi dei grandi operisti. «Come tanti polinesiani, cantavo nei cori di scuola e di chiesa: da noi non puoi far parte della squadra di rugby se non canti nel coro dell’istituto, è tassativo, nessuna eccezione: i maestri sostengono che la disciplina di uno sportivo e di un cantante è la stessa. Per voi sarebbe strano vedere un gruppo di muscolosi ragazzotti intonare una polifonia rinascimentale di Tallis, da noi no».
All’inizio Pati non aveva chiaro quale delle due strade intraprendere: «In Nuova Zelanda non ci sono grandi sostegni per chi viene dalle isole del Pacifico, quando feci il mio primo concorso a 21 anni non lo dissi a nessuno, sicuro di perdere». Vinse. In giuria c’era Kiri Te Kanawa, mitico soprano maori, che insistette perché andasse a studiare a Cardiff. «Lì cantavo e giocavo a rugby, nei Saracens. Ogni tanto mi ritrovavo a teatro ex compagni di squadra venuti apposta a sentirmi».
Per pagarsi gli studi dall’altra parte del mondo tenne un recital, ma fruttò solo l’equivalente di 680 sterline, «così chiesi a mio fratello Amitai e a mio cugino Moses, anche loro cantanti, di fare una tournée per racimolare un po’ di quattrini. Ci chiamammo Sol3Mio: “Sole mio” fu la prima canzone che cantammo, il 3 al posto della E indica il trio, mentre “sole” in samoano significa fratello». Ha cantato col fratello «in Beatrice di Tenda di Bellini e in Rigoletto: io ero il Duca e lui Borsa. Abbiamo anche inserito in un disco il duetto da Il bravo di Mercadante. Con Rigoletto ho debuttato in America: farlo anche all’Arena è un sogno che si realizza. E già spero di tornarci come Nemorino nell’Elisir d’amore».
Spesso condivide il palco anche con la moglie, Amina Edris, egiziana trasferitasi in Nuova Zelanda: «Il mondo della lirica lì non è molto grande, alla fine ci si conosce tutti; fummo selezionati per una sorta di masterclass alla San Francisco Opera». Assieme hanno cantato Bohème, lui Rodolfo, lei Mimì e Musetta: «Fu la prima opera in assoluto che vidi. Quando lessi il titolo non sapevo neppure che fosse cantata, tanto meno in italiano».
All’anagrafe polinesiana Pene è registrato come Darren Pati. «Ho voluto prendere il nome di mio padre perché il suo sogno era girare il mondo cantando; quando ci trasferimmo da Samoa alla Nuova Zelanda si metteva in giardino con la chitarra e cantava la nostalgia per i suoi luoghi natii. Così quando porto a casa un poster della Staatsoper di Vienna o del Metropolitan di New York mio papà vi legge non solo il mio nome, ma anche il suo. È un tributo all’uomo che mi ha cresciuto, e a quanti polinesiani non hanno avuto le mie opportunità».
4 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA