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Novi Ligure: l’ex Ilva resta senza scorte, in Piemonte dopo l’auto frena anche l’acciaio. Riunione d’urgenza con Cirio e sindacati

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Dieci operai per un milione di metri quadri di fabbrica. Nell’ex Ilva di Novi Ligure, un tempo cuore pulsante del triangolo industriale del Nord Ovest, si aggirano quasi come fantasmi gli ultimi lavoratori in servizio. Loro sono i manutentori. E dovrebbero tenere vivo l’impianto siderurgico in attesa del ritorno alla produzione. Ma oggi in magazzino, come raccontano le tute blu scuotendo la testa, non c’è materia prima neanche per forgiare un tondino. Tutto fermo. Da Taranto non arriva niente. Le scorte sono finite. I clienti storici (dall’auto all’aerospazio) trovano altri fornitori. I lavoratori sono in cassa integrazione, circa 600 quelli diretti, e oltre tremila quelli dell’indotto; e non si sa se, come e quanto si ripartirà.

Ecco perché ieri è stata convocata una riunione di emergenza a Novi Ligure a cui hanno partecipato i sindacati, rappresentanti dell’azienda, il sindaco di Novi Ligure Rocchino Muliere e il governatore del Piemonte Alberto Cirio. La manifattura del territorio, che vale 56 miliardi di euro, è alla corde, in flessione da cinque trimestri consecutivi, bloccata dalla lunga crisi dell’auto e disseminata di record di ore di cassa integrazione, chiusure di fabbriche e di tante cessioni: da ultima l’Iveco agli indiani di Tata Motors. «Se perdiamo anche l’acciaio che è la base della grande industria restiamo davvero senza produzione. Così si rischia una bomba sociale», avverte Maurizio Cantello della segretario della Fiom Cgil di Alessandria.
 
Negli anni d’oro la fabbrica di Novi Ligure, tra i clienti i big dell’auto, produceva 1,5 milioni di tonnellate d’acciaio. L’anno scorso meno di un quinto. Quest’anno ancora molto meno. Ecco perché istituzioni e sindacati ieri hanno firmato una bozza di documento per ribadire la centralità della siderurgia in Piemonte, che oggi coinvolge ancora tre province piemontesi: Alessandria, Cuneo e Vercelli, a Novi Ligure, Racconigi e Gattinara. «Con i documenti non si salvano le aziende, ma registriamo un patto importante — continua Cantello — perché Regione e lavoratori ribadiscono che la vendita dell’azienda debba essere in un blocco unico. Quindi no allo spezzatino. E soprattutto va fatta in tempi brevi. Altrimenti si spegne tutto e non si riparte più».

Al centro del testo, cinque punti chiave condivisi da istituzioni e parti sociali, la strategicità dell’asset siderurgico, legato a doppio filo al futuro del sito di Taranto; l’unità d’intenti per un approccio complessivo e nazionale alla crisi; l’apertura a investimenti produttivi, purché finalizzati al rafforzamento e alla decarbonizzazione dell’intero gruppo; la tutela dell’occupazione, che deve restare al centro di ogni proposta industriale e deve rispettare precise tempistiche; il ruolo delle politiche attive del lavoro. 

I dieci manutentori tengono vivo l’impianto nella speranza che a settembre qualche linea possa ripartire. Su Novi Ligure e gli altri impianti pende la spada di Damocle della decarbonizzazione, un processo da 10 miliardi, che condizionerà evidentemente la gara per l’acquisizione del grande polmone dell’acciaio europeo. «Non possiamo risolvere i problemi del’ex Ilva da soli qui in Piemonte. Ma è necessario marciare compatti per evitare a un accordo di programma in grado di rilanciare la siderurgia nel nostro paese». L’Italia resta il secondo produttore europeo di acciaio, e dodicesimo in Europa, ma nei primi mesi la produzione ha registrato una flessione preoccupante del 9% . Novi Ligure, appena 27 mila abitanti, cresciuta all’ombra del polo dell’acciaio e dei grandi clienti che veniva qui a rifornirsi, da Ford a Mercedes, si interroga sul suo futuro. La domanda è in calo. Le grandi aziende industriali del territorio sono in difficoltà. E la ripartenza appare sempre più lontana.

«La priorità assoluta per la Regione Piemonte sono le persone: i lavoratori, le loro famiglie e l’indotto — hanno sottolineato al termine dell’incontro il governatore Cirio e la vicepresidente Elena Chiorino — è nostro dovere presidiare ogni tavolo utile a tutelare l’occupazione, in piena sinergia con il territorio e con il Governo nazionale. Per questo, ribadiamo la necessità di una visione nazionale coerente, capace di garantire un futuro al comparto siderurgico».


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4 agosto 2025

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