
Che sorpresa il milione di ragazzi presente l’altra sera a Tor Vergata! Un Papa ancora poco conosciuto e una società in cui la presenza della Chiesa sembra essere ormai svaporata, faceva immaginare un ben altro esito. E che dire dei loro sguardi? Sguardi straordinariamente vivi e commossi, uno diverso dall’altro, come se la clonazione estetica imposta dai media non avesse mai attecchito nelle loro vite. Lo spirito del tempo — che è quello dello scrolling ossessivo e annoiato — sembrava aver reso ormai impossibile quel lungo tempo di attenzione, immobilità e silenzio che ha accompagnato l’adorazione eucaristica. Eppure è accaduto. Era come se tutta l’enorme spianata trattenesse il fiato, fissando emozionata il Santissimo che riverberava di luce dalla sua teca d’oro sull’altare.
Questa visione mi ha riportato agli anni della mia tormentata adolescenza, quella degli anni ’70, impregnati di un fanatismo ideologico che difficilmente lasciava scampo. Nata in una famiglia super laica, in una città laicissima come Trieste, covavo delle domande nel mio cuore a cui nessuno sembrava capace di rispondere. Una tra tutte: cosa rendeva una vita davvero degna di essere vissuta? Così a 16 anni, in autostop, avevo raggiunto Assisi. Lì sapevo che c’era stato un ragazzo inquieto come me che si era ribellato ai fanatismi del suo tempo, consegnandosi a una dimensione di libertà che trovava affascinante. E che cosa cercano i cuori inquieti, se non questo? Una libertà che non sia il tutto poter fare, ma il tutto poter leggere in una dimensione più grande. Un saper leggere che ci impedisce di venire trascinati via dalla, a volte inestricabile, complessità dei nostri giorni.
Ma mentre la mia generazione doveva destreggiarsi con furori ideologici partoriti nel Novecento — furori che hanno portato ovunque dolore e morte e la cui impronta è ancora visibile in sottotraccia nella nostra società — la generazione attuale si trova a vivere la più grande transizione antropologica dell’umanità. Non si tratta di un cambiamento di costumi ma di una vera e propria modifica nello sviluppo del cervello. L’uso eccessivo dello smartphone riduce infatti, specie nei bambini e negli adolescenti, il volume cerebrale, soprattutto nelle regioni subcorticali, quelle regioni che aiutano a regolare il comportamento e a controllare le emozioni. I tanti troppi episodi di insensata violenza giovanile ci parlano proprio di questa incapacità di controllo.
Per riuscire a sfuggire a questa pericolosa e inquietante deriva, bisogna forse tornare a contemplare il meraviglioso albero dell’evoluzione. Il nome zoologico che ci definisce è l’homo sapiens sapiens. Guardandosi in giro, in questi tempi di devastanti guerre e odi di ogni tipo, è abbastanza difficile trovare appropriata questa espressione. Eppure, in quel sapiens si nasconde proprio la chiave di volta. Sapiens deriva dalla parola latina sapere, di origine indoeuropea, che significa: avere sapore, essere saggio. La differenza tra un cibo sciapo e uno salato la conosciamo tutti. Il nostro tempo vive nel culto del sapere, ma il sapere che ci viene proposto è propriamente tecnico e scientifico, slegato da ogni realtà più sottile. Dante ci ricorda invece che la sapienza è uno dei sette doni dello Spirito Santo. Non si tratta quindi qualcosa da acquisire con un programma, ma di una misteriosa emanazione che nasce dal cuore.
Quegli occhi luminosi e attenti ci parlano di una generazione che, nonostante sia cresciuta nell’ignavia educativa e tra cascami del nichilismo novecentesco, ha ancora una sete inestinguibile di verità, di bellezza e di costruzione di rapporti capaci di resistere all’usura del tempo, anche imparando a rinunciare a qualcosa — come ha detto la ragazza che ha posto una delle tre domande a papa Leone — perché la vita dell’uomo acquisisce senso non nel consumo ma nella costruzione che richiede, a volte, scelte difficili. La natura umana è forte e coraggiosa e, quando attinge alle sue risorse, non ha bisogno di droghe, pillole o corsi di resilienza.
Nel Giubileo della Speranza la visione di questo milione di ragazzi ci ha aperto una finestra su un mondo che credevamo perso per sempre. Il mondo di chi ha sete, ed è capace di mettersi in cammino alla ricerca dell’acqua che disseta. Forse quello che corrode la nostra società opulenta è proprio quella di non comprendere la grande arsura che la attraversa.
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3 agosto 2025
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