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Dazi, dal vino a Parmigiano e farmaci: l’impatto delle tariffe al 15% e i punti ancora aperti

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Sulla vicenda dazi non è ancora scritta la parola fine. Dopo l’accordo di massima raggiunto in Scozia da Donald Trump e Ursula von der Leyen, che ha previsto una tariffa del 15% sui beni europei importati negli Usa, il primo agosto il presidente americano ha firmato l’ordine esecutivo che introduce le nuove tariffe per decine di partner commerciali, tra cui le aziende italiane.

L’ordine prevede una pausa, rinviando al 7 agosto l’entrata in vigore dei nuovi dazi, dando così un po’ di respiro mentre i negoziatori lavorano per definire meglio i termini l’accordo commerciale tra l’Ue e gli Stati Uniti. Questa stessa tempistica si applica a molti altri Paesi, ad eccezione del Canada, che vede dal primo agosto l’introduzione di un’imposta addirittura del 35% sulle proprie esportazioni verso gli Stati Uniti. O dalla Svizzera che si trova afflitta da un super dazio al 39% (con consenguente caduta del franco svizzero). La nuova mannaia daziaria salva invece le merci spedite prima del 7 agosto e che arriveranno nei porti statunitensi entro il 5 ottobre prossimo.

Un quadro mutevole

Nonostante il quadro sia ancora mutevole (l’ordine esecutivo firmato nella notte tra giovedì e venerdì non specifica i settori coinvolti) e la misura sia meno severa rispetto alle precedenti minacce trumpiane di dazi fino al 30%, la preoccupazione tra i principali settori produttivi italiani, che vedono negli Stati Uniti uno dei mercati di riferimento, è reale.

Settore automobilistico e aereo

Per l’industria automobilistica italiana, ad esempio, le nuove tariffe sono una sfida significativa. All’inizio, sembrava potesse essere esclusa dai dazi al 15%, ora invece vi rientra. L’ordine esecutivo, infatti, non attua ancora gli altri elementi dell’accordo Ue-Usa, in particolare l’impegno a ridurre le tariffe statunitensi (di cui alla Sezione 232) sulle automobili e sui componenti automobilistici. La nuova tariffa del 15%, dunque, è prevista a partire dall’8 agosto. Per le merci già in transito o immagazzinate per il consumo prima di quella data, si applicherà la aliquota tariffaria precedente, ovvero il 10% + aliquota della Nazione più favorita. Questo fino al 5 ottobre 2025. Se nulla cambierà, il settore vedrà ridursi il vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti non europei. Secondo stime, l’applicazione di tali dazi potrebbe ridurre il valore aggiunto lordo del settore del 4,7% in Italia, con conseguenze dirette sul piano occupazionale e sulla redditività industriale.
L’ordine esecutivo non ha nemmeno previsto il trattamento specifico concordato per altri prodotti strategici, come gli aerei.

Settore agroalimentare

Il settore agroalimentare italiano, di fatto uno dei grandi simboli del Made in Italy, rappresentato da eccellenze che non possono essere delocalizzate, come il Parmigiano Reggiano, l’olio d’oliva, la pasta, i formaggi e il vino, è ora particolarmente vulnerabile. Le tariffe del 15% saranno applicate anche a questi prodotti, aumentando il prezzo finale per i consumatori americani e riducendo la competitività delle nostre esportazioni. 
Il Parmigiano Reggiano. Dagli anni ’60 il formaggio più famoso d’Italia ha pagato un dazio americano del 15%. Dall’aprile scorso, a questo si era aggiunto un ulteriore 10%, che lo aveva portato al 25%. Dal prossimo 7 agosto si scenderà pertanto a un 15% all-inclusive. «Pur riconoscendo che la tariffa è migliorativ», ha commentato il Consorzio del Parmigiano Reggiano, «ogni barriera al libero commercio rappresenta un limite ingiusto alla crescita e alla cooperazione economica».
Il Prosciutto di Parma. Prima dell’aprile scorso il più noto salume emiliano pagava un dazio alla frontiera americana inferiore al’1%. Poi, Trump aveva alzato l’aliquota al 10%. L’essere stato ora incluso a tutto il resto del Made in Italy, con un’aliquota del15% è indubbiamente un duro colpo per l’export verso gli Usa, il primo mercato fuori dall’Italia per il Parma e che da solo nel 2024 ha sfiorato un valore di 100 milioni di euro.
Il vino italiano è leader nell’esportazione verso gli Stati Uniti (prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro di fatturato nel 2024), ed è riuscito a mantenere una quota di mercato significativa, registrando una crescita positiva, anche nel primo quadrimestre del 2025. Ora, i produttori sono preoccupati per essere stati inseriti nei dazi al 15%, anche se si parla di un accordo per il quale potrebbero essere esclusi i prodotti Dop e Igp.
A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono i vini bianchi Dop del Trentino-Alto Adige e del Friuli-Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni). 
L’olio. Per quanto concerne il mondo dell’olio, il dazio al 15% rischia di ridurre la competitività dell’extravergine italiano a favore di oli più economici provenienti da Paesi terzi che godono di tariffe più basse, come la Turchia, il Sud America o la Tunisia. Come conseguenza, il consumatore medio Usa sarà indotto a utilizzare altri oli, come quelli di semi tradizionali (girasole, soia, mais). Al momento, gli Stati Uniti rappresentano il principale mercato extra-Ue per l’olio tricolore, con una quota di circa 100 mila tonnellate l’anno e un valore vicino a un miliardo, ovvero il 32% del nostro export.
Il farmaceutico. Donald Trump lo ha precisato chiaramente domenica: il settore farmaceutico non beneficerà di un trattamento particolare. Anche se i farmaci – come altri settori sensibili – sono ancora oggetto di valutazione da parte della Casa Bianca nell’ambito delle indagini avviate secondo la Sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, probabilmente il 15% di aliquota scatterà dal 7 agosto.

Su tutto questo, però, pesa un’altra zavorra: l’effetto combinato di dazi e fluttuazioni del cambio euro-dollaro, infati, non potrà che aggravare l’impatto delle misure doganali, traducendosi in costi aggiuntivi reali per le aziende nazionali e rendendo meno competitivo il Made in Italy.

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1 agosto 2025

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