Home / Animali / Squali sentinelle hi-tech per studiare gli uragani: così gli scienziati rispondono ai tagli di Trump alla ricerca

Squali sentinelle hi-tech per studiare gli uragani: così gli scienziati rispondono ai tagli di Trump alla ricerca

//?#

Chissà cos’hanno pensato, lo scorso 27 febbraio, gli 880 scienziati del Noaa – l’agenzia federale statunitense che studia oceani e atmosfera – quando hanno aperto l’e-mail inviata dall’ufficio del personale. Qualche frase di circostanza, poi il messaggio secco: «Sei licenziato». Nessuna possibilità di replica. Solo il tempo di svuotare la scrivania. Per chi è rimasto, il lavoro non è diminuito, soprattutto tra coloro impegnati nel monitoraggio degli uragani. In uno scenario così critico, e con finanziamenti sempre più scarsi, il Noaa ha dovuto ingegnarsi, trovando alleati inaspettati per portare avanti le ricerche senza sforare il budget. Di chi si tratta? Economici, instancabili e con un sorriso da settanta denti (più o meno): stiamo parlando degli squali mako pinna corta (Isurus oxyrinchus), come racconta un articolo pubblicato pochi giorni fa dal Washington Post.

Tecnologie limitate

Che legame può esserci tra questi predatori marini e le tempeste tropicali? Un ciclone nasce dall’incontro tra due elementi: una perturbazione atmosferica, come un temporale, e acque superficiali calde, con temperature pari o superiori a 27 °C. Il calore del mare, insieme all’umidità dell’aria, alimenta la tempesta. Il vapore sale, si condensa in nubi e piogge, liberando energia che rafforza i moti ascensionali. Ne deriva un sistema autoalimentato, che si intensifica finché resta sopra acque calde e lontano dai venti in quota. «L’oceano è il motore termico degli uragani» sintetizza Travis Miles, docente alla Rutgers University (Stati Uniti). «Quando una tempesta attraversa acque fredde, tende a perdere forza». Monitorare la temperatura del mare – soprattutto in profondità – è quindi cruciale per stimare intensità e traiettoria degli uragani. Più facile a dirsi che a farsi: i satelliti rilevano solo la superficie oceanica, mentre i robot subacquei sono lenti, costosi e coprono aree troppo ristrette. Entrambi i mezzi risultano eccessivamente dispendiosi, in un periodo nel quale le sforbiciate di Trump fanno piangere i conti delle istituzioni scientifiche.

Animali collaboratori

È qui che i mako pinna corta fanno il loro ingresso. Dalla lunghezza di appena 4 metri e dal peso di 150 chili, possono viaggiare a 32 km/h coprendo oltre 50 chilometri al giorno. Insomma: sono perfetti per raggiungere le zone inaccessibili, spingendosi fino a 200 metri di profondità (e in certi casi i 700 metri!), al posto degli strumenti hi-tech. Lo scorso maggio, un team del Noaa, armato di esche al largo della costa atlantica, ha applicato sensori ad alcuni esemplari dopo averli opportunamente anestetizzati. Dispositivi minuscoli – dal peso inferiore ai 100 grammi – da mettere sulle pinne e capaci di registrare temperatura, salinità e profondità, inviando tutti i dati via satellite ogni volta che l’animale risale in superficie. Anche un grande squalo bianco (Carcharodon carcharias) è stato marcato, ma per ora non partecipa in modo attivo al progetto. In futuro si prevede di coinvolgere ulteriori specie: dallo squalo martello (Sphyrna tiburo) a quello balena (Rhincodon typus).

Limiti e finalità

Non mancano le critiche. Alcuni biologi temono che trasformare animali in «tecnologia vivente» possa pregiudicarne il benessere, soprattutto considerando che i mako pinna corta sono classificati come specie vulnerabile. I ricercatori, però, respingono le accuse: le operazioni – spiegano – vengono condotte con la massima attenzione per ridurre al minimo stress e impatto. Del resto, non è la prima volta che squali (pesci cartilaginei) e mammiferi marini vengono impiegati come «sentinelle». In passato, però, spesso per fini meno nobili: basti pensare ai delfini e ai beluga addestrati come spie dalla marina russa. I sensori non interferiscono con le funzioni vitali, anche se mancano ancora studi conclusivi sugli effetti a lungo termine. L’obiettivo del Noaa è chiaro: installare decine di apparecchiature all’anno, estendere la rete di raccolta dati e rendere più precisi i modelli previsionali. In futuro, per lo meno, dare dello «squalo» a qualcuno potrebbe non suonare più come un insulto. Chiamatelo, se volete, «effetto Trump».

30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 08:27)

30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 08:27)

Fonte Originale