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Renato Simoni, lo stile e la critica

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Nel 2002, a cura di Giovanni Raboni, uscì per l’editore Gemma editco Simoni a teatro. Cronache drammatiche 1915-1952. Lo lessi con avidità. Com’era il teatro nella prima metà del secolo che ci eravamo lasciato alle spalle? Ma anche: com’era la critica? Renato Simoni fu una sorpresa, pensavo che cento anni prima la critica, anche perché rivendicata come «cronaca», fosse generica, approssimativa. Quel libro rivelava che era il contrario esatto. Raboni così ne parla: «Tra le peculiarità che costituivano e tuttora spiegano l’ineguagliata, forse ineguagliabile grandezza di Simoni critico: la limpidità, la chiarezza, la discreta, quasi invisibile perfezione della sua tecnica espositiva, del suo stile. Impossibile, nei suoi innumerevoli articoli, rintracciare una caduta e nemmeno uno scarto, un’accelerazione indebita, un eccesso o stridore o gonfiore della scrittura: mai una virgola o un punto e virgola o tre puntini fuori posto e tanto meno un aggettivo, un avverbio, un “colore” di troppo. Anche quando deve rendere conto di testi o di spettacoli particolarmente complessi e magari inquietanti (…) Simoni non perde mai la pacatezza, il suo nitore, la sua suprema ragionevolezza». Nella vicenda di Simoni mi colpiscono anche altre cose. I tempi della sua prestigiosa carriera in quanto giornalista. Cominciando a diciannove anni dalla sua Verona passò a Milano come critico teatrale per «Il Tempo» a ventiquattro, e per il «Corriere» a ventotto — dove era stato chiamato dal direttore Luigi Albertini, probabilmente per il successo della sua prima commedia, La vedova del 1902. Nel 1906 (di anni ne aveva trentuno) assunse la direzione de «La Lettura» fino al 1923, ma del «Corriere» fu critico teatrale, a parte una breve parentesi subito dopo la guerra, fino alla morte nel 1952.

Rimase scapolo e non ebbe figli, vivendo con la sorella: una uniformità e una linearità identiche allo stile descritto da Raboni: quello stile non cambiò mai, è impressionante come la sua pacata pienezza sia quasi identica nei primi articoli e negli ultimi. Si tratta di una pienezza sotto cui scorre quasi inavvertita una straordinaria sottigliezza: nell’analisi del testo. È difficile naturalmente che Simoni riferisca di ciò che ha visto, per la semplice ragione che non credo ci fosse molto da vedere. Certo, gli attori; ma non vi era regia o, quantomeno, non vi erano intenzioni di regia. Alla fine della sua cronaca-critica Simoni saluta gli attori raramente chiamandoli con nome e cognome — perché ciò accada occorrono casi eccezionali, come per Angelo Musco. Il più delle volte l’apprezzamento prevale sul disappunto. Difficilmente Simoni dimentica e trascura le azioni del pubblico, il numero delle chiamate.

Ecco nel 1916 l’inizio dell’articolo per Pensaci, Giacomino! di Luigi Pirandello che «presentando un caso psicologico d’eccezione non lo svolge e non lo spiega con le sorprese d’una logica brillante e paradossale ma lo conduce dolcemente, pianamente, semplicemente verso la legge comune della vita, mostra come dalla vita comune esso sia derivato, rivela quanta sincera e profonda umanità si nasconda dietro un’apparente deformazione sentimentale (…) Agostino Toti, professore di storia naturale, quasi settantenne, per il gusto di sentirsi ridere vicino una giovinezza, si mette in mente di sposare la giovanetta Luzzidda, figlia del suo bidello. Oh non è per una gotica e bestiale voglia di vecchio! Egli non chiede che di far da padre a quella fanciulla».

Ecco invece il finale dell’articolo del 1951 per Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, dove una regia c’è: «Ottimi tutti gli interpreti; eccellente Rina Morelli, in quel quasi ragionante delirio di Blanche, dove sono fusi crudo verismo, falso idealismo, presentimento del naufragio, giuoco dell’illusione e dolore e pazzia. Interpretazione di eccezionale valore, la sua, profonda e straziante. Da segnalare con molta lode il bravo Mastrojanni, il De Lullo che ad ogni rappresentazione fa passi avanti, la schietta e interessante Rossella Falk (…). Rina Morelli è stata applaudita con singolare fervore; Luchino Visconti è stato evocato alla ribalta con i suoi attori otto o nove volte alla fine dello spettacolo». In questo caso la presenza del regista non poteva essere trascurata — proprio come era stata con entusiasmo sottolineata l’apparizione di Giorgio Strehler per l’inaugurazione del Piccolo nel 1947 con L’albergo dei poveri di Maksim Gor’kij: il teatro si emancipava da sé stesso.

Quel critico teatrale, quel drammaturgo, quell’uomo di quieto e vorrei dire equo pessimismo, pari a quello del filosofo Giuseppe Rensi, suo coetaneo e concittadino, fu anche uno dei librettisti di Turandot — e di Puccini fu grande amico. Vittima di un collasso cardiaco, Simoni morì a settantasette anni.

Il libro

Il volume citato da Franco Cordelli, «Simoni a teatro. Cronache drammatiche 1915-1952», uscì nel 2002 per Gemma editco, piccolo editore veronese. La curatela era di Giovanni Raboni, che fu a sua volta critico teatrale del «Corriere». Proprio Raboni passò nel 1998 il testimone a Cordelli, attuale critico teatrale del nostro giornale. Il volume contiene anche un ricordo di Giulio Nascimbeni, storico capo della Terza Pagina in via Solferino, e una nota bio-bibliografica di Giulio Galetto

29 luglio 2025 (modifica il 29 luglio 2025 | 21:14)

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