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«Maestro Camilleri… Montalbano sono». La collana in edicola con il «Corriere»

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C’era più volte Andrea Camilleri. Se ci fate caso, la storia dello scrittore di Montalbano (e tutto il resto) somiglia a una fiaba. Ne ha le movenze, i passaggi obbligati. E le apparizioni prodigiose: in un pomeriggio molto caldo del giugno 1935 Luigi Pirandello, fresco di Premio Nobel per la Letteratura, suona alla porta di casa Camilleri a Porto Empedocle (la Vigàta dei suoi romanzi). Viene ad aprirgli Andrea bambino che resta imparpagliato alla vista del visitatore. Pirandello è vestito come un ammiraglio: feluca, mantellina, spadino, alamari, «oro a non finire ricamato dovunque».

Fu una specie di prefigurazione? Un’investitura? Un passaggio di consegne tra il sessantasettenne Pirandello all’apice della gloria e un decenne con la bocca che puzza ancora di latte? Comunque sia, l’incontro appartiene alla categoria degli incontri fatidici come quello in cui John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, stringe la mano a un giovanissimo Bill Clinton, suo futuro successore.

C’è un ulteriore, e non meno favoloso, sviluppo. Una sera di molti anni dopo (siamo già nel nuovo millennio, il tempo vola nelle fiabe), Clinton, invitato in qualità di ex presidente a un ricevimento alla Casa Bianca, si avvicina al premier italiano, che era Matteo Renzi all’epoca, per raccomandargli di portare i suoi saluti ad Andrea Camilleri, l’autore di Il birraio di Preston, un romanzo che lo ha divertito fino alle lacrime.

Tutto si tiene nelle favole. Tutto si tiene nella vita (e nelle opere) di Camilleri. Ma procediamo con ordine e poniamoci la domanda da un milione di dollari: quando è che uno scrittore diventa uno scrittore? Quando è che Camilleri è diventato Camilleri?

La risposta è multipla come nei test dei concorsi pubblici.

Risposta a) L’apparizione di Pirandello in divisa da accademico d’Italia a Porto Empedocle potrebbe già essere la soluzione del quesito, ma Camilleri la giudicherebbe una esaggerazioni e chiederebbe un’indagine più approfondita.

Risposta b) Andrea piccolissimo ascolta affascinato la nonna Elvira che gli racconta e riracconta, a memoria, senza bisogno di guardare il libro, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. È quello l’imprinting? È lì che bisogna cercare le radici dell’oralità, dello stile parlato che caratterizza la sua scrittura.

Nel microscopico studio di Camilleri in via Asiago a Roma campeggiava un bellissimo retablo, un antico cartellone da cantastorie regalo di Elvira Sellerio, amica ed editrice, principale responsabile della saga di Montalbano. Il retablo stava lì come un totem, l’altare del culto letterario che Camilleri ha sempre osservato, quello dei narratori ambulanti. Approverebbe Camilleri questa risposta? La accenderebbe come fanno i concorrenti dei quiz televisivi?

Risposta c) Camilleri cominciò a essere lo scrittore che poi sarebbe stato quando ancora bambino, un bambino pieno di ardimento, prende carta e penna e scrive una lettera al capo del governo e duce del fascismo Benito Mussolini offrendosi come volontario per la guerra in Africa. Mussolini respinge la proposta e così la Patria ha avuto un giovanissimo eroe caduto al fronte in meno e un grande scrittore in più.

Risposta d) Camilleri diventò scrittore con un gesto, senza bisogno di scrivere nemmeno una parola. Fu quando lanciò un uovo contro il crocifisso sulla parete del collegio-prigione dove era stato rinchiuso per scarso rendimento scolastico e da dove voleva essere espulso a ogni costo. E lo fu. A volte gli scrittori nascono così, in odore di dannazione.

Un giorno, un’amica fece visita a Camilleri, già vecchio, ormai sull’orlo della cecità, e lo trovò seduto sotto il retablo, la barba lunga come un naufrago, forse un po’ ubriaco (più di dolore che di birra), gli occhi rossi di pianto, in mano una copia di Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij. Un pensiero infelice lo aveva appena travolto precipitandolo in una disperazione senza scampo: lui non sarebbe mai stato capace di scrivere un capolavoro come quello di cui era protagonista Rodiòn Romànovič Raskòl’nikov, il colpevole per antonomasia nella storia della letteratura.

Ci sono nella vita di uno scrittore, anche di quelli fortunatissimi come Camilleri, momenti così, redde rationem. È il prezzo del talento. Come disse Truman Capote: «Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è intesa unicamente per l’autoflagellazione».

Risposta e) E se uno scrittore nascesse quando impara a non scrivere? Quando capisce il peso del silenzio e il valore del pudore? Camilleri avrebbe forse risposto con una storia, con una metafora, che era il suo modo di sciogliere i nodi più inestricabili, o di stringerli più forte ancora come si fa quando si procede alla sutura di una ferita. Camilleri appartiene, non dimentichiamolo, alla generazione che ebbe come libro del cuore
Ferito a morte di Raffaele La Capria (anche se Andrea aveva più di un tratto in comune con Pelos, il gaudente fratello di La Capria, un supereroe della vita).

La storia con cui avrebbe risposto è di natura autobiografica. Me la raccontò una volta in una intervista. E sembra un film.

Sicilia, estate del 1943, Camilleri, disertore diciottenne, sta tornando, a piedi o con mezzi di fortuna, a Porto Empedocle dove lo aspetta il padre, da tempo senza sue notizie. A un certo punto attraversa un campo di battaglia. Da uno dei carri armati italiani, scatole di sardine sventrate dai possenti Sherman americani, Andrea vede pendere un corpo. La giacca della divisa si è rovesciata sulla testa dello sventurato soldato, il contenuto delle tasche si è sparso per terra. Ci sono delle lettere. Andrea le raccoglie e ripiglia il cammino. A casa le legge. Le ha scritte la moglie del carrista morto per confessargli che lo ha tradito proprio con un suo amico, il commilitone in licenza incaricato dal marito di portarle i saluti.

«Una storia terribile che non ho mai voluto scrivere» disse Camilleri alla fine del suo racconto.

«Perché?» gli domandai.

Rispose: «Perché del tutto casualmente ero entrato nella vita segreta di un uomo morto. Dovevo andare a spifferare le sue disavventure coniugali? Ho avuto pudore di farlo. Sarebbe stata una storia bellissima da scrivere, ma sarebbe stato un atto di indiscrezione assoluto».

Uno scrittore diventa scrittore anche così: non scrivendo una parola ma inghiottendo le parole che avrebbe dovuto scrivere come una spia inghiotte un messaggio in codice. Uno bravo come era Camilleri sapeva che si scrive anche col silenzio.

Risposta f) È quando comincia a lavorare alla Rai (dove avevano finito per sorvolare sul fatto che fosse un pericoloso comunista), in qualità di regista, sceneggiatore, produttore, che Camilleri diventa scrittore dal punto di vista squisitamente tecnico. Accade il giorno in cui il drammaturgo Diego Fabbri gli rivela la ricetta delle sceneggiature: comprare dieci copie di un romanzo di Simenon (i due erano alle prese con la trasposizione in tv delle inchieste di Maigret), strappare le pagine a una a una e rimontarle secondo la suspense televisiva e non la logica narrativa. Guardando Fabbri mischiare e distribuire come un mazziere le carte di Simenon, imparò che raccontare è un gioco (d’azzardo). Quel giorno, a insaputa dello stesso Camilleri, venne al mondo il commissario Montalbano, il Jules Maigret degli italiani. Ma mancava ancora l’ultima lezione. Quella decisiva.

Risposta g) Fine anni Sessanta, Camilleri è ormai un professionista affermato. Colonna della Rai. Docente al Centro sperimentale di cinematografia. Regista teatrale. Impegnatissimo come la figlia Andreina lo descrive in un compito in classe. Tema: Mio padre. Svolgimento: «Mio padre quando torna a casa si chiude nello studio e legge i copioni. La sera esce e non torna più. Quando mi sveglio, certe volte non c’è, questo è mio padre. Qualche volta fa andare la lavatrice».

Eppure c’è un tarlo annidato in un vecchio mobile che continua a scavare imperterrito producendo un rumore da acufene. È il rumore del romanzo che non riesce a scrivere. Allora decide di provarci seriamente. Il corso delle cose è il titolo. Ma non gli viene come vorrebbe. È insoddisfatto.

Intanto suo padre è venuto a Roma per ricoverarsi in una clinica. È malato senza speranza. Il figlio manda ogni cosa a catafottersi e passa le giornate al suo capezzale. Una sera narra al padre la storia che non riesce a scrivere e gli viene naturale di farlo usando il loro lessico familiare, l’idioma con cui si sono sempre parlati, un cocktail di italiano e siciliano. Quando Andrea finisce la sua storia, il padre gli dice che gli è piaciuta e poi gli dà un consiglio: «Scrivila come me l’hai cuntata». È così che nasce il vigatese, la lingua dei capolavori che anni dopo lo avrebbe portato al successo mondiale. La lingua nazionale di Camillerolandia, il Paese delle Meraviglie. Biglietto d’ingresso: La forma dell’acqua (1994), il primo caso del commissario Montalbano.

Qual è, allora, la risposta corretta alla domanda: quando è che Camilleri diventa Camilleri? La a? La b? La c? La d? La e? La f? O la g? Tutte, sono tutte esatte.

Le uscite

Dal 30 luglio sarà in edicola per due settimane insieme al «Corriere»
(a euro 9,99 più il costo del quotidiano)
La forma dell’acqua
, il primo romanzo della serie dedicata al commissario Montalbano di Andrea Camilleri. È la prima volta che un’opera così completa su questo personaggio (28 romanzi più 6 raccolte di racconti) viene pubblicata in abbinamento a un quotidiano. Tutti i libri successivi, allo stesso prezzo, saranno in edicola con cadenza settimanale, in abbinamento
al «Corriere»
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28 luglio 2025 (modifica il 28 luglio 2025 | 22:42)

28 luglio 2025 (modifica il 28 luglio 2025 | 22:42)

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