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Donanemab: Ema verso l’approvazione del secondo farmaco contro i sintomi di Alzheimer in fase precoce

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Il Comitato per i medicinali per uso umano (Chmp) dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) ha raccomandato il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio per il farmaco donanemab, destinato al trattamento della malattia di Alzheimer in fase precoce.

Si tratta di un riesame di un precedente parere negativo. Ema precisa che «il comitato ha raccomandato il rilascio dell’autorizzazione per le persone che non presentano una copia del gene ApoE4, o per le persone che presentano una sola copia del medesimo gene».

Le modifiche al parere 

Durante la valutazione precedente, l’EMA aveva espresso parere negativo a causa dell’elevata incidenza non sintomatica di ARIA (amyloid-related imaging abnormalities), l’effetto collaterale più frequente di questo tipo di farmaci: negli studi clinici eseguiti per l’approvazione negli Stati Uniti (avvenuta un anno fa) circa un quarto di coloro che avevano assunto donanemab aveva manifestato gonfiore o sanguinamento nel cervello. Mentre la maggior parte dei casi erano lievi o asintomatici, circa il 2% era risultato grave e gli effetti collaterali erano stati collegati alla morte di tre pazienti.
In particolare, è stato stimato che vadano incontro a un maggiore rischio di emorragie cerebrali i pazienti che hanno maggiori probabilità di sviluppare l’Alzheimer, cioè coloro che sono portatori della variante genetica chiamata APOE4. Ecco perché EMA ha escluso queste persone dalla possibilità di accedere al farmaco.

Nella rivalutazione del comitato di EMA su donanemab (si legge nel comunicato ufficiale) è stata vagliata la proposta dell’azienda produttrice (Eli Lilly) di un diverso regime di dosaggio per ridurre il rischio di ARIA e sono state imposte misure aggiuntive per gestire il rischio, tra cui regole più severe per l’interruzione del trattamento e l’esclusione dei pazienti a rischio.

Con queste modifiche si è arrivati alla raccomandazione favorevole, che ora dovrà essere resa un’autorizzazione definitiva.

Tempi lunghi 

Lecanemab e donanemab sono i due anticorpi monoclonali che promettono di rallentare i sintomi delle prime fasi di Alzheimer. Non sono una cura. 
Rimuovono le proteine amiloidi dal cervello, segno distintivo della malattia di Alzheimer, ma alcuni esperti sono scettici e affermano che il rallentamento del decadimento cognitivo è modesto e spesso non viene percepito dai pazienti e familiari.

Lecanemab è stato approvato da EMA nel dicembre scorso ma l’iter per la somministrazione in Italia non è ancora concluso. 
Si va ora verso l’approvazione anche di donanemab, ma poi serve l’autorizzazione al commercio della Commissione Europea e infine l’approvazione delle singole agenzie dei farmaci nazionali (in Italia l’AIFA). I Paesi membri probabilmente istituiranno una task force per dare indicazioni in termini di linee guida e raccomandazioni sul reclutamento dei pazienti, l’individuazione dei centri accreditati e la durata dei trattamenti (che saranno strettamente ospedalieri, dato che la commissione EMA prescrive: «donanemab deve essere somministrato sotto la supervisione di un team multidisciplinare formato nell’individuazione, nel monitoraggio e nella gestione delle ARIA e con esperienza nell’individuazione e nella gestione delle reazioni correlate all’infusione»).

Potrebbero volerci molti mesi e la platea candidabile alle terapie sarebbe di circa il 10% dei pazienti con malattia di Alzheimer diagnosticata.

I reali benefici: allo studio 

Riguardo ai reali benefici dei due anticorpi gli studi sono ancora in corso: in Usa sono in commercio da circa un anno.
Un’analisi di febbraio fatta dalla Washington University School of Medicine di St. Louis (Stati Uniti) pubblicata sulla rivista Alzheimer’s & Dementia: Translational Research & Clinical Interventions ha cercato di valutare i primi effetti di questi trattamenti «sul campo» in termini di impatto sulla vita quotidiana dei pazienti.
Gli scienziati hanno calcolato quanti mesi aggiuntivi di vita indipendente (senza la necessità di un badante) un paziente affetto da Alzheimer potrebbe guadagnare grazie agli anticorpi monoclonali (ne abbiamo parlato QUI).
In un paziente con sintomi molto lievi di declino cognitivo (come dimenticare gli appuntamenti o non riuscire a seguire bene le conversazioni) l’assunzione di donanemab ha aggiunto otto mesi di indipendenza, mentre quella di lecanemab ne ha aggiunti 10.
Nelle persone con sintomi lievi ma evidenti (come ripetere le stesse domande o perdersi), il donanemab ha fornito 19 mesi aggiuntivi di capacità di vestirsi, mangiare e lavarsi in modo indipendente mentre lecanemab ha fornito 26 mesi aggiuntivi nel prendersi cura di sé.

Non sono calcoli per ora validati dalla comunità scientifica, ma possono essere utili ai pazienti e alle loro famiglie. 

25 luglio 2025

25 luglio 2025

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