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Inventò una città, creò una lingua Camilleri, la Sicilia vestita di giallo

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«Lume d’alba non filtrava nel cortiglio della “Splendor”, la società che aveva in appalto la nettezza urbana di Vigàta, una nuvolaglia bassa e densa cummigliava completamente il cielo come se fosse stato tirato un telone grigio da cornicione a cornicione, foglia non si cataminava, il vento di scirocco tardava ad arrisbigliarsi dal suo sonno piombigno, già si faticava a scangiare parole». Sono alcune tra le prime parole in vigatese di Andrea Camilleri narratore. Comincia così La forma dell’acqua, romanzo d’esordio di Salvo Montalbano, contraddittorio, malinconico, ironico commissario, molto lontano dall’archetipo dell’investigatore deus ex machina. Consapevole del caos del mondo in cui si trova a operare, oltre che dell’animo umano, Montalbano è naturalmente portato a coltivare dubbi più che distribuire certezze.

L’indagine poliziesca in questo romanzo che nel 2024 ha festeggiato i suoi trent’anni e ora inaugura la collana del «Corriere della Sera» in occasione del centenario del suo autore, è il pretesto per un discorso più ampio sulla verità che, come l’acqua, prende la forma del recipiente che la contiene. L’arte del depistaggio, delle mezze verità e delle verità inconfessabili è il pane quotidiano dei personaggi di Camilleri, e Montalbano, qui come poi in tutti gli altri 27 romanzi della serie di cui è protagonista, (oltre a svariati racconti), è più interessato a tutelare una fragile forma di equilibrio etico, disinnescando ingiustizie maggiori.

Più che un esordio, La forma dell’acqua è un atto di fondazione in piena regola: Camilleri crea una nuova città, Vigàta, che non è il suo luogo natale (Porto Empedocle), ma gli somiglia; dà vita agli abitanti e li dota di un loro idioma. Arriva al romanzo «solo quando inventa il vigatese», spiega al «Corriere» Salvatore Silvano Nigro, critico letterario, filologo, studioso di Manzoni, Tomasi di Lampedusa, Manganelli, amico dello scrittore agrigentino, di cui è stato il «risvoltista» ufficiale avendo scritto le bandelle di tutti i suoi libri. Nigro trova il «primo, piccolo nucleo dell’officina dalla quale verrà fuori questa grandiosa invenzione linguistica» nelle lettere alla famiglia del giovane Camilleri, studente all’Accademia d’arte drammatica di Roma (recentemente una selezione è stata raccolta da Sellerio nel volume Vi scriverò ancora, curata dallo stesso Nigro). Gli insegnanti «gli avevano consigliato di mettersi i tappi alle orecchie tutte le volte che tornava a casa, in Sicilia, per non sentire le parole in dialetto, ma soprattutto per non assimilarne l’inflessione. Lui — continua Nigro — assentì, promise a sé stesso di farlo, anche a costo d’essere sfottuto dagli amici. Per fortuna dimenticò presto l’impegno preso. E disseminò nelle lettere una manciata di voci e costrutti familiari che furono il primo nucleo del vigatese. Insomma, questa lingua nasce come atto di ribellione all’Accademia, il problema è spiegare come mai lo ha fatto, ma questa è un’altra storia».

Vigàta e la sua lingua, in realtà, compaiono già nel 1980, nel romanzo storico Un filo di fumo: «Uscì da Garzanti — ricorda Nigro — che lo costrinse ad annacquare il dialetto e a mettere alla fine del romanzo un vocabolarietto che ne spiegava i termini. Nessuno credeva in quella lingua, neppure Leonardo Sciascia, ma Camilleri ci ha creduto fino in fondo».

Dietro la scelta di una lingua nuova, dice Nigro, grande ricercatore della letteratura, capace di trovare legami apparentemente invisibili tra opere e autori, c’è in qualche modo lo stesso Sciascia, autore di un romanzo che piaceva molto a Camilleri, Il consiglio d’Egitto. «In quel libro c’è la figura di un falsario, il monaco Giuseppe Vella, che inventa un codice in arabo-maltese e ha come collaboratore un altro monaco che si chiama, guarda caso, Cammilleri, in questo caso con due m…».

Analizzando la struttura del vigatese si trova un impasto linguistico originale che fonde l’italiano standard, il dialetto siciliano, modi di dire popolari e registri alti e bassi in un equilibrio miracoloso, accessibile a lettori dalle provenienze geografiche più disparate. «Una lingua terza» la definisce Nigro «che nasce dalla realtà ma si emancipa da essa, diventando uno strumento narrativo potentissimo».

Dentro non ci sono soltanto parole, ma un modo di guardare il mondo: ironico, disincantato, rudemente empatico. Montalbano stesso si muove continuamente tra questi due poli linguistici: l’italiano del commissariato e delle relazioni ufficiali, e il siciliano domestico, ironico, confidenziale, che usa con i suoi collaboratori.

Il vigatese funziona per immagini, suoni, ritmo e contesto. I suoi lettori entrano in questo mondo linguistico con naturalezza, imparandolo poco a poco come una lingua che continua a essere viva, anche ora che il suo inventore non c’è più.

Per la prima volta con un giornale un’opera così ampia. I 34 volumi a 9,99 euro l’uno

Nell’anno delle celebrazioni per i 100 anni dalla sua nascita, in collaborazione con l’editore Sellerio, il «Corriere della sera» dedica una collana a tutte le opere con protagonista il commissario Montalbano che usciranno in ordine cronologico. È la prima volta che un’opera così completa dedicata a questo personaggio (28 romanzi più 6 raccolte di racconti) viene pubblicata in abbinamento a un quotidiano. Si comincia con «La forma dell’acqua» che sarà in edicola per due settimane a partire dal 30 luglio, a euro 9,99 (oltre al prezzo del quotidiano). Il libro ha una prefazione scritta appositamente per il «Corriere» da Antonio D’Orrico. Tutti i successivi, allo stesso prezzo, saranno in edicola con cadenza settimanale, in abbinamento al «Corriere della Sera». Camilleri raccontò che dopo «La forma dell’acqua» il commissario Montalbano, a cui Luca Zingaretti presta il volto nella serie tv, non era ancora una figura completa. «Ebbi la sensazione che mi era rimasto con un piede alzato. Allora scrissi il secondo della serie che è «Il cane di terracotta». A questo punto questo personaggio era diventato un personaggio anche per me». Il secondo romanzo, in cui il commissario trova i cadaveri di due giovani amanti, abbracciati, abbandonati da decenni, sorvegliati da un enorme cane di terracotta, uscirà il 6 agosto; il terzo, «Il ladro di merendine», il 13 agosto. Questa volta il commissario ha a che fare con due morti violente: quella di un tunisino imbarcato su un peschereccio di Mazara del Vallo e quella di un commerciante accoltellato dentro un ascensore.

22 luglio 2025 (modifica il 22 luglio 2025 | 21:44)

22 luglio 2025 (modifica il 22 luglio 2025 | 21:44)

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