Questa mattina, 14 luglio 2025, 171 giorni dopo quel 24 gennaio quando l’annuncio del Monte dei Paschi di Siena scosse il mercato finanziario italiano, prende finalmente il via l’offerta pubblica di scambio lanciata su Mediobanca.
Gli ultimi giorni sono stati roventi. Venerdì scorso il consiglio di amministrazione di Mediobanca (che controlla il 6,5 per cento di Rcs Mediagroup, editore di questo giornale) si è espresso, ancora una volta, con toni estremamente duri nei confronti dell’offerta senese. L’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, ha insistito su una visione totalmente chiusa davanti all’offensiva di Mps: non si crea valore e non ci sono razionali né sinergie di costi, ha detto in buona sostanza.
Di segno diametralmente opposta la visione del Monte dei Paschi di Siena e del suo amministratore delegato, Luigi Lovaglio, che vede proprio nella complementarietà dei due business il grande vantaggio dell’operazione. A cui si aggiungono possibili vantaggi fiscali (le Dta) derivanti dalla aggregazione dei due gruppi.
Opinioni
Al di là delle legittime e contrastanti opinioni, da questa mattina e fino all’8 settembre parleranno i fatti. Ovvero, prima di ogni altro, la quantità di azioni Mediobanca che verranno consegnate a Mps. Conoscendo le abitudini degli operatori, tutto si deciderà dopo Ferragosto, probabilmente nell’ultima settimana dell’offerta, la prima di settembre. Mps punta al 35 per cento del capitale di Mediobanca come soglia minima per considerare positivamente la propria scalata. Ma quel livello è già facilmente raggiungibile considerando che alcuni soci, come Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin degli eredi di Leonardo Del Vecchio, particolarmente attivi in Mps, hanno posizioni di rilievo anche in Mediobanca. Il tema vero sarà la risposta dell’altro 65 per cento. Una vittoria che agevolerà il lavoro futuro di Lovaglio si otterrà solamente con la consegna a Mps del 50 per cento del capitale di Mediobanca. Ma il successo pieno, quello che consentirà di ottenere fin da subito tutti i vantaggi di natura fiscale ipotizzati nel progetto senese, arriverà solo con il 66,7 per cento di azioni consegnate, ovvero la maggioranza qualificata, i due terzi dell’azionariato.
È una partita dai molteplici interessi: il risiko del risiko. Con un fattore disturbante: la presenza nel capitale di Mps del governo italiano come primo azionista. Secondo alcuni è proprio alla presenza del Mef che si deve ricondurre l’uscita dal capitale di Mediobanca di alcuni soci pochi giorni fa. Hanno venduto azioni Mediobanca il gruppo industriale Monge, Finfer, la Vittoria Assicurazioni della famiglia Acutis, il gruppo Gavio e soprattutto Banca Mediolanum, socio storico di Mediobanca, con cui diede anche vita a Banca Esperia. Imprese industriali che, in alcuni casi, lavorano con concessioni governative, come il caso di Edizione della famiglia Benetton, socia di Mediobanca, che si muoverebbe con estrema cautela, preferendo talvolta l’astensione rispetto all’esposizione. Secondo altri, invece, la risposta dei soci riflette le considerazioni a valle dell’assemblea di Mediobanca convocata il 16 giugno scorso. Doveva essere un referendum a favore di Nagel, ma il conteggio preventivo dei voti ha indotto il consiglio di amministrazione di Mediobanca al rinvio dell’assise molto in là nel tempo, al 25 settembre, quando i giochi saranno fatti, in un senso o nell’altro. Il pre-conteggio e il conseguente rinvio sembra abbiano indispettito quegli operatori professionali che avevano già apportato il loro voto a favore di Mediobanca, diffondendo alcune perplessità, poi amplificate dalla svalutazione al 7 per cento del peso dei soci aderenti al patto di consultazione di Piazzetta Cuccia.
Prospettive
Tutto questo però è il passato. Ciò che conta adesso è solo la consegna, o meno, delle azioni Mediobanca a Mps. Saranno otto settimane caldissime e non prive di colpi di scena. Come in ogni serie televisiva che si rispetti non mancherà l’aspetto giuridico. Mediobanca punta il dito contro le procedure di vendita da parte del governo italiano dell’ultima quota di azioni Mps. L’operazione, del novembre 2024, vide la crescita nel capitale di Banco Bpm, Delfin e Caltagirone. Altri operatori, come Unicredit, interessato a partecipare, raccolsero nulla. Ma il prezzo di vendita delle azioni non fu scontato, bensì superiore a quello di mercato, fatto davvero singolare in operazioni di Accelerate book building, che però impedisce di configurare un danno per l’erario.
Mediobanca ha rappresentato molto nella storia finanziaria e industriale di questo Paese. Ma da più di una decina d’anni ha smesso di essere il salotto buono, fa un altro mestiere che al wealth management unisce il credito al consumo e la gestione della partecipazione in Generali, da cui ricava un terzo del proprio utile.
Mps è la banca più antica al mondo: nei primi dieci anni di questo secolo ha dilapidato un patrimonio miliardario ed oggi vive solo grazie alla ricapitalizzazione precauzionale del 2017, quando il capitale venne di fatto azzerato e il governo italiano se ne fece carico. Dal 2008 al 2022 Mps ha chiesto al mercato l’iperbolica cifra di 25 miliardi di euro. Gli ultimi 2,15 a novembre 2022 sono stati quelli della svolta, che hanno permesso a Lovaglio di far rinascere una banca capace di tornare in utile, di distribuire dividendi importanti e di salire ai vertici europei per solidità patrimoniale. Come finiranno, l’8 settembre, lo deciderà il mercato.
14 luglio 2025
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