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Il piano B di Emiliano per sfuggire al parricidio

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L’uccisione del padre, per quanto simbolica, è un passaggio obbligato in politica. Campo in cui – come è stato detto – ogni carriera finisce inevitabilmente in un fallimento: o perché si perdono le elezioni, o perché bisogna passare la mano. Ciò nonostante ogni politico sogna l’immortalità, spera cioè di sfuggire a questa legge ferrea della biologia prima ancora che della vita pubblica. E dunque, altrettanto naturalmente, chi deve succedergli ha bisogno di eliminarlo, di farlo fuori dalla scena, perché sa che altrimenti lui (o lei) prima o poi ci riproverà. È una storia che abbiamo visto ripetersi tante volte. Talvolta con successo, come nel caso dell’«uccisione», sempre simbolica s’intende, di Helmut Kohl da parte di Angela Merkel. Altre volte con meno successo, come nel tentato parricidio di Gordon Brown ai danni di Tony Blair, risoltosi in una carriera breve e sfortunata da Primo Ministro britannico.

Ed è quello che sta succedendo in Puglia. Dove Antonio Decaro ha ormai apertamente posto la questione del parricidio di Michele Emiliano; nel senso che l’ex sindaco di Bari, potenziale vincitore a mani basse delle elezioni regionali pugliesi d’autunno, non vuole che nella lista del Pd ci sia anche il governatore uscente. In questa vicenda va innanzitutto notato un aspetto che non fa onore alla politica democratica. E cioè la pretesa di chi per tanti anni ha rivestito un ruolo pubblico di trovare un altro «lavoro» alla fine del mandato. Emiliano è in pista da più di un ventennio e un mestiere (e uno stipendio) cui tornare ce l’avrebbe, visto che, con scandalo giustificato di molti, non s’è mai dimesso dalla magistratura. Certo, per le norme previste dal Csm che si applicano ai magistrati che sono stati eletti a cariche pubbliche (ricordiamo che la Corte Costituzionale ha confermato il divieto per legge di iscrizione a un partito politico), Emiliano dovrebbe trasferirsi a Roma e prendere servizio in un ministero, visto che non avrebbe più i titoli per amministrare giustizia garantendo «indipendenza e imparzialità». 

Ma Emiliano non vuole. Ha accettato di non fare storie sul terzo mandato, storie che sarebbero comunque state inutili visto che non sarà in ogni caso consentito, in cambio di un seggio parlamentare. Ma può rimanere disoccupato uno come lui da qui alle elezioni del 2027? No! E infatti pretende uno scranno in consiglio regionale. Pare che in un incontro con Decaro gli abbia anche prospettato l’opportunità per la sua vita privata di restare a Bari, visto che sta per diventare padre (auguri!). Ma è possibile che la politica democratica debba essere modellata dalle esigenze personali dei suoi protagonisti? Non credo però che sia stato questo il motivo per cui Decaro ha deciso di mettersi di traverso. Queste considerazioni etiche non hanno molto valore come moneta corrente nelle vicende di partito. È più probabile che il futuro governatore abbia visto il rischio che l’ingresso del suo «padre» politico in consiglio non sia solo quello di un «ex priore» che vuole tornare a fare il «frate semplice», come dice lui. Emiliano ha acquisito nel corso di due decenni troppe relazioni, troppo potere, troppi interessi perché possa tornare a fare il frate semplice. Più probabile che ambisca una volta eletto, cosa che avverrebbe agevolmente col sistema delle preferenze, a fare il presidente del consiglio regionale.

Questa postazione può essere molto rilevante nella gestione di una Regione. Chi ha esperienza e conoscenze, in quel ruolo può diventare cruciale, un vero e proprio semaforo in grado di dare luce verde o rossa, o di fare aspettare ad libitum i provvedimenti della giunta e di conseguenza di condizionare così anche l’azione politica del governatore. Un ruolo da questo punto di vista molto più rilevante di quello di un assessore, che gestisce sì direttamente fondi e potere, ma è pur sempre nominato dal governatore e dunque da lui revocabile.

Non si può escludere che questo sia il piano B anche di Vincenzo De Luca. Una volta che gli sarà chiaro che la prospettiva del terzo mandato è definitivamente tramontata, siamo certi che lui punterà a entrare in consiglio. Dove la carica di presidente si attaglierebbe alla perfezione alla sua storia e al suo standing . Potrebbe da quello scranno diventare una spina nel fianco per un governatore Fico. Ed è una posizione raggiungibile anche a dispetto della segreteria del Pd, che sembra ormai aver deciso di farlo fuori ad ogni costo e di non trattare con lui un’uscita di sicurezza.

Questi «padri» che non se ne vogliono andare (politicamente si intende) sono un grande problema della politica. Sospettiamo anzi che qualcosa di analogo possa accadere anche con Luca Zaia in Veneto, nel caso (improbabile) che il candidato governatore non sia un leghista scelto da lui e dunque di sua stretta osservanza. È perciò perfettamente comprensibile che chi voglia succedere loro, soprattutto se dimostrerà di avere i voti e consensi popolari per poterlo fare, intenda scrollarsi di dosso il peso di così ingombranti e impiccioni «genitori».


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13 luglio 2025 ( modifica il 13 luglio 2025 | 08:21)

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