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Volo Air India precipitato, i piloti Sumeet e Clive e l’indagine che vuole chiarire le loro ultime settimane

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Tre settimane dopo lo schianto del Boeing 787 di Air India il team investigativo — guidato dalle autorità locali — ha spostato la sua attenzione dall’aereo e dai suoi motori alle vite dei piloti e ai loro ultimi giorni. E lo ha fatto un po’ malvolentieri, confermano al Corriere due fonti occidentali a conoscenza delle discussioni. Anche quando due manager di primo livello di Boeing (costruttore del velivolo) e GE Aerospace (costruttore dei propulsori) hanno mostrato, in un incontro riservato del 16 giugno, che i dati in loro possesso evidenziavano una «criticità» avvenuta nella cabina di pilotaggio.

Il comandante

Ora al centro, anche dell’attenzione mediatica, ci sono loro due. Il comandante Sumeet Sabharwal e il primo ufficiale Clive Kunder. Sabharwal, 56 anni, possedeva una licenza di pilota di trasporto di linea valida fino al 14 maggio 2026. Aveva ottenuto le abilitazioni per volare come comandante su diversi aeromobili, tra cui il Boeing 787 e 777 e l’Airbus A310. E aveva accumulato un’esperienza di volo totale di 15.638 ore, di cui 8.596 sul Boeing 787. Secondo i giornali locali il comandante aveva telefonato alla sua famiglia dall’aeroporto, rassicurandoli che li avrebbe richiamati dopo l’atterraggio a Londra. A una vicina di casa, aveva detto che «altri uno o due voli e poi starò a casa a dare una mano a mio padre», di 92 anni.

Il primo ufficiale

A differenza di Sabharwal, Kunder, 32 anni, aveva molta meno esperienza. Possedeva una licenza di pilota commerciale rilasciata nel 2020 e valida fino al 26 settembre 2025, stando ai dettagli forniti dal rapporto preliminare. Aveva ottenuto le abilitazioni per volare come comandante su aeromobili Cessna 172 e Piper PA-34 Seneca, e come co-pilota su Airbus A320 e Boeing 787. Aveva accumulato un’esperienza di volo totale di 3.403 ore, di cui 1.128 come co-pilota su Boeing 787. I suoi familiari hanno raccontato ai media indiani che Kunder era appassionato di volo fin dai tempi della scuola e aveva iniziato a lavorare come pilota nel 2012. In Air India era entrato nel 2017.

L’alcoltest pre-volo

Il 12 giugno l’equipaggio del volo AI171 è stato sottoposto anche all’alcoltest — pratica non insolita — «risultando idoneo a operare il volo», si legge sul rapporto. Non ci sarebbe, insomma, alcuna anomalia. Ma il fatto che gli investigatori abbiano deciso di approfondire le vite di comandante e primo ufficiale è indicativo. Anche perché c’è un dettaglio, tra i tanti, sottolineato dagli esperti: i due interruttori che regolano il flusso di carburante dei motori si trovano nella parte bassa della console centrale del jet. «È una zona dove non ci si finisce per errore con le mani e le braccia», racconta un comandante con esperienza pluriventennale sui Boeing 777 e 787. «Quindi, al netto di un problema che avrebbe dell’incredibile, non può che esserci stata intenzionalità».

La reazione della categoria

L’Associazione dei piloti di linea dell’India ha criticato «il tono e l’impostazione dell’indagine» perché «suggeriscono un pregiudizio nei confronti dell’errore umano del pilota». Chiede «un’inchiesta equa e basata sui fatti» e sottolinea la «mancanza di trasparenza» e accusa che «personale qualificato ed esperto, in particolare piloti in attività, non è stato incluso nel team investigativo».

Il caso dei certificati falsi

L’India arriva da anni di accuse e maxi-retate sulla formazione dei piloti. Nel 2011 la Direzione generale dell’aviazione civile del Paese stimava che potevano esserci fino a quattromila tra comandanti e ufficiali con documentazione fasulla e quindi senza alcuna abilitazione a volare. L’autorità ha quindi avviato controlli serrati, ma tempo dopo con appena 35 minuti di addestramento si potevano ricevere certificati che attestavano 360 ore in cabina di pilotaggio. A non aiutare è stata la ridotta digitalizzazione del Paese per cui tutto o quasi era su carta, facilmente falsificabile.

lberberi@corriere.it

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12 luglio 2025

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