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Più difesa, meno welfare? Il dilemma, le vie d’uscita: come armarsi senza tagliare lo Stato sociale

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Nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, l’arcivescovo di Canterbury coniò il termine welfare state per contrapporre il modello inglese, orientato verso il benessere, al «warfare state» tedesco, orientato verso la guerra. Monsignor Temple aggiunse che lo sforzo militare contro Hitler era indispensabile proprio per poter difendere il welfare.

L’ombrello militare

Grazie all’ombrello militare americano, dal dopoguerra in avanti la spesa sociale in Europa ha superato di dieci volte o più la spesa per la difesa. Settant’anni di pace hanno offuscato lo spettro della guerra. I Paesi europei sono diventati «democrazie del benessere»: nel mercato elettorale ciò che conta è la capacità di soddisfare le aspettative di sicurezza socioeconomica dei cittadini.

Il contesto geopolitico

Il disimpegno Usa e le recenti trasformazioni del contesto geopolitico ci rendono però nuovamente vulnerabili. Le mire espansionistiche di uno stato guerrafondaio, la Russia di Putin, minacciano la stabilità del nostro modello sociale. È proprio questo nuovo quadro che giustifica la decisione dei Paesi Nato di incrementare la spesa militare sino al 5% del Pil entro il 2035.

La minaccia esterna

Tale scelta sta mandando però in fibrillazione le opinioni pubbliche di molti paesi. Il timore è, appunto, che in nome di una minaccia esterna al momento potenziale arrivino tagli concreti a quelle prestazioni sociali che tutelano, qui ed ora, i bisogni dei cittadini.

Le dimensioni del welfare

Le dimensioni della spesa per il welfare, pari in media Ue al 26,8% del Pil (2023), la rendono in effetti candidata naturale per una consistente sforbiciata. I governi si trovano così fra l’incudine degli impegni presi con la Nato e il martello del malcontento popolare in caso di tagli. La premier danese Frederiksen (socialdemocratica) ha già annunciato sacrifici in campo pensionistico. All’estremo opposto, Pedro Sanchez (socialista) ha detto che la Spagna si limiterà a investire in difesa il 2,1% del Pil: nessun taglio al welfare.

L’alternativa

Come reagirebbe l’opinione pubblica italiana di fronte all’alternativa difesa/welfare? E la sua reazione sarebbe differente da quella degli altri paesi europei? Due recenti sondaggi comparati (uno dell’Università di Milano e uno del Politecnico di Torino) ci aiutano a rispondere.

I sondaggi comparati

Come mostrano le tabelle, seppure in misura inferiore agli altri Paesi l’opinione pubblica italiana appare consapevole della necessità di investire di più nella difesa. Tuttavia, è quella più contraria a eventuali sacrifici sul terreno del welfare.

La sanità

Dovunque la sanità è l’ambito nel quale i tagli sono più sgraditi. Solo in Italia però quelli all’assistenza sociale per i poveri sono altrettanto indesiderati di quelli alle pensioni o all’istruzione. Gli elettori dei partiti di centro e di destra si oppongono ai tagli meno degli elettori dei partiti di sinistra. Le differenze riguardano soprattutto l’assistenza sociale, ma si riscontrano anche per pensioni, sanità e istruzione.

Le strategie dei partiti

Questi risultati si possono leggere in vari modi. Chi, come Giuseppe Conte o Elly Schlein, è contrario all’incremento della spesa militare potrà trovare conforto alla sua posizione. Chi, nella maggioranza di governo, si trova a dover incrementare la spesa militare nel contesto di un debito pubblico e una pressione fiscale in aumento dovrà fronteggiare un’opinione pubblica ostile, sebbene l’elettorato di centro e di destra sia quello meno contrario.

L’emissione di debito comune

E quanti ritengono che una capacità militare adeguata sia necessaria per consentire la sopravvivenza dell’Unione europea a fronte delle minacce attuali e potenziali? Devono rassegnarsi a vedere forti tagli al welfare? Non necessariamente. Per chi riesca a vedere un’opportunità pure nella difficile situazione contingente, i dati portano a considerare l’emissione di debito comune europeo, a sostegno di una vera e propria difesa comune, come l’unica strada socialmente sostenibile. Un recente articolo di Beetsma, Buti e Nicoli per il think-tank Bruegel sostiene che l’unico modo di raggiungere gli obiettivi Nato è attraverso la centralizzazione della difesa europea. Nel nostro Paese, l’opinione pubblica è in maggioranza favorevole alla creazione di un “esercito europeo”, e questo vale anche per gli elettori dei tre partiti di maggioranza, inclusa la Lega.

L’obiettivo del 5%

Inoltre, l’obiettivo del 5% del Pil si compone di un 3,5% in spese militari dirette (l’Italia spende quasi il 2%, secondo i calcoli del Mef) e un 1,5% in infrastrutture “di resilienza”. Secondo l’articolo 3 del Trattato Nato, queste ultime comprendono settori come trasporti e comunicazioni, protezione civile, sicurezza energetica e alimentare, servizi essenziali, sanità, ricerca e innovazione. Tutte voci per cui si potrà attingere ai fondi di coesione Ue.

Il piano di Difesa

Questo aspetto è stato finora trascurato nel dibattito, mentre potrebbe svolgere un ruolo decisivo per giustificare le scelte del governo. La Nato chiede a tutti i Paesi dei Piani d’attuazione che illustrino priorità e misure concrete. Metà del documento italiano potrebbe contenere un serio “Piano di difesa e resilienza economica e sociale”, direttamente ispirato all’articolo 3. L’opinione pubblica capirebbe che gli incrementi di spesa riguardano non solo la difesa, ma anche il rafforzamento delle capacità civili per fronteggiare i nuovi rischi. Non solo guerre, ma anche (di nuovo: lo dice l’articolo 3) disastri naturali, pandemie o collassi improvvisi di infrastrutture critiche. L’esperienza di questi giorni ci dice che i nuovi rischi sociali sono anche, e sempre più, quelli legati al cambiamento climatico.

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12 luglio 2025 ( modifica il 12 luglio 2025 | 08:30)

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