Home / Animali / La lunga agonia di aragoste, astici e granchi. Perché la sofferenza dei crostacei non ci indigna?

La lunga agonia di aragoste, astici e granchi. Perché la sofferenza dei crostacei non ci indigna?

//?#

La percezione della sofferenza negli animali che mangiamo, rispetto a quella degli animali che vivono con noi, è completamente diversa perché, si sa, coscienza e conoscenza possono prendere direzioni differenti anche solo per motivazioni legate all’opportunismo alimentare. Questa è la ragione per la quale il sentire comune, quel sentimento che ci porta a provare anche solo compassione se non rispetto – quando non amore – per gli animali con i quali viviamo non sboccia appieno e viene represso nei confronti di vacche, maiali e polli, per essere quasi del tutto cancellato per gli esseri viventi acquatici, come pesci e crostacei. 

Il punto interessante va oltre il confine etico fra il cibarsi o non cibarsi di animali, che resta il cuore di un conflitto che sta emergendo in modo sempre più chiaro, dovendo essere ora focalizzato sulla sofferenza e sulla nostra indifferenza quando riguarda animali fisiologicamente così lontani. Animali che si posizionano in fondo alle classifiche di attenzione come i crostacei decapodi, quelli muniti di cinque paia di zampe. Esseri viventi ma anche, secondo le ultime conoscenze scientifiche, esseri senzienti, capaci di provare sensazioni e dolore come indicato nel rapporto prodotto dalla London School of Economics and Political Science nel 2021, dal titolo Review of the Evidence of Sentience in Cephalopod Molluscs and Decapod Crustaceans. Posizione ribadita in Italia da Annamaria Passantino, professore ordinario presso il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Messina, che insieme a altri colleghi ha realizzato lo studio «La questione della senzienza nei crostacei decapodi», nell’ambito di un progetto per la loro tutela sostenuto da Animal Law Italia.

Eppure, nonostante i progressi scientifici sulla percezione delle sensazioni dei crostacei decapodi, come aragoste, astici, granchi, gamberi e scampi, in Italia e in Ue la loro tutela è rimasta ancora legalmente al palo. Questo ritardo nell’adeguare la legislazione, rispetto alle evidenze delle neuroscienze, consente ancora il fatto che questi animali possano essere spediti e venduti vivi, con agonie che durano solitamente giorni quando non settimane, in quella che è l’indifferenza quasi generale. 

La lunga agonia di aragoste, astici e granchi. Perché la sofferenza dei crostacei non ci indigna?

Tutti, almeno una volta, abbiamo visto sul banco di una pescheria, in una cassetta di plastica di un mercato o in acquario di un ristorante o di un supermercato un’aragosta o un astice ancora vivi, pronti per essere venduti, con un destino che potrà essere più o meno pietoso a seconda della sensibilità del cuoco. Poche volte, però, la maggioranza delle persone prova indignazione per le condizioni di maltrattamento che questi animali sono costretti a subire. Probabilmente senza nemmeno pensare che molti di questi animali, senzienti è bene ricordarlo ancora una volta, potrebbero finire la loro esistenza buttati ancora vivi dentro una pentola di acqua bollente, senza alcuna pietà per l’inutile crudeltà a cui verranno sottoposti. 

Ma è bene che si sappia che la pentola rappresenta solo l’ultima stazione di una via crucis, che parte dal momento della loro uscita dall’acqua del mare in cui sono stati pescati o della struttura in cui sono stati allevati. Tutti i crostacei venduti vivi, infatti, iniziano il loro percorso di sofferenza da questo momento, grazie alla loro incredibile fisiologia che gli consente di poter sopportare a lungo il fatto di essere estratti dall’acqua. I crostacei decapodi riescono a sopravvivere in condizioni artificiali estreme, grazie ad accorgimenti umani, come il mantenimento del tasso di umidità e l’abbassamento della temperatura ambientale. Situazioni nelle quali non si troverebbero durante loro vita libera perché i crostacei decapodi, con la sola eccezione dei granchi e per periodi molto limitati, non escono mai dall’acqua proprio come i pesci, vivendo quasi sempre a grandi profondità. Ma grazie alla loro vitalità e alla loro fisiologia complessa possono resistere alle sofferenze causate dai lunghi viaggi fuori dal loro ambiente naturale, che possono aver inizio in Canada, come accade per gli astici, per finire dopo vari passaggi della catena del commercio in una pescheria o in ristorante di Roma, Milano o Napoli oppure negli acquari delle catene di supermercati che, ancora oggi, possono vendere questi animali, vivi, al consumatore. 

Dalla partenza alla fine delle loro sofferenze potranno passare diversi giorni e in molti casi anche settimane, nelle quali questi esseri viventi saranno legalmente maltrattati, mentre potrebbero e dovrebbero essere commercializzati soltanto da morti, evitando così sofferenze indicibili. Certo, molti consumatori non conoscono il dramma dei crostacei venduti vivi, non si interrogano su come una creatura acquatica possa finire, viva, sul banco di una pescheria o in un acquario ma, in realtà, diversa è la percezione del dolore e della sofferenza che le persone hanno quando questa è patita da un gatto, da un vitello o da un astice. Una sofferenza che diventa muta, che non stimola la nostra empatia verso creature quando sono così lontane da noi e dai nostri «pet». 

Per capirlo basterebbe immaginarsi cosa succederebbe se trovassimo esposto su un banco del nostro supermercato, anziché un astice con le chele legate o un granchio agonizzante, un maialino pronto per essere macellato. Situazioni che non siamo più fortunatamente abituati a vedere, in Italia, da diversi decenni e che oggi provocherebbero una sollevazione fra i clienti. Una reazione emotiva che ancora non riesce a suscitare la vendita dei crostacei vivi.

Per cercare di frantumare questa cortina di sofferenza invisibile e per ottenere un cambiamento della normativa, sia livello italiano che europeo, l’associazione Animal Law Italia ha da tempo lanciato la campagna «Dalla parte dei crostacei»,  che si pone come traguardo il divieto di vendita dei crostacei decapodi vivi. Una sfida coraggiosa che fissa un target di non facile raggiungimento, vista la difficoltà di far arrivare questi temi, che parlano di animali che vediamo più come pietanza che non come portatori di diritti, al cuore delle persone. 

Donne e uomini che spesso faticano a vedere queste azioni di sensibilizzazione come fondamentali per la tutela dei diritti degli animali. Dimenticando che, invece, ogni volta che vengono riconosciuti diritti a esseri viventi così lontani dalla nostra emotività questo equivale alla posa, mattone dopo mattone, delle fondamenta di un mondo migliore. Una società moderna dove i diritti esistono a prescindere da specie, genere, forme, dimensioni e colori perché sono tali, sempre e comunque, quando si tratta di garanzie minime che vanno riconosciute a tutti gli esseri senzienti.

12 luglio 2025

12 luglio 2025

Fonte Originale