
A Reggio Emilia è in atto un piccolo terremoto politico-istituzionale che coinvolge anche l’economia, visto che a provocarlo è stato l’annuncio del ritiro, da parte di Max Mara Fashion Group, dal progetto del Polo della Moda già approvato dal consiglio comunale e previsto per rilanciare l’area delle ex Fiere della città.
Luigi Maramotti contro il sindaco Marco Massari, di cui già una parte delle opposizioni chiede le dimissioni: da una parte la famiglia di imprenditori reggiani più nota, un nome internazionale nel settore della moda; dall’altra il primo cittadino in carica da un anno reo, per il presidente del gruppo, di aver creato «un clima politico divisivo» che sarebbe emerso durante il recente dibattito in consiglio comunale.
A Reggio Emilia il terremoto politico tra il Comune e Max Mara
Cos’è accaduto? Che il 23 giugno, in Sala del Tricolore, il dibattito dei consiglieri ha toccato non solo il merito urbanistico ed economico del progetto, ma anche le relazioni industriali interne al gruppo Max Mara, portate alla luce qualche settimana fa, tramite la Cgil, da alcune lavoratrici che hanno parlato di «condizioni oppressive di lavoro» nell’azienda Manifatture di San Maurizio controllata dalla casa di moda, scioperando.
«Il voto favorevole di gran parte dei consiglieri è stato in realtà un voto condizionato a future verifiche sul comportamento del nostro gruppo – sostiene Maramotti – come se avessimo bisogno di stimoli esterni per rispettare la legalità e i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori».
Il marchio di moda arrabbiato con il sindaco
All’imprenditore non sono andate giù poi le dichiarazioni del sindaco che lo scorso 25 giugno ha incontrato alcune dipendenti dell’azienda Manifatture San Maurizio e una delegazione sindacale della Cgil: «Abbiamo confermato alle lavoratrici l’auspicio che il confronto in atto porti ad un miglioramento delle condizioni di lavoro delle dipendenti dell’azienda – aveva scritto su Facebook Massari -, ribadendo che sarebbe importante l’applicazione del contratto nazionale di lavoro (che il gruppo MaxMara non applica, ndr) e lo sviluppo di relazioni sindacali avanzate. Nella piena consapevolezza che esistono confini all’interno dei quali l’amministrazione comunale può muoversi, riteniamo che le segnalazioni di tutte le dipendenti meritino attenzione. Esistono organi competenti a dirimere ogni questione dal punto di vista giuridico e sindacale ma, con la finalità di trovare soluzioni efficaci, auspichiamo che maturi un dialogo tra l’azienda, i rappresentanti sindacali e le lavoratrici».
Parole che hanno creato «sconcerto», si legge nella nota con la quale il gruppo ha comunicato la decisione di non intendere più investire nel Polo della moda: «Ci è assolutamente incomprensibile perché il sindaco non abbia in nessun modo cercato di approfondire la fondatezza dei fatti riportati prima di esprimersi pubblicamente, allineandosi con le affermazioni unilaterali di una singola componente sindacale», scrive ancora Luigi Maramotti.
La vertenza delle lavoratrici Manifatture San Maurizio
Tantissime le reazioni alla decisione del gruppo, che viene definita «irrevocabile», tra le quali quella della Cgil reggiana: «La decisione di Max Mara di non dar seguito agli impegni presi con l’amministrazione comunale appare strumentale e davvero incomprensibile – scrive il segretario Cristian Sesena – La vertenza delle lavoratrici di Manifatture San Maurizio non ha nessun legame con il piano urbanistico approvato il 23 giugno scorso, e come Cgil mai abbiamo chiesto di subordinare l’approvazione di quest’ultimo ad una felice soluzione dei problemi delle maestranze interessate dalla agitazione sindacale. Nell’incontro con il sindaco le stesse lavoratrici hanno espresso il loro plauso al voto consigliare, riconoscendo il valore per Reggio Emilia di quel piano di recupero, chiedendo nel contempo che il tema qualità del lavoro rimanesse in agenda per il futuro. Il posizionamento del Gruppo pare improntato a una lesa maestà e a una visione padronale che supera i confini della fabbrica per estendersi alla città tutta e la dice lunga di quanto schemi e logiche del secolo scorso continuino a essere tenuti pervicacemente in vita. Il dibattito politico, il rispetto delle opinioni anche diverse, l’agire democratico di una amministrazione pubblica – conclude Sesena – non devono mai essere soggette a condizionamenti o approvazione di un gruppo industriale, seppur importantissimo come quello rappresentato dalla famiglia Maramotti».
Vai a tutte le notizie di Bologna
<!–
Corriere della Sera è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati.–>
Iscriviti alla newsletter del Corriere di Bologna
1 luglio 2025 ( modifica il 1 luglio 2025 | 15:00)
© RIPRODUZIONE RISERVATA