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Eroi della resistenza o spie? I due generali iraniani sfuggiti ai raid di Israele sfidano la guerra psicologica

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Ali Shamkani ed Esmael Qaani sono due sopravvissuti. I generali iraniani sono scampati ai raid chirurgici dell’esercito israeliano che nei 12 giorni di guerra hanno falciato la catena di comando militare della Repubblica islamica. Il primo è il consigliere dell’ayatollah Khamenei, il secondo guida la Divisione Qods dei pasdaran, apparato che gestisce le milizie sciite all’estero.

Shamkani è rimasto ferito nei raid ed è poi riapparso in pubblico, appoggiato a un bastone, durante i funerali di Stato degli altri militari. Per nulla indebolito, pronto a rilanciare con due messaggi. Andremo avanti sul programma nucleare, è stata la reazione dal letto di ospedale. Dichiarazione seguita da una più criptica: «Israele sa perché mi ha attaccato e lo so anche io ma non posso dirlo». Per qualcuno è un’allusione al suo ruolo all’interno di un gruppo ristretto impegnato nello sviluppo dell’arsenale, in particolare nel settore atomico. Nato nel 1955 nella regione «araba» di Ahvaz, Shamkani è stato comandante della Marina dei pasdaran ed è poi passato a incarichi di responsabilità, sempre al vertice. Nel 2013 lo hanno nominato consigliere per la sicurezza, carica persa dieci anni dopo — secondo ricostruzioni dell’epoca — a causa di contatti di un collaboratore con ambienti stranieri ritenuti sospetti, ossia i britannici.

Il «mafioso»

La rimozione ha rappresentato solo una pausa perché poi è riuscito a risalire tutti i gradini della scala di comando, fino a coordinare i contatti diplomatici con gli Usa proprio sul dossier atomico. Da Teheran, raccontano al Corriere che Shamkani è «tanto potente quanto corrotto». Alcuni lo chiamano «il mafioso» per via delle attività di vendita di petrolio, un business che gestirebbe con il figlio Hossein che controlla una rete di società che facilitano l’esportazione di prodotti petroliferi dall’Iran e dalla Russia attraverso Paesi che non hanno imposto sanzioni occidentali.

La diffidenza è un tratto che contraddistingue il popolo d’Iran costretto dal regime a vivere in un clima di sospetti e delazioni — proverbio iraniano: «Il muro ha topi e i topi hanno orecchie». E anche per Shamkani sono in molti a mettere in dubbio la versione della storia che lo vedrebbe sopravvissuto all’attacco israeliano, soprattutto per il racconto che ne ha fatto ai microfoni della tv: nonostante il palazzo in cui viveva sia collassato sotto le bombe, «lui non ha ferite, cicatrici, lividi: si ipotizza che qualcuno (il Mossad) lo abbia informato poco prima e lo abbia messo in salvo», dice un giornalista dalla capitale.

Anche la vicenda Qaani desta qualche sospetto. L’uomo ha preso il posto del generale Qasem Soleimani ucciso nel 2020 dagli Usa. Nato a Mashhad, ha partecipato al conflitto con l’Iraq e una volta entrato nella Qods ha partecipato alla creazione del «cerchio di fuoco» attorno a Israele, l’insieme di milizie dotate di missili e droni che da Iraq, Siria, Libano e territori palestinesi avrebbero dovuto bersagliare lo Stato ebraico in caso di guerra. L’asse della resistenza del quale fanno parte gli Houthi yemeniti ma anche movimenti radicali sciiti afghani e pachistani.

La strategia di Teheran è stata però stroncata dalle ripetute offensive israeliane che hanno indebolito lo schieramento. Inoltre, Qaani non è parso godere dello stesso prestigio del predecessore, valutazione negativa enfatizzata dagli esuli e dalla propaganda «ostile». Quando il 27 settembre di un anno fa l’esercito israeliano ha eliminato la leadership Hezbollah a Beirut con una serie di bombe anti-bunker sono uscite notizie sulla morte dello stesso Qaani, «voci» impastate con sospetti sul suo conto e persino di indagini da parte del regime: volevano farlo passare per un traditore. Invece è riemerso al funerale di uno dei suoi vice, Abbas Nilfoushan, dilaniato al fianco di Nasrallah dallo strike israeliano. E qui è sorta un’altra teoria: le informazioni contro Qaani erano una manovra per screditare gli avversari dimostrando che raccontavano frottole.

La coppola

Lo scenario si è ripetuto in questi giorni, quando Qaani, dato per morto, è riapparso a Teheran — coppola nera in testa — a una manifestazione patriottica. Fonti interne raccontano che dall’omicidio mirato del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, a Teheran, e dalla decapitazione dei capi Hezbollah, è iniziata a farsi sempre più insistente la tesi che il generale, in realtà, sia una spia del Mossad. E così, sui social e nelle chat, la teoria del complotto ha ispirato i creatori digitali.

C’è un video molto condiviso, costruito con l’Intelligenza artificiale, in cui Qaani viene chiamato «Il nostro uomo a Teheran», in riferimento alla famosa spia Eli Cohen, riuscito a raggiungere i vertici dell’esercito siriano. Oppure, girano immagini di busti di Qaani davanti al quartiere generale del Mossad, o il militare vestito da James Bond. Circola una dichiarazione che gli viene attribuita: «Nel nome di Allah, non smetterò di combattere per l’Iran e per Ali Khamenei, il regime sionista sta diffondendo bugie su di me. Non sono del Mossad, sono il loro incubo». E ieri l’intelligence israeliana è entrata in modo diretto con post secco in lingua farsi su X: «Qaani non è la nostra spia». Un intervento per alimentare il gioco. La guerra vera ha lasciato il campo a quella psicologica e anche qui tutto vale. Ironia, bugie, fake news e un po’ di verità. Le pressioni servono per allargare eventuali crepe in un potere mai unito e ogni giorno di più preoccupato di coprire i varchi. La guerra vera ha lasciato il campo a quella psicologica e anche qui tutto vale. Le pressioni servono per allargare eventuali crepe in un potere mai unito e ogni giorno di più preoccupato di coprire i varchi.

1 luglio 2025

1 luglio 2025

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