
Lo Stato che controlla, mettendoli in un unico bacino, tutti i flussi di dati disponibili nelle reti pubbliche e private: fiscali, sanitari, scolastici, professionali, bancari e altro. E che, poi, crea profili dei singoli cittadini. Da premiare o punire secondo criteri di utilità sociale (Saldati i debiti? Pagate le tasse entro la scadenza? Buoni risultati nel lavoro?). Ma anche da sorvegliare: un Grande Fratello capace di individuare chi dissente dalla linea del PCC, il partito comunista al governo.
È il SCS (Sistema di Credito Sociale) cinese, lontano anni luce dai sistemi politici e di intervento nel sociale dell’Occidente. Fino a ieri.
Ora un ordine presidenziale firmato tre mesi fa da Donald Trump, poco notato nel diluvio dei suoi provvedimenti esecutivi, e ulteriori interventi dei giorni scorsi sui singoli Stati dell’Unione, stanno diffondendo (in casa democratica e tra i MAGA libertari) il timore che anche gli Stati Uniti si stiano dotando di un sistema centralizzato di archiviazione di tutti i dati disponibili nelle reti delle amministrazioni federali (e relative agenzie) e di quelle sparse nel territorio (città e Stati). Una rimozione dei vincoli stabiliti dal Privacy Act del 1974 (vieta a ogni ente pubblico di trasferire dati dei cittadini all’esterno senza il loro consenso) e da altre leggi come il Social Security Act e la Health Privacy Law, giustificata da Trump con l’esigenza di rendere più efficiente la pubblica amministrazione combattendo abusi e sprechi. Lo slogan: rompere i silos delle burocrazie dei dati.
Il cambiamento di paradigma era iniziato col Doge di Elon Musk che aveva chiesto e ottenuto da ministri e agenzie l’accesso a dati sensibili come la posizione fiscale di tutti i cittadini. L’uscita di Musk dal governo non ha causato cambi di rotta su questo. Anzi, si moltiplicano gli interventi delle autorità federali nei quattro angoli del Paese. Come quello del ministero dell’Agricoltura: vuole da tutti gli Stati informazioni dettagliate (identità, luogo di residenza, data di nascita, posizione previdenziale) sui 42 milioni di poveri americani che ricevono assistenza alimentare attraverso i cosiddetti food stamps. Per verificare eventuali abusi, doppi pagamenti, casi di assistenza estesa a immigrati clandestini.
Il portavoce della Casa Bianca nega intenti illiberali e sostiene che la creazione di un gigantesco database centrale consentirà di usare meglio i soldi dei contribuenti, garantirà più sicurezza e renderà possibile una lotta più efficace contro l’immigrazione illegale (nel mirino soprattutto Stati come Illinois, California e Washington, ritenuti rifugi ideali per i migranti e sospettati di spendere fondi federali Medicaid a loro favore). I democratici chiedono da settimane il blocco di queste politiche di Trump ma in Congresso sono minoranza. Alcuni tribunali sono intervenuti sospendendo temporaneamente la demolizione di alcuni di questi silos, ma dopo la sentenza della Corte Suprema di venerdì anche i freni giudiziari sono destinati ad avere un’efficacia limitata.
Le preoccupazioni, per Trump, arrivano soprattutto dal mondo MAGA: i leader repubblicani per ora tacciono, ma in rete molti attivisti e influencer trumpiani sono in rivolta. Per Donald si getterebbero nel fuoco, ma sono ideologicamente libertari: ostili all’invadenza del governo, venerano le libertà personali, soprattutto la privacy. E ora attivisti come Hodgetwins (3,3 milioni di followers), The Patriot Voice o l’estremista nazionalista Nick Fuentes gridano al tradimento, anche se per ora siamo solo a un gigantesco accumulo di dati. Basta questo, secondo loro, per parlare di «monitoraggio invasivo», mentre l’ex deputato Justin Amash già vede in arrivo uno «Stato di sorveglianza».
A farli infuriare è anche l’incarico dato alla Palantir, il gigante informatico di Peter Thiel, grande fornitore del Pentagono e dei servizi segreti Usa, di raccogliere e ordinare questa enorme mole di informazioni attraverso Foundry: la sua piattaforma intelligente e penetrante, bollata da Wikileaks come organizzazione spionistica. La società respinge le accuse e si dice rispettosa dei valori democratici. Ma i tradizionalisti MAGA, da sempre ostili ai tecnologi trumpiani (a partire da Steve Bannon che dichiarò guerra a Elon Musk quando lui era ancora il best buddy di Trump) vedono in questa vicenda l’occasione per un regolamento di conti anche con Thiel, dopo l‘uscita dal governo del capo di Tesla, X e SpaceX. Per loro Palantir è la quintessenza di quel deep state del quale Trump si dichiara nemico giurato.
Per molti quella dei libertari è una reazione eccessiva, paranoica: la disponibilità di un’enorme mole di dati è davvero fattore di efficienza, utile per lo sviluppo dei modelli di intelligenza artificiale più potenti. È stato questo, fin qui, il principale vantaggio competitivo della Cina. Ma, se torniamo indietro negli anni, vediamo che nel 1974 il Congresso, prima di varare il Privacy Act, discusse a lungo se privilegiare l’efficienza o la riservatezza. Vinse la riservatezza soprattutto sotto la spinta del grande conservatore Barry Goldwater che denunciò la pericolosità di un governo che sa tutto di tutti: un’arma micidiale nelle mani di un leader che volesse usare i poteri dello Stato in modo repressivo.
Ora, mentre, computer scientist come Paul Graham avvertono che «Palantir sta costruendo un’infrastruttura che potrà essere usata per instaurare uno stato di polizia», scende in campo anche Ron Paul, vecchio totem dei repubblicani libertari e anti interventisti: denuncia il rischio di un surveillance state e invita i conservatori a non farsi convincere ad accettarlo con la promessa di più sicurezza o di azioni più efficaci contro gli immigrati. Significherebbe ripetere l’errore fatto 20 anni fa col Patriot Act: doveva dare più sicurezza dopo gli attacchi terroristici di Al Qaeda, mentre è stato solo un abbandono delle libertà.
28 giugno 2025
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