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L’uccisione dell’orsa Amarena: 50 associazioni chiedono di costituirsi parte civile

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A quasi due anni dall’uccisione dell’orsa Amarena, avvenuta nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre 2023, il 24 giugno è ripreso presso il tribunale di Avezzano il processo contro Andrea Leobruni, l’uomo che si era autodenunciato come responsabile de gesto. A costruirsi parte civile, in udienza, sono stati una cinquantina tra enti e associazioni. L’udienza di dicembre si era conclusa con un nulla di fatto per un errore procedurale: il pm invece di esercitare l’azione penale per i due reati contestati (art. 544 bis «uccisione di animali» e art. 703 «accensioni ed esplosioni pericolose» per aver sparato all’aperto in luogo accessibile a terzi, creando pericolo per la pubblica incolumità) direttamente nel decreto di citazione a giudizio come previsto dalla riforma Cartabia, aveva convocato l’udienza preliminare. La necroscopia e l’indagine balistica hanno subito dimostrato che l’esemplare, uno dei pochi rimasti in Abruzzo, sarebbe stato colpito quasi alle spalle. Quella notte Amarena era in compagnia dei suoi due cuccioli che, con il rumore dello sparo fuggirono nel bosco rientrando nel territorio del Parco e si salvarono. L’imputato nel processo ha già ammesso il fatto, giustificandosi con la necessità di difendersi, ma i rilievi fatti e le evidenze raccolte dagli investigatori hanno dimostrato che, quando è stata uccisa era lontana da persone e non mostrava atteggiamenti aggressivi. L’udienza è stata aggiornata al 18 luglio quando il giudice deciderà per il rinvio a giudizio e per le richieste di costituzione di parte civile. 

Già a dicembre erano state raccolte le istanze di costituzione di parte civile di decine di associazioni ambientaliste, in aggiunta a quelle del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, della Regione Abruzzo e del Comune di San Benedetto dei Marsi. «Abbiamo ritenuto doveroso essere presenti in aula e chiedere di costituirci parte civile in questo processo. L’uccisione dell’orsa Amarena rappresenta un atto gravissimo che va oltre la singola vicenda: è il sintomo di una cultura ancora troppo ostile verso la fauna selvatica», ha dichiarato Michele Pezone, responsabile diritti animali di Lndc. «Ci aspettiamo un processo rapido che consenta di arrivare a una sentenza di condanna che sia da monito per chi crede di poter uccidere impunemente un animale, peraltro protetto a livello nazionale e sovranazionale», aggiunge Filomena Ricci delegata regionale per l’Abruzzo del Wwf Italia. L’uccisione di Amarena mette a rischio la stessa sopravvivenza della sottospecie che conta circa 60 individui in tutto il mondo in un’areale alquanto limitato come quello del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e delle zone limitrofe. «Quanto è accaduto è anche il risultato dei continui attacchi a cui è sottoposta la fauna italiana. Invece di lavorare per rafforzare le tante attività possibili per garantire la giusta convivenza tra la fauna selvatica e le attività dell’uomo, non sono pochi coloro che, anche ricoprendo ruoli istituzionali importanti, non perdono occasione per alimentare un insopportabile clima che vede nella presenza faunistica un ostacolo da rimuovere», aggiunge Ricci.

In Italia chi uccide un orso, nonostante sia una specie «particolarmente protetta» rischia pochissimo anche per la confusione sulle pene applicabili dovuta al sovrapporsi di diverse previsioni normative. In caso di applicazione dell’art. 544 bis del Codice Penale («uccisione di animali») la pena è la reclusione da 4 mesi a 2 anni. Meglio di quanto stabilisce l’art. 727-bis del Codice Penale che prevede la pena dell’arresto da 1 a 6 mesi o l’ammenda fino a 4mila euro per chi uccide esemplari appartenenti a una specie animale selvatica protetta.

Se poi si dovesse applicare l’art. 30 della Legge n. 157/1992 la pena sarebbe addirittura l’arresto da 2 a 8 mesi o l’ammenda da 774 a 2065 euro: in questo caso, trattandosi di un reato contravvenzionale, l’alternatività tra arresto e ammenda consentirebbe l’applicazione dell’oblazione facoltativa con l’estinzione del reato previo pagamento di una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda: con poco più di 1.030 euro il responsabile sarebbe libero e avrebbe anche la fedina penale pulita. Situazione non migliorata dal limitato inasprimento (arresto da 6 mesi a 2 anni e l’ammenda da 4mila a 10mila euro) prevista da una riforma nel 2023 proprio a tutela degli orsi bruni marsicani. Una recente riforma, che entrerà in vigore a fine giugno, ha leggermente inasprito le pene relative all’art. 544-bis e all’art. 727-bis portando le sanzioni rispettivamente fino a 3 anni e fino a 1 anno.

In casi come quelli dell’orsa Amarena, il Wwf Italia chiede invece di ricorre all’ipotesi dell’art. 452-bis del Codice Penale («inquinamento ambientale») che punisce con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa da 10mila a 100mila euro «chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di un ecosistema, della biodiversità, della flora o della fauna».

28 giugno 2025 ( modifica il 28 giugno 2025 | 14:27)

28 giugno 2025 ( modifica il 28 giugno 2025 | 14:27)

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