
Ci sono tragedie personali. E ognuno di noi le attraversa a proprio modo. Ci sono tragedie planetarie. E le guerre sono lì a ricordarcelo, ogni giorno. Ci sono tragedie nel senso di spettacolo. E lì il riferimento è il teatro greco. Marco Mengoni ha messo tutto questo nel suo tour negli stadi, 12 date e 500 mila biglietti venduti, arrivato giovedì al Maradona. Lo spettacolo prende la struttura dalla tragedia greca, la divisione in prologo, parodo, episodi, stasimi, esodo e catarsi esplicitata sui megaschermi e sottolineata da costumi e arrangiamenti diversi per ogni momento.
Il concept
Il concept racconta, con l’aiuto di una voce fuori campo, e lungo 2 ore e 40 minuti che appesantiscono un po’ la fruizione, un percorso di caduta, distruzione e rinascita. Con Marco ancora dietro le quinte, ballerini e scenografia mostrano il crollo: restano sul palco un cumulo di macerie e blocchi di cemento. La scaletta gioca subito pezzi importanti come «Ti ho voluto bene veramente» e «Guerriero».
L’attacco alle «teste di c…» che «massacrano« la Palestina
I costumi e i visual hanno qualcosa di apocalittico, da scenario post bellico. «Abbiamo dimenticato il senso comune. Di cosa ci lamentiamo se poi non andiamo a votare? Accettiamo uno sterminio perché non ci riguarda direttamene, ma è il nostro silenzio che lo sta permettendo», grida Marco. Ecco la tragedia che lega tutti. La guerra. «La società sta andando dalle macerie verso una città di vetro bellissima ma colma di lacune: ci siamo persi dei pezzi, ci siamo affidati a un vento che cambia la società, si sono votate persone che permettono cose che a me non piacciono». Una di queste la approfondisce sul finale con la bandiera palestinese su una spalla. ««Ce n’è abbastanza nel mio spettacolo di stop a questa roba orribile che l’uomo continua a fare.. Perché? Continuiamo a ripeterlo che magari arriva anche a quelle teste…». Esita e poi si lascia andare «…di cazzo. La parolaccia ogni tanto ci vuole. Mi scuso, ma quello è l’unico termine che si usa per chi massacra altre persone».
La morte della mamma e il «buco»
Con «No stress» le macerie vengono spazzate via dal palco, cambia l’atmosfera. Appare una skyline di palazzi trasparenti, la città si sta ricostruendo. I suoni prendono la direzione del soul e dell’r&b con «Cambia un uomo» e «Luce», canzone che dedicò alla mamma e che si avvolge di emozione ora che lei non c’è più. La tragedia è anche personale. «È ancora un momento difficile e lo sarà per sempre. C’è un buco nero nella mia cameretta. Le persone che vengono al concerto e che mi stanno intorno aiutano a mettere delle lucette attorno a quel buco e ci convivi un po’ di più, ma quella cosa non si rimargina», spiegherà al limite della commozione nel backstage. Il momento delle hit, le vincitrici di Sanremo «L’essenziale» e «Due vite», è su una passerella che si alza e ruota sulla platea: tutti con il naso all’insù. L’idea che ci possa essere la rinascita si incarna in un Mengoni che canta sospeso in aria.
«Mi vesto come mi piace»
Dalla tragedia alla commedia: gli odiosi commenti social per i corsetti che indossa. «A quelli che ci prendo per il cu.. je famo prrrrrrr», dice al pubblico. Dietro le quinte torna sul tema: «Le mie parole non fermeranno la violenza del giudizio di alcuni ma possono servire a chi vuole vivere la vita come vuole. Io indosso quello che mi fa stare bene: mi piaccio così. Dopo 37 anni ho capito che la vita è una sola e che devo essere me stesso ora, altrimenti non lo sarò mai più».
28 giugno 2025
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