
La polizia kenyana spara ancora sui ragazzi: almeno sedici manifestanti secondo Amnesty International Kenya – nessuno per la polizia – sono morti mercoledì per le strade di Nairobi, e altri quattrocento sono rimasti feriti.
La manifestazione, in cui in migliaia hanno marciato verso il palazzo presidenziale incendiando anche auto e negozi, rivendicava l’anniversario delle proteste del 2024 contro la finanziaria: allora negli scontri con la polizia erano morti in sessanta. Il presidente William Ruto intendeva con quella finanziaria alzare le tasse – e quindi secondo i manifestanti che lo chiamano mwizi, ladro!, la corruzione – ma dopo un mese di proteste, a luglio 2024, la ritirò. Ma è stato troppo tardi.
Ruto, eletto nel 2022 con tanti voti di giovani – in Kenya un terzo della popolazione ha meno di 25 anni – è rimasto detestato. La brutalità con cui l’anno scorso ha represso le proteste non è stata dimenticata: i fucili e gli idranti, ma soprattutto le perquisizioni nelle case e le sparizioni, nei mesi, di molti attivisti.
Su tutti, il caso di Albert Ojwang. Trentun anni, insegnante di scuola e giornalista, è stato arrestato per aver «diffamato» un funzionario di polizia, ed è stato trovato morto in cella l’8 giugno. Sei poliziotti sono ora accusati di averlo ucciso. Alle proteste per la sua morte, una settimana dopo, a Nairobi, la polizia ha sparato all’ambulante Boniface Kariuki. Anche il suo nome è ora tra quelli dei “martiri” della protesta, ricordati sui social con l’hashtag #mashujaa, eroi, e con un pugno nero.
«Terrorismo travestito da dissenso», ha tagliato corto ieri il ministro degli Interni Kipchumba Murkomen, accusando i manifestanti di «voler ordire un golpe». Tace il presidente Ruto. Mercoledì il corteo di Nairobi si è diretto verso la State House avvolta nel filo spinato, il suo palazzo presidenziale, per provare a farvi irruzione, ma lui non c’era: era sulla costa, a presenziare a un funerale.
Per lui è intervenuta la polizia: Amnesty International riferisce che la protesta di mercoledì a Nairobi – e così gli scontri nelle altre città, Mombasa, Kitengela, Kisii, Matuu, Nyeri, da settimane – è stata sedata di nuovo con fucili e idranti. «La mia casa dà su una strada vicina alla State House», racconta la fotografa e creator Gaia Dominici che vive a Nairobi con la figlia, e che racconta la vita kenyana sul suo profilo Instagram @siankiki. «Da giorni le ambasciate ci avvertivano di stare a casa, scuole e uffici sono rimasti chiusi, era una protesta attesa. E la brutalità che la polizia di qui usa sui cittadini è inquietante».
Ruto ha provato a vietare con un decreto ogni trasmissione tv sulle proteste, prima o in diretta; l’Alta Corte ha rovesciato il divieto, e i giornalisti di tutte le testate del Paese mercoledì sono andati a Nairobi. Molti sono tra i feriti. «Nel pomeriggio sono di nuovo cessate le trasmissioni per un’altra circolare, e tutte le testate si sono spostate sui social», racconta Dominici. «Si parla di proteste dei Gen Z, ma il malcontento non è solo generazionale. E coinvolge anche molti tipi di giovani. I benestanti, che hanno studiato all’estero coi soldi degli investimenti stranieri. E i boda boda che raccolgono i rifiuti per strada, e fanno i lavori che qui si chiamano hand to mouth, dalla mano alla bocca, cioè lavori oggi per mangiare oggi. Per loro vivere qui è un inferno».
27 giugno 2025 ( modifica il 27 giugno 2025 | 09:20)
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