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Panetta, ex capo della Cia: «Trump ha risolto un problema creato da lui. Su Iran e Gaza si torni alla diplomazia»

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Tutti ricordano Leon Panetta, allora capo della Cia, al fianco di Obama nel 2011 nella Situation Room, durante l’operazione che uccise Bin Laden. Non tutti ricordano che Obama inviò Panetta a parlare con gli israeliani nel 2012, quand’era segretario alla Difesa, per scoraggiare un attacco preventivo simile a quello avvenuto ora in Iran. Eppure Panetta — parlando al Corriere — nota i possibili risvolti positivi e non solo i rischi dopo l’operazione.

Ci sono valutazioni contrastanti dei risultati dell’attacco. Fino a che punto può l’intelligence valutarli ora?
«Ci sono le valutazioni iniziali, come quella della Defense Intelligence Agency, basata probabilmente sull’osservazione dallo spazio. E ci sono 18 agenzie di intelligence che arriveranno ciascuna alle proprie riflessioni. È importante anche avere valutazioni da persone sul terreno. È pericoloso che l’amministrazione salti troppo in fretta alle conclusioni. Hanno usato la parola obliterare. La realtà è che non lo sanno, ci vuole pazienza».

Trump dice che i giornalisti, sollevando dubbi, denigrano le forze armate.
«La responsabilità dei media è raccontare i fatti che conosciamo. E la realtà è che questi sono stati attacchi di grande precisione. Lo so perché al Pentagono partecipai alla pianificazione per l’uso di quel particolare tipo di arma. Il problema è che ancora non conosciamo i fatti sul livello di danni. Sospetto che, per via della natura delle armi usate, siano significativi. Ma non conosciamo il livello di danni inflitti alle strutture per l’arricchimento. E soprattutto è piuttosto chiaro che c’è una quantità di uranio arricchito, probabilmente circa 400 chili, di cui non sappiamo la collocazione. È molto importante che l’intelligence ci dia una visione più chiara di questo».

È un attacco giustificato?
«Non c’è dubbio che il ruolo primario degli Stati Uniti in Medio Oriente sia diplomatico. E questo è un passo verso l’introduzione di operazioni militari. Se mi chiedete se si doveva fare o no, penso che una volta che il presidente dice all’Iran che la scelta è tra negoziare un accordo o essere attaccati, deve rispettare la parola data. Quando non hanno accettato i negoziati, penso non avesse altra scelta che procedere con l’attacco. Si potrebbe argomentare che non avrebbe dovuto lanciare l’ultimatum, ma una volta data la parola deve rispettarla. Abbiamo avuto presidenti che non l’hanno fatto e, francamente, è un segno di debolezza».

Come Obama con la «linea rossa» sulla Siria?
«Sì».

Obama nel 2015 arrivò all’accordo sul nucleare con l’Iran. Nel 2012 inviò lei dagli israeliani quando Netanyahu voleva attaccare l’Iran.
«Quand’ero segretario della Difesa, Netanyahu aveva minacciato di attaccare l’Iran allo stesso modo. Obama era molto preoccupato e mi chiese di parlare con il ministro della Difesa Barak e lo feci. Sottolineai che era chiaro che Israele poteva attaccare ma non infliggere danni reali alle strutture per l’arricchimento perché erano profondamente sottoterra. E dissi che stavamo sviluppando un’arma che poteva farlo e avrebbe avuto più senso permettere che gli Usa la usassero, se avessimo saputo che l’Iran ovviamente aveva un’arma nucleare. Non ho alcun dubbio che se l’intelligence ci avesse detto che l’Iran aveva un’arma nucleare, Obama avrebbe agito».

Crede che l’Iran adesso fosse vicino a un’arma?
«Questa è la domanda. Israele è sempre stato molto preoccupato man mano che l’Iran produceva sempre più uranio arricchito, che i tempi tra quell’uranio e la capacità di produrre un’arma nucleare si stavano accorciando troppo. Gli Stati Uniti invece hanno sempre cercato di capire se o meno l’Iran avesse preso la decisione di avere un’arma nucleare. C’è sempre stata questa differenza in termini di intelligence. E non ho dubbi che quando l’America è uscita dall’accordo sul nucleare, l’Iran abbia preso la decisione di produrre uranio altamente arricchito, muovendosi verso la possibilità di sviluppare un’arma. Quanto fossero vicini non lo so».

Trump ha risolto un problema da lui creato?
«Esatto. Credo che questo problema risalga al fatto che uscì dall’accordo. Ha dato loro licenza di sviluppare l’uranio arricchito».

Che cosa immagina per il futuro dell’Iran e di Gaza?
«Israele ha indebolito gli avversari. Se ne trae vantaggio per la pace a Gaza e una soluzione più permanente per il problema palestinese, per estendere gli Accordi di Abramo con i sauditi potrebbe essere un risultato molto positivo. In Iran, la questione è: il regime vorrà negoziare o riparerà i danni e andrà avanti con lo sviluppo di un’arma nucleare? Se Israele torna semplicemente alla guerra a Gaza e se l’Iran decide che adesso produrrà un’arma perché non vede alternativa per affrontare Usa e Israele, potremmo tornare in guerra in pochi anni».

E Trump?
«La questione è se quello che dice di volere sarà appoggiato o no da forti negoziati e da azioni militari. Penso che Trump riconosca che gli Usa hanno mandato al mondo il messaggio che non hanno paura di premere il grilletto. Questo può dargli la possibilità di promuovere la pace anche in Ucraina, dopo essere in pratica responsabile per il cessate il fuoco in Medio Oriente. Ma devi avere persone intorno a te che sanno cosa vuol dire negoziare. Non puoi twittare una cosa e aspettarti semplicemente che accada».

27 giugno 2025

27 giugno 2025

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