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L’Europa si spacca su Gaza. Russia, sì ad altre sanzioni

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DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE

BRUXELLES Un vertice europeo di metà anno che ha fatto il punto sui dossier caldi degli ultimi mesi: dalla difesa, il giorno dopo che la Nato ha deciso di portare il target di spesa dal 2% al 5%, alla situazione in Medio Oriente, passando dal sostegno all’Ucraina per arrivare ai negoziati sui dazi con gli Stati Uniti .

Ieri la portavoce della Casa Bianca ha detto che la scadenza del 9 luglio nella tregua commerciale tra Usa e Ue «non è da intendersi come determinante». Von der Leyen ha presentato la proposta Usa, secondo la ricostruzione di Politico.

I leader Ue hanno discusso su come raggiungere le capacità militari necessarie entro il 2030 e hanno chiesto alla Commissione e all’Alta rappresentante Ue Kallas di presentare una road map entro ottobre. Ma resta per alcuni Paesi il tabù di emettere debito comune per finanziare la difesa. Germania e Olanda restano contrarie. E il tema non è stato affrontato al vertice. Per ora ci sono a disposizione i due strumenti presentati dalla Commissione: i 150 miliardi di euro in prestiti dello strumento Safe e la possibilità di attivare la clausola nazionale di salvaguardia del Patto di stabilità per spese destinate alla difesa fino all’1,5% del Pil. Per i Paesi ad alto debito pubblico come l’Italia, entrambe le soluzioni hanno controindicazioni.

L’Unione europea si è mostrata unita nel «deplorare la terribile situazione umanitaria a Gaza, il numero inaccettabile di vittime civili e i livelli di carestia» e nel dire che «Israele deve rispettare pienamente i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario». Ma restano le divergenze di opinione tra gli Stati membri su quali siano gli strumenti più efficaci per ottenere la fine delle ostilità, lo sblocco da parte di Israele degli aiuti umanitari, il rilascio degli ostaggi da parte di Hamas.

Per aumentare la pressione il presidente del Consiglio europeo António Costa, sulla base del dibattito che si è svolto tra i Ventisette seguito alla presentazione del rapporto sul rispetto da parte di Tel Aviv dell’accordo di associazione Ue-Israele, ha incaricato l’Alta rappresentante Ue Kaja Kallas di «proporre possibili misure» in vista del prossimo Consiglio Affari esteri di luglio. È un atto simbolico perché non c’è stata ricaduta nelle conclusioni del vertice, che invece si limitano a invitare «il Consiglio a proseguire le discussioni su un seguito, se del caso, nel luglio 2025, tenendo conto dell’evoluzione della situazione sul campo». L’Alta rappresentante sta comunque «intensificando i contatti con le autorità israeliane», spiegavano ieri fonti diplomatiche.

Sull’Ucraina anche in questo summit l’Ungheria si è isolata non sostenendo le conclusioni, che sono firmate a Ventisei. Il presidente Volodymyr Zelensky si è collegato in video e ha detto che Kiev sta «rispettando ogni requisito, compresi quelli relativi alle relazioni con i nostri vicini». Budapest invece si oppone all’apertura del primo capitolo negoziale nel processo di adesione di Kiev all’Unione europea. E per sostenere il proprio «no» il premier Viktor Orbán fa leva sui risultati del referendum che ha indetto in patria in cui il 95% degli ungheresi si sarebbe opposto all’ingresso dell’Ucraina. A Bruxelles è forte la convinzione che Orbán non cambierà idea prima delle elezioni ungheresi, che si terranno nella primavera del 2026. I Ventisei nelle conclusioni scrivono che «l’Ue è pronta ad aumentare le pressioni» su Mosca, «anche con un nuovo robusto pacchetto di sanzioni, che preveda anche modalità per colpire ulteriormente le entrate energetiche della Russia». Zelensky ha chiesto di approvare il 18esimo pacchetto di sanzioni e di abbassare il tetto del prezzo del petrolio russo in discussione da 45 dollari a 30 dollari al barile. Se il pacchetto vedrà la luce lo si capirà oggi alla riunione degli ambasciatori. Ma il cap sembra già tramontato dopo la freddezza del G7. Ieri von der Leyen ha avuto un faccia a faccia con il premier slovacco Fico per sbloccare lo stallo sulle sanzioni: nei giorni scorsi Bratislava e Budapest avevano messo il veto.

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26 giugno 2025

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