
Problemi privati del campo largo (già più volte evocato come camposanto). Stavolta s’annota lo stupore efferato di Nicola Fratoianni: «Boh». Con Angelo Bonelli che commenta: «Hai ragione: boh».
Guardavano le immagini di Giuseppe Conte tra i suoi nuovi compañeros grillini. All’Aia. In sit-in contro la Nato. Più a sinistra di tutti. Frullata via la pochette a cinque punte (che sfoggiava quando firmava i decreti sicurezza di Matteo Salvini), il prossimo inverno ce lo ritroviamo con l’eskimo? No, sul serio: pazzesco. E quelli di Avs, adesso?
Flashback, qualcosa di simile a un piano sequenza sfocato.
Provate a immaginare una mattina livida, la stazione di Pisa, era il febbraio del 2003. I carabinieri con i manganelli e la visiera del casco abbassata e un ragazzo con la giacca a vento nera e la sciarpa sul viso che salta sui binari, incitando il corteo a non indietreggiare e a bloccare un convoglio di armamenti americani diretti nel Golfo: sotto la sciarpa, Fratoianni aveva la barba lunga, era tosto e spavaldo e con lo sguardo elettrico, le compagne erano pazze di quel rivoluzionario con i fiocchi che poi ha continuato a fare il suo mestiere anche a Montecitorio, deputato dall’aria sempre un po’ stropicciata e gruppettara, il cravattino mezzo allentato, un certo istinto alla lotta e alla ribellione, il ruolo di barricadiero rivendicato ancora adesso.
Ritrovarsi scavalcato a sinistra da Conte è stato, perciò, un autentico, comprensibile trauma (come se non bastassero i guai di famiglia, con la moglie Elisabetta Piccolotti che rischia la poltrona). Che fare? Certo: la speranza di Fratoianni, e del suo compagno di partito Bonelli, è che magari domattina l’avvocato di Volturara Appula si svegli e, senza imbarazzi, cambi idea. Non sarebbe la prima volta, diciamo. Il tipo è spregiudicato, furbo, veloce, cinico, feroce. Politicamente feroce. Capace di guidare, con disinvoltura, due governi molto diversi: uno gialloverde, uno addirittura giallorosso. Da premier (2018) sosteneva che «l’Italia crede fermamente nella Nato»: ma adesso, come abbiamo visto, sostiene — esattamente — il contrario. Dice di volere la pace, però avrebbe anche voluto che l’Ucraina s’arrendesse subito ai russi (così, ora, Putin starebbe comodo a Kiev e magari penserebbe di fare Natale a Helsinki). Si scandalizza (giustamente) per i bambini uccisi a Gaza, però non nomina mai quelli ucraini, che pure muoiono sotto i bombardamenti. Alla Camera — teatrale — ha chiesto un minuto di silenzio per Gaza, dimenticandosi di Kiev.
La sensazione diffusa è che, in questa strana deriva movimentista, abbia comunque un inconfessabile debole per il criminale di Mosca. Sospetto ingigantito nelle ultime ore. Prima di partire per l’Aia, infatti, a Montecitorio i 5 Stelle firmano una mozione in cui chiedono formalmente al governo di non escludere, per quanto riguarda l’approvvigionamento del gas, «una possibile collaborazione con la Russia». I dem insorgono, sdegnati. Il senatore Filippo Sensi dice al Corriere: «È una richiesta del tutto sovrapponibile alle posizioni della Lega di Borghi e Vannacci».
Del resto, però, con la Lega i grillini hanno già governato. E ancora un mese fa, sui giornali e sui siti, c’erano editoriali e cronache in cui si intravedevano lampi di nuove, concrete intese tra Conte e Salvini. Erano i giorni in cui Salvini — con il noto intuito politico — sosteneva che Trump fosse ormai in odore di Nobel per la Pace. Mentre Conte ammiccava, a colpi di supercazzola, ed era chiaro che gli piaceva ribadire la sua amicizia con il presidente degli Stati Uniti («Oh, Giuseppi! My friend!» — basta poco, a volte). Ma quando Trump aiuta Netanyahu a bombardare Teheran, ecco che Conte si ricorda d’essere diventato pacifista, e sinistroide, e non esita a condannare l’attacco.
Le domande che ora si pongono con apprensione Fratoianni&Bonelli — chi è davvero Conte? che spazio intende prendersi a sinistra? che progetto ha in testa? — sono un po’ le stesse che, da mesi, rimbombano nel Pd. Nessuno s’è lasciato ingannare per la firma che, anche lui, ha posto sotto la mozione comune in cui si proponeva d’interrompere qualsiasi cooperazione militare con Israele. Chissà perché l’ha fatto, si sono chiesti in molti. Non si fidano. C’è tutta l’area riformista che lo osserva come si osserva un camaleonte allo zoo. Aspetta, guarda, adesso è sparito. No, che dici, è sempre lì, ha solo cambiato colore. Elly Schlein, si sa, non è però d’accordo con questo tipo di approccio, polemico e ruvido. Lei, a Conte, dà corda (fingendo, eh), lo segue e subito precisa, pone dei distinguo, e di nuovo lo lascia fare. Strategia probabile: spera di cucinarselo a fuoco lento.
Poi, sì: la sua delegazione, guidata dall’eroico Francesco Boccia, torna dal corteo dei 5 Stelle e tutti le riferiscono degli sguardi torvi, dei fischi, di certi sberleffi. Di un clima profondamente ostile nei confronti dei dem. E pure lei, chiaro, s’accorge di tutte le trappolette, le frecciatine che lui le spedisce a giorni alterni (la stessa stucchevole tecnica che Salvini usa con la Meloni). Elly sa bene persino un’altra cosa: e cioè che l’avvocato s’immagina, si percepisce come l’unico possibile candidato premier dell’eventuale coalizione di centrosinistra. È già stato due volte a Palazzo Chigi, e ambisce ad un terzo giro: come Aldo Moro (vietato sorridere).
Conte è un problema: Elly sa tutto. Matteo Renzi sapeva, da tempo, tutto. E adesso sanno tutto anche Fratoianni&Bonelli.
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25 giugno 2025
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